il Fatto Quotidiano, 11 ottobre 2025
Il mare è la mia passione più grande, sinonimo di felicità
A volte nelle interviste mi chiedono quale sia la mia passione più grande. Chi mi conosce anche solo un poco sa che non risponderò “le donne”, che detesto, ma piuttosto, magari la lettura o il fumo perché nelle foto ho sempre la sigaretta in bocca, in realtà è un’infantile nostalgia del capezzolo o del biberon, io non fumo quasi più, non perché mi faccia male, ma non ci trovo più piacere. È il corpo che ci parla e il corpo va ascoltato, anche se io l’ho strapazzato in tutti i modi eppure sono ancora qua, a rompere i coglioni.
Chi mi conosce un poco dirà il gioco d’azzardo, poker e chemin innanzitutto, ma anche i cavalli, gli “stramaledetti quadrupedi”, come li chiamava il mio amico Massimo Bertarelli, perché se trottando si mettono di galoppo perdono ogni compostezza. Ma direi anche il gioco in generale. Non è un caso che nel mio giudizio di terza media sta scritto: “Ragazzo che potrebbe fare, ma distratto da un’incoercibile passione per i giochi”. A parte che vorrei sapere chi a tredici anni non è distratto dai giochi, una tale definizione scolastica è un errore, perché se io potessi raggiungere la sufficienza se solo studiassi, col cavolo che mi metto a studiare. E così ho fatto un ginnasio e un liceo disastrosi. È vero che spesso nei miei pezzi cito frasi latine, perché il latino è icastico, i francesi l’hanno appreso e utilizzato meglio di noi (Baudelaire, Rimbaud). In quanto al greco non ne capisco tuttora una parola, ma ne ho recuperato la cultura attraverso la Tragedia e la lettura di Eraclito in cui c’è già tutto (dopo abbiamo fatto solo una grande confusione) i Presocratici insomma, fino a Platone.
A quella domanda io rispondo invece “il MARE”. Il mare mi affascina in ogni sua dimensione, in ogni ora del giorno o della notte, soprattutto della notte perché sono un ‘notturno’, sia fisicamente che emotivamente. Quindi il bagno lo faccio sempre la sera, il ‘serotino’ nel mio linguaggio, ma non solo perché l’acqua è più calda. Al mattino, se è calmo, il mare ti sveglia col suo sciabordio ritmico e, se è stagione, vedi il sole che, con una stretta falce, si mostra all’orizzonte. Cosa che però si presta a un’inquietudine esistenziale: “Chi sarà il buttafuori del sole?” (De André, Il cantico dei drogati). Inoltre se apri agli uomini la speranza di un nuovo giorno, per converso si rovescia addosso un’altra giornata di lavoro. Ma quello che più di tutti mi piace è il mare in burrasca quando sbatte contro gli scogli. Senti una potenza che non può essere fermata.
Quando eravamo ragazzi era abitudine fare il bagno con le onde, per alte che fossero, sorvegliati da quelli più grandi. Era un rito di iniziazione a cui partecipavamo già a otto anni. Allora non è che ci fossero corsi che ti insegnassero a nuotare, ti buttavano in acqua e dovevi cavartela da solo. Anche se una volta, incaponendomi a fare il bagno in un mare dove si vedevano solo quattro gigantesche onde dalla battigia all’orizzonte, per un pelo non ci lascio la pelle. L’ora migliore per nuotare non è quella in cui tutti generalmente fanno il bagno, intorno a mezzogiorno, perché il mare si increspa di ondine molto fastidiose, il bulesume in dialetto ligure. Peraltro io vado al mare da così tanti anni che sono un ligure d’adozione, più precisamente uno di Savona, sanna, in dialetto. Del resto oggi sono pochi quelli che nuotano veramente in mare, se ne stanno sul bagnasciuga. Negli ultimi anni ho visto solo delle ragazze nuotare come si deve, in genere si preferisce la piscina. È più sicura. Chi sta vicino al mare non lo apprezza, come tutte le cose che sono vicine e troppo facilmente abbordabili. Io avrò messo piede nel Duomo di Milano, da cui peraltro si gode una vista stupenda, solo un paio di volte nella mia vita. Quel Duomo che, sia pur indirettamente, è un miracolo di Leonardo da Vinci che organizzò tutta la rete fluviale della Lombardia. Ho detto che a quella domanda rispondo: il MARE, perché per me estate e mare coniugano il più proibito dei nomi che non dovrebbe mai essere pronunciato, come faccio dire a una delle mie attrici nel Cyrano: Felicità.