Sette, 11 ottobre 2025
Intervista a Dakota Johnson
«Sappiamo tutti che non funziona, non è così? Non conosco personalmente nessuno a cui una relazione aperta abbia risolto i problemi di coppia... Anche chi dice “va tutto alla grande”, in genere dopo sei mesi divorzia». Occhi luminosissimi, sorriso seduttivo e abito effetto vedo non vedo, Dakota Johnson si racconta senza filtri in una affollata masterclass. A lei è stato concesso l’onore di aprire il 21° Zurich Film Festival, dove è venuta a presentare Splitsville, di cui è protagonista e produttrice. E dove ha ricevuto il Golden Eye Award, in quello che è il secondo festival più importante in lingua tedesca dopo la Berlinale. Sempre intorno alle relazioni, ma in tutt’altra direzione, navigava Material love, scritto e diretto da Celine Song, in cui l’attrice e produttrice Usa, 36 anni, si divideva fra l’anima gemella (Pedro Pascal) e l’ex (Chris Evans). Il suo, di ex, si chiama Chris Martin e sono stati insieme otto anni, fra alti e bassi. L’estate pare aver messo la parola fine una volta per tutte alla loro storia, ma come in ogni storia fra noti il confine fra realtà e fantasia a volte sparisce. In questo caso il leader dei Coldlpay, in uno dei suoi ultimi concerti estivi ha invitato i fans ad andare a vedere Material Love, quasi come fosse l’ex del film.
La fama internazionale per questa discendente di una dinastia di hollywoodiani è arrivata nel 2015 con il ruolo di Anastasia Steele nella trilogia di blockbuster Cinquanta sfumature di grigio. Poi sono venuti film d’autore come quelli girati con Luca Guadagnino, A bigger splash e Suspiria, e La figlia oscura di Maggie Gyllenhaal, e anche Black Mass – L’ultimo gangster accanto a Johnny Depp. Con Cha Cha Real Smooth ha vinto un premio al Sundance e si è definitivamente conquistata una posizione di punta fra il cinema hollywoodiano e quello indie di grande qualità. Oggi Dakota è anche un’imprenditrice con la sua casa di produzione, la Tea Time Pictures
Alla proiezione ufficiale di Splitsville a Zurigo, qualche sera fa, il pubblico ha avuto la stessa reazione avuta all’anteprima mondiale a Cannes: applausi e risate.
«Mi ha colpita tutte e due le volte, lo ammetto. Soprattutto la prima, in Francia, in cui una voce interiore non faceva altro che martellarmi dicendo “il film non funzionerà, non piacerà…”».
Invece il pubblico lo ha apprezzato...
«Quando abbiamo organizzato la festa per il film, quella stessa sera, è stata la migliore di sempre per tutti noi. Le persone ballavano sui tavoli, Jason Momoa spruzzava champagne sulla folla, È stato un party folle. Se mi reinviterete a Zurigo ve ne posso organizzare uno simile!».
Come è nata l’idea del film, di cui è anche produttrice?
«Ho incontrato Michael (Michael Angelo Covino, il regista; ndr) e Kyle Marvin sceneggiatore con lui, un anno e mezzo fa e avevano questa idea. Hanno iniziato a scrivere, intanto io avevo molti progetti che mi hanno assorbita. Tempo dopo mi hanno portato una sceneggiatura così divertente e precisa. L’argomento è un po’ selvaggio, ma è anche toccante, sentito, a volte semplicemente ridicolo, il che ci rappresenta bene. Così abbiamo firmato per produrlo, abbiamo trovato gli attori e abbiamo iniziato le riprese a Montreal».
Le relazioni aperte sono un tema delicato.
«Il film parla del caos dell’amore, e mostra come le relazioni siano complicate e quelle aperte non siano una soluzione. Allo stesso tempo, nemmeno il matrimonio monogamo funziona, per molte persone. Ma non chiedetemi qual è la soluzione, non ho risposte!».
Sua madre Melanie si è divertita quando l’ha portata alla première di Los Angeles, ad agosto?
«Sì, le è piaciuto il film. Ha riso, il che è un buon segno. È stato bello, c’era tutta la mia famiglia con me, anche i miei fratelli erano presenti».
A settembre l’abbiamo vista in Material Love di Celine Song, un film con un approccio nuovo e innovativo al tema arcinoto dell’amore e del triangolo amoroso. Cosa ha imparato da quell’esperienza?
«Céline sa esattamente cosa vuole da ogni singolo fotogramma del film, credo grazie al suo background di drammaturga. Allo stesso tempo rimane aperta alla magia, alla possibilità di esplorare e scoprire cose nuove durante il percorso».
Perché ha iniziato a recitare?
«Guardavo sempre mia madre, mi incantava osservarla mentre si preparava per girare. Provavo le sue scarpe, i suoi gioielli, le sue cose… Poi amavo vederla sul set, sembrava la facesse stare bene, anche quando girava scene difficili. In un certo senso io ho preso una direzione più ampia, più olistica nel modo di fare cinema: produco, collaboro da vicino con sceneggiatori e registi. Non vedo l’ora di approfondire anche questo aspetto, con la mia Tea Time Pictures e con i molti progetti che stanno arrivando».
È figlia di Don Johnson e Melanie Griffith, a sua volta figlia dell’attrice e produttrice Tippi Hedren: in che modo questo ha influenzato il suo futuro, ciò che sarebbe venuto dopo?
«Sono nata ad Austin, in Texas, perché mio padre stava girando un film lì, in pratica sono nata su un set. E poi sei giorni dopo aveva finito le riprese e ci siamo trasferiti altrove, dove qualcun altro stava girando. Quindi sono cresciuta così, circondata da registi, da persone molto creative. E sono sempre stata affascinata dal modo in cui si fanno i film e dalla magia che le persone portano con sé».
Quando sua madre ha sposato Antonio Banderas?
«Avevo sei anni, e ci siamo trasferiti in Spagna. Antonio stava girando un film a Budapest, e abbiamo vissuto lì per otto mesi, più o meno. La mia vita è stata davvero un dono, qualcosa di straordinario. Certo, comportava anche il fatto di non frequentare una scuola “vera” fino ai dieci anni, e non avere molti amici stabili durante l’infanzia. Ma tutto questo mi ha reso una persona molto versatile, aperta, capace di accogliere persone di ogni tipo e culture di ogni genere».
I suoi genitori hanno cercato di proteggerla dall’entrare troppo presto in questa industria: ha avuto il primo ruolo in Alabama quando aveva dieci anni.
«Ma quello in realtà è stato un caso isolato, un’esperienza unica. Poi ho aspettato fino a The Social Network, quando avevo vent’anni».
Da adolescente ha compreso che i suoi stavano solo cercando di proteggerla?
«Non ho avuto scelta, il loro è stato un “no” categorico. Certo, da adolescente volevo lavorare, anche perché gli agenti di mia madre cercavano sempre di mandarmi progetti. A sedici anni ho letto la sceneggiatura di Juno e ho pensato “Oh mio Dio, ti prego, posso fare un’audizione?”. Ma non me l’hanno permesso, e va benissimo così, Elliot Page era perfetta per il ruolo. Mi dissero anche che se non fossi andata al college mio padre mi avrebbe “tolta dal libro paga”. Ho risposto “Ok”, e non ci sono andata».
E cosa ha fatto?
«Ho iniziato a lavorare e a mantenermi da sola, ho ottenuto il ruolo in The Social Network a 19 anni, poi lo abbiamo girato quando ne ho compiuti 20».
Finchè non è arrivato il giorno dell’audizione per Cinquanta sfumature di grigio, e il ruolo di una studentessa sedotta da un magnate e dai suoi desideri erotici. Com’è stato il lungo processo di selezione e come si è sentita quando le è arrivata la conferma che il ruolo era suo?
«È stato tutto completamente folle. Ero giovane, avevo 23 anni quando ho fatto l’audizione. All’epoca la sceneggiatura era scritta da Patrick Marber, che è uno dei miei sceneggiatori preferiti. Mi sembrava incredibile! Stavo imparando tantissimo, non avevo mai visto 9 settimane e ½ prima di fare l’audizione: mi avevano dato i film di riferimento per capire il tono di ciò che stavamo per realizzare».
Poi?
«È diventato un progetto molto diverso da come era all’inizio, ma c’era ancora la regia di Sam Taylor-Johnson e mi fidavo molto di lei. Alla fine, fra tutti i nomi annunciati per il coprotagonista, hanno scelto Jamie (Dornan; ndr), e tutto credo sia finito come era stato pensato, ma è stata un’esperienza intensa per una giovane. Quando uscì la notizia c’era il mio nome in sovrimpressione come “breaking news” sulla Cnn».
Più di un miliardo di dollari guadagnati al botteghino, l’intera trilogia l’ha catapultata nel successo mondiale. Forse anche se aveva già visto molto grazie ai suoi genitori, viverlo in prima persona dev’essere stato diverso… Come si riesce a stare con i piedi per terra?
«Essere così immersa in questo settore significa aver visto da vicino tutte le sue falsità, e per questo motivo non ci casco. Non credo di essere superiore a nessuno, non penso che girare film significhi salvare il mondo. Credo però che il cinema possa toccare il cuore delle persone, ed è questo, alla fine, ciò che per me conta davvero».
Sua madre ha detto di lei: “Sembra aver fatto tesoro dei miei errori e anche di quelli di sua nonna, Dakota è molto meglio di noi due”. Come è diventata la donna matura che sembra essere sempre stata?
«Sono stata esposta a tantissime cose diverse, non sono cresciuta in una piccola bolla privilegiata. Ho dovuto affrontare molte questioni familiari private, davvero intense. Troppo, a volte, per una bambina. Mi riferisco alla dipendenza da alcol e droghe, e a tutto ciò che comporta, argomenti da adulti con cui un bambino non dovrebbe avere a che fare. Ma tutto questo mi ha insegnato che la vita è fatta di alti e bassi, e che più riesci a restare fedele a te stessa, più impari a prenderti cura delle persone che ti circondano e a permettere anche agli altri di prendersi cura di te».
Le saranno arrivati molti copioni, dopo il successo internazionale, come ha scelto la sua direzione?
«Stavo girando Cinquanta sfumature quando Scott Cooper mi chiese se potevamo incontrarci per Black Mass – L’ultimo gangtser, e io pensai: “Certo che sì, ovvio che accetterei di interpretare la moglie di Johnny Depp in un film!”, nonostante fossi troppo giovane per quel ruolo. Ma l’ho fatto lo stesso. In quel periodo mi arrivavano anche proposte un po’ strane, ma ho cercato di restare soltanto fedele a me stessa».
È stato più un vantaggio portare il suo cognome, oppure è stato anche difficile perché voleva costruirsi una strada tutta sua?
«È stato difficile, credo ci sia sempre quella sensazione ovvia del tipo “Ah, pensi di poter fare questo lavoro solo perché lo fanno i tuoi genitori?”».
C’è un personaggio particolare, interpretato da sua madre o da suo padre, o da Antonio Banderas, che l’ha sempre ispirata e che vorrebbe interpretare anche lei?
«Da sempre vorrei essere Zorro, ed era una vita che aspettavo mi facessero questa domanda... Antonio ha interpretato ruoli davvero straordinari, non posso mentire. Desperado, per dirne uno. In realtà però non ho mai pensato a nessun altro ruolo della sua carriera. Ma quelli di mia madre... è strano perché è mia madre, quindi se penso a un film, è complicato»
Suspiria l’ha portata in luoghi piuttosto oscuri, sia mentalmente che fisicamente. Puo’ condividere qualcosa di quell’esperienza con il film di Guadagnino?
«È stato il secondo film che ho girato con Luca, abbiamo iniziato a parlarne mentre stavamo finendo di girare A Bigger Splash, e da lì ho cominciato a immergermi davvero in quel mondo, ovviamente anche in quello di Dario Argento. Ne abbiamo discusso per mesi, Luca, io e Tilda (Swinton; ndr). E mi sono allenata per circa quattro mesi prima delle riprese, dedicandomi alla danza che avevo praticato da bambina. Per me è stato anche molto divertente ma mi sono fatta davvero male. Mi sono strappata l’anca, mi sono fatta male alla schiena e a un certo punto, durante le riprese, sono dovuta andare in ospedale».
Mentre Thom Yorke scriveva la colonna sonora del film…
«Partecipava anche alle nostre prove. I Radiohead sono la mia band preferita in assoluto, quindi tutta quell’esperienza mi sembrava pazzesca, quasi irreale. Giravamo a Varese, in un hotel abbandonato sulla cima di una montagna. Sopra l’hotel c’erano delle enormi torri elettriche, tutti prendevamo la scossa tutto il giorno! E dovevamo andare a lavarci le mani per scaricare l’elettricità dal corpo. Ho cominciato ad avere incubi terribili, veri e propri terrori notturni, e non riuscivo più a dormire. L’hotel abbandonato, ne sono certa, era infestato… sentivo come se tutti i demoni si fossero attaccati a me. So di sembrare drammatica, ma quando sono tornata a casa ho avuto davvero la sensazione di aver bisogno di un esorcismo, anche se poi non l’ho fatto!».
Sei anni fa ha fondato una casa di produzione, la TeaTime, con una delle sue migliori amiche, Roald Donnelly.
«È come una compagna di vita, è tutto per me. Eravamo amiche e avevamo gusti cinematografici molto simili, lei era una dirigente di Netflix e abbiamo iniziato a fantasticare su un mondo in cui avremmo potuto costruire il nostro modo di fare film in modo diverso da quello sperimentato nei miei primi anni in questo settore, da cui voglio decisamente di più. Mi sono ritrovata, da attrice, almeno un paio di volte a presentarmi alla première di un film e vederlo per la prima volta pensando: non è quello che credevo stessimo facendo, e non è piacevole».
Di cosa è più orgogliosa del vostro lavoro fino a qui?
«Dei film fatti, delle serie tv, ma soprattutto delle relazioni all’interno della compagnia. È difficile trovare una persona in questo settore di cui pensi “è davvero l’altra metà del mio cervello": lei è nella mia testa, io sono nella sua testa.
L’anno scorso ha presentato il suo primo film da regista al Festival di Toronto, il cortometraggio Loser Baby, una storia queer ambientata a Los Angeles.
«Il nostro obiettivo era che Loser Baby fosse una serie tv su un gruppo di amici queer di Los Angeles di cui raccontare relazioni, complicazioni, amicizie, la loro sessualità e la loro identità. Ma nessuno voleva farlo e mi chiedevo: perché? È un argomento di discussione globale e se ne dovrebbe parlare sempre. Ma in un certo senso la sua verità era morta fra gli scaffali. Pensando che avesse bisogno di nuova vita, è arrivato il Toronto Film Festival a metterlo in programma».
Am I OK? nel 2022 è stato il primo film che ha interpretato e prodotto, Cha Cha Real Smooth è stato il secondo: che cosa ricorda di quando si è lanciata in questa nuova avventura?
«È stato molto, molto difficile per le persone prenderci sul serio, ed è difficile perché penso di aver idealizzato questo settore per tutta la vita e di aver pensato che fosse pura magia. Invece, a guardare un po’ meglio dietro le quinte è stato semplicemente schifoso».
Cosa vuole fare adesso?
«La ragazza che interpreta mia figlia in Cha-Cha Real Smooth, Vanessa Burghardt, ora ha 21 anni, ne aveva 16 quando abbiamo girato il film. È un’attrice e musicista autistica, una persona brillante, e abbiamo lavorato insieme per sviluppare una sceneggiatura. Parla di una giovane donna autistica che ha difficoltà a relazionarsi con altre persone autistiche e anche con persone neurotipiche. Mi sento molto protettiva nei suoi confronti, nei confronti della sua storia e della sua mente. Ed è proprio per questo che non credo potrei permettere a nessun altro di dirigere la sua storia. Cominceremo a girare il film fra poco».
Ha detto che lavorare con Maggie Gyllenhaal è stato uno di quei momenti in cui ha capito di poter dirigere un film...
«Ho avuto il privilegio di lavorare con ben 12 registe, le ho contate. La mente di Maggie è così brillante, la sua scrittura, la sua regia, il suo linguaggio, la sua poesia, il modo in cui ti parla, interagisce con te, il modo in cui vede il mondo e le persone... è stato così stimolante che ho pensato “Voglio esprimere anche io tutto questo”».
C’è un altro progetto con Elaine May, che ha 93 anni e non gira un lungometraggio dal 1987. A che punto state?
«Sono circa 12 anni che cerchiamo di realizzare questo film, ma penso succederà presto. Credo che in un certo senso dobbiamo farlo, è molto bizzarro. Si intitola Crackpot e Elaine lo dirigerà. Vedremo cosa succederà».
A che ora è nata?
«Alle 2.49 del mattino. Mi interessa molto l’astrologia, conosco tutta la mia carta natale».
Non so se le due cose sono collegate, ma ho saputo che le piace molto dormire...
«A chi non piace?»
Ma lei dorme per molte ore, vero? Quante, di solito, quando è a casa? «Tipo… normalmente nove, dieci ore? Ormai questo è l’argomento più interessante della mia vita!»
So anche che ama cucinare. Cosa prepara meglio?
«Un po’ di tutto, davvero. Adoro una buona pasta al pomodoro fresco ma anche la carne: mi piace grigliare e usare il forno».
E cosa inforna volentieri?
«Biscotti, torte… Faccio una torta al cioccolato pazzesca, ma che è anche molto salutare. Sono allergica al glutine, ecco perché preparo tutto da sola, così posso sostituire gli ingredienti. A proposito, qui mi hanno regalato intere sporte di Toblerone. Ringrazio perché è il mio cioccolato preferito»