lastampa.it, 13 ottobre 2025
La lettera di Woody Allen: “Diane Keaton era una splendida bifolca. Ogni mio film era per lei”
«La prima volta che ho visto Diane Keaton, ho pensato: ecco, se Huckleberry Finn fosse una donna, sarebbe lei». Woody Allen, il regista che l’ha diretta in film epocali, e in quello per il quale lei vinse l’Oscar come migliore attrice, Io e Annie, nel 1978, affida il suo ricordo, una lettera d’amore e ammirazione, a The Free Press, la piattaforma (nata come newsletter e diventata ormai testata autorevole e assai seguita) di Bari Weiss, nominata pochi giorni fa direttrice di CBS News, una delle principali reti televisive statunitensi.
Tra Keaton e Allen c’è stato tanto, forse tutto: lavoro, complicità professionale, amicizia, solidarietà, amore. Si conobbero, racconta Allen, durante i provini per Provaci ancora Sam, sua drammaturgia che nel 1972 diventò un film diretto da Herbert Ross (e con lui e Keaton protagonisti). «Eravamo al Morosco Theatre e Sandy Meisner parlò a me e a David Merrick di un’attrice emergente secondo lei fantastica: era Diane. Quando venne a fare il provino, ci lasciò effettivamente senza parole. Solo che ci sembrò più alta di me, e questo ci avrebbe obbligati a cambiare molte battute, cosa che non volevamo assolutamente fare. Così, salimmo sul palco per prendere le misure, io e Diane ci mettemmo schiena contro schiena, e David si accorse che eravamo alti uguale. Fu assunta».
All’epoca, Diane Keaton aveva poco più di vent’anni, e da non molto si era trasferita a New York da Orange County, in California, dove aveva studiato recitazione. Nove mesi prima, nel 1968, aveva esordito in Hair.
Allen racconta che durante le prove della pièce di Provaci ancora Sam, per la prima settimana, lui e Diane non si parlarono mai: ruppero il ghiaccio una sera, per caso, quando si ritrovarono a mangiare un boccone nello stesso ristorante sull’Ottava. «Era così affascinante, bella, divertente, che mi ritrovai a dubitare della mia sanità mentale: potevo perdere la testa in così poco tempo?».
La pièce debuttò a Washington e loro erano già amanti. Scrive Allen: «In quel periodo, stavo chiudendo il mio primo film, Prendi i soldi e scappa e le chiesi di guardarlo, premettendole che era un disastro, un fallimento totale. Lei lo guardò e mi disse che era originale e divertente. Il successo del film le diede ragione: da allora, non ho mai dubitato di un suo giudizio e le ho sempre sottoposto tutti i miei lavori. Con il passare del tempo, mi sono reso conto di girare ogni film per una sola persona: Diane Keaton. Era lei il mio pubblico. Se le piaceva, consideravo il film un successo artistico. Se non ne era entusiasta, usavo le sue critiche per migliorare il mio lavoro finché non la convinceva. Sapeva essere spietata e onesta: non risparmiava critiche neanche a Shakespeare, se Shakespeare non la convinceva. La sua timidezza non le impediva di dire sempre cosa pensava e di fidarsi del suo giudizio. Quando abbiamo cominciato a vivere insieme, ho imparato a vedere il mondo attraverso i suoi occhi. Aveva un enorme talento per la commedia e il dramma, ballava e cantava con enorme trasporto. Scriveva libri e faceva fotografie, collage, decorava case e dirigeva film. Creava abiti che sfidavano la logica, ma che alla fine funzionavano. E mi faceva ridere da pazzi, sempre».
In nessuna riga, e nemmeno in trasparenza, Woody Allen parla di Diane Keaton come la sua musa, attributo che invece, purtroppo, in Italia le è stato affibbiato in quasi tutti gli articoli, servizi, post, che la ricordano.
Sulla loro vita di coppia, Allen scrive: «Mi ha insegnato molte cose che ignoravo completamente. Prima di incontrarla, non avevo mai sentito parlare di bulimia. Era voracissima, dopo le partite dei Knicks cenavamo da Frankie and Johnnie’s, lei mangiava un controfiletto, patate fritte, cheesecake e caffè. Poi, tornavamo a casa e tostava waffle o preparava un enorme taco con carne di maiale. La guardavo sbalordito: un’attrice così snella che mangiava come Paul Bunyan. Solo anni dopo, quando scrisse un memoir, descrisse il suo disturbo alimentare, e allora capii».
In un altro memoir, Brother&Sister uscito nel 2020, Diane Keaton ha raccontato la malattia mentale, sfociata in grave alcolismo, di suo fratello Randy Hall. A una giornalista che le chiese se avesse mai provato a farlo smettere di bere, rispose: «No, mi sono resa conto che è inutile. Lui a un certo punto ha deciso che voleva vivere per bere».
Sulle origini di Diane Keaton, che in Manhattan e in Io e Annie sono state di ispirazione per costruire il suo personaggio (la provinciale ingenua, sognante, insicura, ma pure orgogliosa di non dire o fare o pensare certe cose, di non cascare in certi vezzi perché “Sa, io vengo dal Connecticut”), Allen scrive: «Nonostante il suo genio nel teatro e nell’arte (collezionava dipinti ed era una delle prime sostenitrici di Cy Twombly), Diane Keaton era una campagnola, una rozza, una zotica. Avrei dovuto capirlo fin da subito. All’inizio della nostra relazione, quando la portavo a cena fuori e la guardavo alla luce delle candele e le dicevo quanto fosse bella, lei mi guardava e mi diceva: “Honest injun?” – honest injun è un intercalare che, in slang, significa “dici sul serio?”, ndr – E io tutte le volte pensavo: honest injun?! Chi parla così, fuori da una commedia di Our Gang?».
Con grande divertimento, Allen racconta poi dei familiari di Diane Keaton, gli stessi che ha ritratto in Io e Annie, nelle indimenticabili scene del pranzo a casa di lei, con la nonna «classica signora “mangia ebrei”» che ogni volta che lo guarda, lo vede vestito da ortodosso, e con il fratello che gli confessa che a volte, quando guida di notte, ha il desiderio irrefrenabile di spegnere i fari e chiudere gli occhi.
Scrive Allen: «È stato incredibile che questa bellissima bifolca sia diventata una pluripremiata attrice e un’icona di stile sofisticata. Abbiamo trascorso insieme anni fantastici e poi siamo andati avanti, e solo Dio e Freud potrebbero capire come abbiamo fatto. Lei ha continuato a frequentare diversi uomini interessanti, tutti più affascinanti di me. Le ho detto non molto tempo fa, ridendo, che saremmo finiti lei come Norma Desmond (la protagonista di Viale del Tramonto, ndr), io come Erich von Stroheim, prima regista e poi autista di lei. Ma la vita cambia continuamente, e con la scomparsa di Diane cambia e si ridefinisce ancora una volta. Pochi giorni fa il mondo era posto che includeva Diane Keaton. Ora è un mondo che non include Diane Keaton. Quindi, è un mondo più triste. Eppure, ci sono i suoi film. E la sua grande risata che mi suona ancora in testa. Era la più unica, anche se grammaticalmente non si può dire, ma quando si parla di Diane Keaton saltano tutte le regole».
Questo il ricordo di Allen. Nessun altro quotidiano statunitense, assai probabilmente, avrebbe pubblicato un suo pezzo, vista la sua reputazione ormai compromessa, dall’inizio del #metoo, per via di accuse di molestie da parte della sua ex compagna Mia Farrow e della figlia Dylan (accuse risalenti a molti anni prima, e che hanno portato a processi che hanno, tutti, sempre, scagionato Allen, ma che dopo il #metoo sono state ripristinate, rafforzate e, sempre senza alcuna prova a suo carico, trasformate in verdetto, tanto che alcuni attori si sono dissociati da lui: uno degli abbandoni più clamorosi, e grotteschi, è stato quello di Timothée Chalamet, che dopo aver recitato nel film Un giorno di pioggia a New York, dichiarò di essersene pentito, e di aver per questo devoluto il compenso in beneficenza: credeva così di pulire il denaro sporco).
Nel 2018, i quotidiani statunitensi presero chiaramente posizione contro Allen, pubblicando i diari di Dylan Farrow che raccontava del presunto stupro subito dal padre così come la sua lettera di accusa contro tutta la Hollywood che aveva continuato a lavorare con lui, e mai nessuna testata, invece, diede spazio anche alla testimonianza dell’altro figlio (adottivo) della coppia, Moses Farrow, che smentiva sua sorella e, non trovando ascolto e spazio da nessuno, pubblicò la sua versione su un blog, raccontando le vessazioni cui Mia Farrow sottoponeva tutta la famiglia. Diane Keaton ha sempre detto di credere a Woody Allen e mai gli ha fatto mancare il suo supporto, pubblico e privato.