corriere.it, 13 ottobre 2025
Ugo Nespolo: «Yoko Ono era simpatica. Andy Warhol noioso, chiuso, rispondeva a monosillabi. Pasolini presentò "Orgia" a Torino e fu contestato dai figli di papà»
A 84 anni – e dopo migliaia di mostre in tutto il mondo, con un’attività frenetica e poliedrica che va dalla pittura alla scultura, al cinema, all’arte applicata all’industria – Ugo Nespolo potrebbe sentirsi appagato. E invece no. Nel suo atelier di via Susa non cessa di creare e di progettare. «Sto per lanciare una piccola casa editrice, si chiamerà Clandestino, esordirà con un libriccino dedicato a Gianni Vattimo», mi dice.
È la tua nuova scommessa?
«Una scommessuccia, sì... Ma io ne ho tante di scommesse, mi butto sempre avanti».
Chapeau. In un ultraottuagenario è invidiabile tanta voglia di fare, di progettare. E sei pure in gran forma, fortunello.
«Per adesso la salute mi ha aiutato, mi tengo un po’, non bevo, non fumo, faccio la mia ginnastica, in casa ho una palestra bellissima...».
Si è chiusa da pochi giorni la mostra antologica che ti ha dedicato Verbania.
«E la prossima la farò a Roma, una mostra pazzesca: sono otto sculture gonfiabili, tipo mongolfiere, e dopo Roma li porteremo a Venezia, alla Biennale. Una roba bestiale».
Ok, ma partiamo dall’inizio. Biellese di Mosso Santa Maria, ti sei diplomato a Torino, all’Accademia di Belle Arti, con Enrico Paulucci.
«...E poi a Lettere mi sono laureato in semiologia. Allora l’Università di Torino e la scena culturale torinese avevano una gamma di intellettuali da far paura. Studiavo storia con Venturi. C’era Pareyson, Sanguineti era l’assistente di Getto. Con Sanguineti siamo rimasti amici fino alla sua morte, era un uomo di una cultura mostruosa. La scena intellettuale di Torino era fortissima. Però, adesso… quali grandi intellettuali sono rimasti? Credimi, io amo questa città che mi ha dato tanto: ma secondo me oggi Torino ha un problema serio. È convinta di essere il caput mundi della cultura, dell’arte in particolare. Perché? Perché ci sono stati alcuni fenomeni, in primis l’Arte povera, esaltati come se fossero il cardine della cultura mondiale. La cosa non è vera. A Torino oggi l’arte ha soltanto certe isole di protezione, di piccoli interessi... E tutti convinti che facendosi i fatti loro hanno portato a Torino una cultura pazzesca, Torino capitale mondiale di che cosa non si sa. Certo, Torino ha avuto un ruolo importante negli anni Cinquanta e Sessanta. Ma oggi...».
Oggi Torino si proclama capitale dell’arte contemporanea, abbiamo un sacco di musei e fondazioni di arte contemporanea, però visitatori pochi.
«E poi dicono che la gente non è preparata. Ma non siete lì apposta per preparare la gente? Fate conferenze, fate cose interessanti, che la gente venga e parli. Non siate dei clan chiusi. Il 90% degli artisti che conosco, se gli dici ti regalo un libro, ti dicono no, grazie, ne ho già uno. Non leggono, non sanno niente, parlano a vanvera, annoiano. Io, piuttosto che passare una sera con un artista, la passo col mio portinaio, che è una persona squisita, intelligente e colto, anche se non è andato a scuola. Non ha la protervia degli artisti, sacerdoti che celebrano dei riti che conoscono solo loro. Oggi l’arte non ha più un ruolo nella vita delle persone. È diventata un fatto marginale, perché vive su due assiomi. Il primo è che “ciò che costa vale”. Il secondo è “comprare arte per investimento”. Quindi l’arte è solo valore economico. Baudrillard diceva che l’arte va verso dimensione Xerox, più va avanti più fotocopia, e più avanti ancora si autocancella, sparisce. E oggi siamo proprio al limite della sparizione dell’arte».
E intanto viviamo di ricordi.
«Ma almeno fosse! Invece Torino dimentica tutto. Avevamo un critico come Carluccio, se lo sono dimenticato. E Mondino? Chi lo ricorda più? Eppure se non c’era lui a Torino ci sarebbe stato ben poco: era curioso, aveva voglia di fare. O Spazzapan: un artista importantissimo, un artista cardine. Un altro monopolio che c’era a Torino era Casorati. Casorati è un grande artista, però era un tiranno pazzesco, la cultura torinese l’aveva messa al muro, o si era casoratiani o niente. Quindi l’informale non passava. Possono ringraziare Spazzapan: è vero che gli artisti informali torinesi non sono granché, però se c’è stata un po’ di modernità è passata di lì. Ma la Gam ha mai dedicato una mostra a Spazzapan? O a Mondino? Eh no, perché Mondino non ha fatto l’Arte povera...».
Ce l’hai proprio, con l’Arte povera. Eppure agli inizi c’eri dentro anche tu.
«Sai cosa è brutto dell’Arte povera? È nata senza teorie: l’unico manifesto, in cui c’era anche il mio nome, lo ha fatto Celant, ma era un manifesto ridicolo, demagogico, l’arte povera, la guerriglia, tutte quelle cazzate lì. A me non interessavano, mi annoiavano da morire. L’unico che mi piaceva era Alighiero Boetti, che era simpaticissimo e intelligente, ma se ne fotteva dall’Arte povera, faceva le sue cose e buonanotte. Io pure ho partecipato ad alcune mostre, ma dopo un po’ mi sono fatto i fatti miei. Quella demagogia lì era una roba per i salotti. Avevano tutti i salottini buoni, avevano tutti la fascina di Merz, cosette così. Un’arte che assolutamente non ha disturbato nessuno: era un fenomeno mercantilmente ben strutturato sulla traccia del mercato dell’arte americana, perché poi l’Arte povera era tutto un ascendente americano. Non era particolarmente originale, non aveva nessuna istanza nuova».
Così, America per America, hai preferito andartene a New York, dove hai incontrato i protagonisti di quegli anni, da Andy Warhol a Yoko Ono... Che tipi erano?
«Yoko Ono era simpatica. Andy Warhol no. Vedeva lungo, questo sì: diceva che nel futuro tutte le gallerie d’arte saranno dei supermercati e tutti i supermercati saranno dei musei, e non aveva mica sbagliato di tanto... Però era noioso, chiuso, rispondeva a monosillabi, yes, no... Sperone diceva che, quando Warhol andava a cena da lui, meno male che ci andava con Mick Jagger che era simpatico».
Gian Enzo Sperone, il grande gallerista, una figura fondamentale per l’arte a Torino...
«Puoi ben dirlo. Ad esempio, c’è una cosa che Sperone ha fatto a Torino negli anni Sessanta, e di cui nessuno parla mai: era il Deposito. Sperone voleva una struttura per portare tutti i grandi del mondo, i grandi collezionisti, e abbiamo fatto il Deposito in garage di via San Fermo, una galleria museo dove esponevano gli artisti internazionali, ma anche i giovani, un’esperienza bellissima. Poi è arrivato il ‘68, e una sera al Deposito c’era Pasolini che presentava “Orgia” e sono arrivati i compagni, i figli di papà, e hanno spaccato tutto. Per contestare Pasolini, figurati».