Corriere della Sera, 13 ottobre 2025
«I fascisti braccavano mio nonno, lo salvò la famiglia di Paolo VI. Mia zia vittima a Piazza della Loggia. La fede? Ho temuto la vocazione»
Francesca Bazoli, il primo libro letto?
«I Promessi Sposi, ma lo avevo rubato».
Come!?
«Rubato dal comodino del nonno, per carità!».
Nonno Stefano.
«Membro dell’Assemblea Costituente».
E a sua volta figlio di Luigi, tra i sottoscrittori, con don Sturzo, del Partito Popolare.
«Sì, avvocato e deputato, il capostipite della nostra famiglia, una famiglia indubbiamente cattolica».
Cento anni fa nacque la Morcelliana, casa editrice da lei oggi presieduta.
«E tra i fondatori, un gruppo di giovani cattolici bresciani, c’era anche un certo Giovanni Battista Montini».
Il futuro Paolo VI.
«Il quale, oggi possiamo dirlo, più volte nel corso degli anni ha sostenuto concretamente la casa editrice».
Con soldi?
«Sì, non è facile stare sul mercato come editori, per lo più con una forte impronta intellettuale, cattolica».
La famiglia di Montini salvò suo nonno.
«Sì, Stefano era braccato dai fascisti, si nascose nella casa di campagna dei Montini. C’erano anche mio padre e mio zio».
Suo padre è Giovanni Bazoli, oggi 92 anni, famoso banchiere.
«E che ha appena finito di scrivere, per la Morcelliana, naturalmente, una sorta di dialogo con i suoi giovani nipoti, i miei figli».
Giovanni aveva tre mesi quando sua madre morì.
«Punta da una rosa, pensi. Setticemia. Fulminante. Fu straziante per tutta la famiglia: mia nonna era una bellissima donna di ventinove anni che trascorse le ultime ore lucida e dolorosamente consapevole di lasciare due figli piccoli».
Dunque suo padre non l’ha mai non solo «conosciuta», ma nemmeno l’ha mai «vista», perché era un neonato quando lei morì?
«Le racconto un aneddoto. Due anni fa abbiamo riesumato le sue spoglie per spostarle nel cimitero accanto al marito, a Desenzano. E mio padre, per la prima volta ha visto sua madre, anche se in forma di resti in una bara. Vede, per me il nonno è sempre stato vecchissimo e la nonna, al contrario, bellissima e giovane, perché l’ho vista in fotografia».
Torniamo alla Morcelliana. Nacque in piena (e terribile) ascesa fascista.
«E la prima sede, Palazzo San Paolo, l’anno prima era stata distrutta dai fascisti. La casa editrice fu uno dei pilastri della resistenza bresciana».
Che cosa vuol dire nascere e crescere in una famiglia così profondamente cattolica?
«Le confesserò una cosa».
Prego.
«Da bambina sono vissuta nell’angoscia della “chiamata”. Si parlava tanto della vocazione, di questo momento così intenso e definitivo, ma io non volevo farmi suora e, al tempo stesso, non osavo dirlo. Così, in segreto, speravo che la chiamata non arrivasse mai».
E non è arrivata. Avvocata cassazionista, sposata e con tre figli, alla guida non solo della Morcelliana, ma anche della Fondazione Brescia Musei. Dimentico qualcosa?
«Tralasciamo alcuni ruoli in aziende e la presidenza dell’Accademia Cattolica di Brescia, diciamo che la mia famiglia rispecchia lo spirito della mia città: attivismo imprenditoriale e sociale, senso della comunità e del lavoro».
Se lo ricorda il giorno della strage di piazza della Loggia?
«Come se fosse ora. Era il 28 maggio 1974, io avevo sei anni. Ricordo che all’improvviso ci fecero uscire da scuola, ci vennero a prendere. Ma quella che è stata una tragedia nazionale presto sarebbe diventata una tragedia famigliare».
Perché?
«Perché tra le vittime c’era anche mia zia».
Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante.
«Un’intellettuale, negli ultimi anni molto vicina a posizioni di sinistra, che aveva sposato Luigi Bazoli, democristiano, mio zio. C’erano state molte tensioni tra di loro e mia zia, quel giorno, volle a tutti i costi andare a manifestare contro ogni fascismo».
Come avete saputo della morte?
«Ci telefonarono a casa e, d’un tratto, sembrò di rivivere la tragedia di decenni prima, una madre che muore lasciando i figli piccoli, stavolta tre».
Gli anni Settanta. Una famiglia come la vostra temeva i rapimenti?
«Anche se mio padre, all’epoca, insegnava alla Cattolica e ancora non era diventato il banchiere che oggi tutti conoscono, vivevamo nell’incubo. Papà diceva che il rischio maggiore era “il rapitore incompetente”, quello che, non sapendo che non eravamo ricchi davvero, avrebbe potuto scegliere di rapire qualcuno di noi».
Brescia è una fucina di imprenditori, sportivi e politici. Cominciamo da questi?
«Mino Martinazzoli era un assiduo della nostra famiglia. Un intellettuale raffinato, ma anche un grande umorista, come suo fratello Gianni».
Lei tifa per il Brescia?
«La tifosa è mia madre (Elena Wührer, ndr), che ancora oggi va allo stadio. Ma mamma è anche tifosa del Napoli, perché l’ex marito di mia sorella Chiara è napoletano».
Oggi Chiara sta con Beppe Sala.
(nessuna risposta)
Le piace Sala?
«Le scelte di mia sorella sono personali, posso dire che la mia famiglia è legata affettivamente sia a Fabio Coppola, l’ex marito, che a Beppe».
Parliamo della Fondazione Brescia Musei. Ben cinque istituzioni museali da seguire.
«E un parco archeologico importantissimo nel Nord Italia. Sono contenta perché anche nell’arte la città si rivela incline al mecenatismo».
A visitare i Musei di Santa Giulia è venuto anche Leonardo DiCaprio.
«La vuol sapere la verità?».
Certo.
«È venuto per ben due volte. E so che ha apprezzato molto, sia i musei che la cucina bresciana. La fidanzata, Vittoria Ceretti, è amica dei miei figli».
La sua famiglia frequenta qualche calciatore bresciano?
«Una volta ho incontrato, anche se all’inizio non lo avevo riconosciuto, Andrea Pirlo. Chi lo conosce bene dice che ha anche ambizioni intellettuali, o di certo spirituali».
Lei è una grande lettrice?
«Onnivora».
Una scrittrice o uno scrittore di Brescia che ama in modo particolare?
«Sono amica di Camilla Baresani e la apprezzo».
Aldo Busi lo conosce?
«Non personalmente, dicono che non abbia un carattere facile».
Lei è brillante e ironica, saprà darmi una risposta acuta: quando si è resa conto per la prima volta di essere «una donna ricca»?
«Ma guardi che non siamo ricchi. Se papà avesse solo accettato un paio di stock option lo saremmo, certo, ma lui ha sempre fatto scelte diverse, da indipendente. Comunque, sono d’accordo con mio padre quando dice che “i soldi diventano un problema non solo se sono pochi ma anche se, al contrario, sono troppi”».
Qual è il bestseller della Morcelliana?
«L’ombra del Padre. Il romanzo di Giuseppe, di Jan Dobraczynski».
Torna ancora la figura paterna.
«Ma se posso aggiungere una cosa sulla casa editrice mi piace ricordare che con i soldi dei cattolici, incluso papa Montini, venne pubblicato il Diario di Søren Kierkegaard».
Cioè del teorico del dubbio connaturato alla fede.
«Ma guardi che, parlando in prima persona, anche la mia fede si nutre di continui dubbi. Penso che sia un lungo cammino».
Suo marito (Gregorio Gitti, avvocato e professore, ndr) ha comprato il Castello di Perno nelle Langhe.
«Giulio Einaudi lo comprò e ne fece una seconda via Biancamano. Qui ha lavorato anche Primo Levi. Un luogo pieno di storia dove oggi, oltre a produrre vino, organizziamo eventi culturali».
Il miglior sindaco che Brescia abbia mai avuto?
«Esclusa l’attuale, Laura Castelletti, dico Emilio Del Bono».
Lei vive un po’ a Milano e un po’ a Brescia. Se fosse residente a Milano voterebbe o rivoterebbe Sala?
«Certamente!».