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 2025  ottobre 12 Domenica calendario

Intervista a Valerio Aprea

Valerio Aprea, è pronto?
(Silenzio)
Di solito nelle interviste appare come uno parco…
Cioè?
Dosa le parole.
Le parole sono importanti.
Cita Nanni Moretti?
Be’, il maestro.
Conosciuto?
Sì…
Nel conoscerlo non si è bruciato?
(Stupito) No! È portatore di intelligenza di un altro livello; (ci pensa) a Il sol dell’avvenire ho pianto tutte le mie lacrime.
Dosiamo le parole, ma lei a 57 anni è finalmente un attore conclamato.
(Titubante) Cosa intende?
Ora ha un pubblico vasto che la celebra.
No, sono sempre un attore di nicchia e lo dicono i numeri.
Quali numeri?
Sui social non ho uno stuolo di seguaci.
Si dedica ai social?
Quasi niente. I miei colleghi hanno altri numeri.
Ha il social media manager?
Siamo pazzi?
La maggior parte dei suoi colleghi, sì.
Ecco… Comunque resto di nicchia o mi penso così.
Le pesa o piace?
Anche in questa domanda c’è un che di “morettiano”. Credo di essere consapevole di dove mi trovo.
Specifichiamo.
Nella nicchia.
Quando la riconoscono per strada, le piace?
È una forma di bene che arriva: l’approvazione altrui è importante, noi viviamo nella perenne ricerca di questo. Quando accade mi ritengo fortunato.
Narcisista garbato.
Va bene senza “garbato”: chi fa il mio mestiere è narcisista, l’importante è non diventare sgarbato.
Forse è stato sgarbato l’agente al vostro primo incontro.
(Sorride) No, diretto. Quando andai da lui, poco dopo disse: ‘Mi dispiace, hai una faccia troppo difficile’. Aveva ragione. Ed è ancora vero.
Il suo viso buca lo schermo.
A volte c’è la necessità di non bucare.
Quindi…
Penso di essere fotogenico e telegenico e su di me è una gran botta di culo: con il viso che mi trovo, sarebbe stato un ulteriore problema.
Tranchant.
Sono meglio sullo schermo che dal vivo; (pausa) qui uno penserà: figuriamoci dal vivo!
Come prese il giudizio dell’agente?
Pensai: ‘Minchia, allora non si può fare’. Effettivamente per anni non ho combinato niente, giusto un po’ di teatro.
Ha sgomitato?
Non sono capace. Però ho penato. E sono un diesel.
Cioè?
In quegli anni vivevo il poco lavoro con l’atteggiamento dell’“eh, certo”, come se fosse normale, giustificato dal mio viso.
Era consapevole delle sue capacità?
Ho impiegato un decennio.
Quando ha deciso di essere bravo?
Questo lo dice lei.
Quando ha deciso di essere passabile?
Di essere idoneo; ripeto: ci sono voluti decenni; dal 1990 al 1993 ho frequentato una scuola di teatro e da lì c’è stato un percorso di vent’anni.
Diesel, effettivamente…
Dieci anni a dire ‘be’, forse qualcosa so fare; un’inclinazione c’è’; altri dieci per comprendere la forma di inclinazione.
Da 12 anni raccoglie.
Più o meno, piano piano.
I colleghi la spronavano?
Non mi sono mai lamentato più di tanto, almeno spero. Poi i momenti di scoramento li ho passati, come tutti.
Col rischio di rinunciare?
Mai.
Semi-scoramento.
A volte non dormivo la notte: c’era mancanza di sostentamento.
Sostentato in altri modi?
Sempre e solo da attore; (cambia tono) certo, da ragazzetto mi sono dedicato a lavoretti occasionali, come la consegna dei pacchi a Natale.
E le enciclopedie?
No, al massimo ripetizioni. Piuttosto stavo attento.
Quanto?
Stringevo la famosa cinghia e nun magnavo.
Scroccava agli amici come Luca Guadagnino da ragazzo?
Non mi pare, piuttosto stavo a casa e limitavo i danni.
Il periodo delle mezze porzioni.
Centellinavo i soldi, senza vita sociale; ma tra i colleghi non sono stato il solo.

Perché a 22 anni ha varcato la soglia della scuola di teatro?
Per caso, una sera, entro in discoteca e incontro un amico: mentre chiacchieriamo, mi racconta di essersi iscritto a una scuola di recitazione. E io: ‘Come hai fatto? So che ci vuole un provino’.
E…?
Per anni mi ero interrogato sulla logica del provino: non capivo perché dovevo dimostrare qualcosa che in realtà chiedevo di imparare.
Controsenso insuperabile.
Mi sarei sotterrato piuttosto di affrontare un provino.
Ideologico?
No, mi cagavo sotto.

Bene.
Sono un disfattista, un pessimista e pensavo: ‘Te pare che prendono me?’.
Disfattista senza invidia?
Non sono invidioso: dove vedo merito altrui, gongolo, plaudo. Quasi me ne abbevero.
Al contrario?
Nel demerito con plauso me rode.
Non si abbevera.
Se vedo uno spettacolo con un attore pessimo, mi deprimo e penso: ‘Oddio, non è che so’ pure io così?’.
Crede ai complimenti post-spettacolo?
Cosa dire, se dire, come dire è un macello: è uno dei problemi di questo lavoro. Anzi, è un lavoro nel lavoro.
Soffre prima del sipario?
Se non attraversi la paura della morte prima di esibirti, muori davvero, perché sul palco non accade nulla.
Serenità.
Per questo camperò di meno.
Ogni volta penserà “chi me lo ha fatto fare?”.
A volte invidio coloro che hanno un lavoro non emotivo; questo è un mestiere infernale.
Come sta prima di un provino?
Ne ho sostenuti pochissimi.
Come mai?
Che ne so?

E in quei pochi?
Sono tranquillo, vince l’idea del ‘figurati se vanno a prendere me’. E forse è bene così.
Ha mai partecipato a una rissa?
No, tranne un paio di casi da ragazzo, con gli amici, e credo di essermi limitato allo spintone.
Giusto per dire “c’ero”.
Per non farmi parlare dietro, terrorizzato dal prenderle.
Con Muccino per A casa tutti bene ha sostenuto il provino?
Regolarmente; (pausa) sono un mucciniano di ferro.
Chi è un mucciniano di ferro?
Uno che quando ha visto L’ultimo bacio in sala, da solo, è rimasto trafitto. Quel film ha posto una questione chiave: se siamo individui creati per essere uni o bini; se dobbiamo accompagnarci per statuto o monadi.
Esistono gli antimucciniani.
Gli contestano che nei suoi film si urla molto e si corre. A me piace pure per questo, anzi ho rosicato perché nella serie non ho potuto girare alcuna scena del genere.
Il suo personaggio era malato di Alzheimer…
E gli ripetevo: ‘Mannaggia, ma ’na corsetta delle tue?’; (pausa) dopo averci girato posso testimoniare che Muccino è un maestro di recitazione e direzione.
Dà i toni?
È un alieno, becca cose incredibili, delle sfumature impossibili. Una volta gli ho manifestato il mio stupore: ‘Ma come cazzo fai?’. ‘Eh, pure Will Smitth me lo ripeteva…’.
Il Gasperini dei registi.
No, de più: il Guardiola.
È nella trilogia di Smetto quando voglio.
Sydney Sibilia è di quella risma lì: anche lui ha tutto in testa, tutto chiarissimo. Poi sul set è esplosivo, di una simpatia rara e ti mostra la parte.
Si offende?
Ne ho proprio bisogno.

Ai giovani dà consigli?
(Stupitissimo) Perché dovrei?

“All’inizio mi hanno dato ruoli solo da delinquenti e spacciatori”, parole sue.
Con la mia faccia e i capelli lunghi, cosa mi potevano assegnare?
Le piaceva?
No, ma accettavo tutto.
Poi ha incontrato Mattia Torre.
Lui, Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo (sceneggiatori di Boris serie e film, ndr) sono dei fuoriclasse. In un altro Paese sarebbero dei Monty Python, mentre non hanno raccolto quello che meritano…
Mattia Torre.
Solo dopo la morte si sono resi conto del reale valore: l’osanna mediatico ha sorpreso pure noi che lo conoscevamo bene.
Sorpreso o scocciato?
Avrei da ridire, perché conosco i nomi e i cognomi di chi è salito sul carro; mentre quando Mattia era in vita, stavano altrove.
La morte di Mattia Torre ha creato un legame viscerale tra lei e Valerio Mastandrea.
Ci ha uniti ancora di più, qualcosa di superiore, di una profondità che è andata oltre (abbassa la voce, resta zitto).
Cosa le manca per un ruolo da protagonista?
Non lo voglio.
Addirittura.
O almeno: non mi interessa, non è importante.

Traduciamo.
Adesso non mi sento un protagonista-nato che si ripete ‘perché non me lo fanno fa’?’. Da protagonista mi sentirei troppo responsabilizzato.
Di cosa l’accusano gli amici?
La veemenza argomentativa: alzo i toni se sono convinto di avere ragione.
Polemico.
Irascibile. Ma se dico che un colore nero è nero e qualcuno sostiene che è bianco, esco pazzo.
Da bravo attore fa terapia?
Regolarmente.
Una forma di riflessione.
Consigliabile.
La scambiano mai per qualcun altro?
Per Giuseppe Cruciani (qui sospira, a lungo); pure per Ghemon e ce lo siamo detti quando è venuto ospite a Propaganda.
Propaganda rappresenta un bel booster per la sua carriera.
Una chiave di volta, e mi posso esprimere nel modo più congeniale: l’attore che dice cose sul palco. E con una bella visibilità.
Saranno aumentati i benedetti follower.
Con tutto quello che accade nel mondo, come si possono pubblicare immagini spensierate sui social, magari mentre uno mangia lo spaghetto con le vongole? È inopportuno; comunque pure a Propaganda sono arrivato grazie a Mattia Torre.
Come?
Durante il Covid vedo la trasmissione e in una puntata spiegano che Andrea Salerno (direttore di La7, ndr) ha avuto un incidente in motorino. Gli mando un messaggio. Risponde e racconta cosa è accaduto. Poi mi saluta citando Mattia. Lì mi viene in mente che proprio Mattia aveva scritto un monologo sul motorino e il traffico. Lo dico ad Andrea. E subito: ‘Vieni in trasmissione…’.
Da lì.
Ogni settimana ho portato un monologo diverso, sempre di Mattia, fino a quando sono finiti e non sapevo come andare avanti…
Quasi un altro lutto.
A qual punto Makkox (anche lui a Propaganda, ndr) mi ha proposto una cosa scritta da lui e ho scoperto un altro fuoriclasse.
Lei chi è?
(Silenzio infinito) Ora ci devo pensare mezz’ora.
Proviamo con meno.
Boh, non lo so.