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 2025  ottobre 12 Domenica calendario

Sete, bottoni, tessuti artigianali. Per il quiet luxury di Montenapoleone dovete fare tre rampe di scale a piedi

Coco Brandolini, artista e designer, nel 2022 ha lanciato il suo marchio d’AddA, che ha sede in un incantevole appartamento in via Montenapoleone a Milano. Racconta la sua impresa come un’ode gioiosa al suo retaggio, trasformato in pezzi in edizione limitata prodotti da materiali riciclati.
Perché dopo aver studiato filosofia e scienze politiche a Parigi è passata alla moda?
«Ho sempre amato i vestiti e cresciuta con abiti bellissimi grazie a mia madre e mia nonna. Durante l’università dovevo fare uno stage e sono finita da Oscar de la Renta a New York, che mi ha assunta e ci sono rimasta per sette anni. Ho imparato tanto da lui».
Poi è tornata a studiare?
«Sì, sapevo a quel punto che la moda sarebbe stata il mio lavoro e volevo impararne gli aspetti tecnici. Feci un corso al St. Martin’s e poi lavorai con altri marchi».
Anche con Alberta Ferretti?
«Per un po’, poi Bottega Veneta e infine Dolce & Gabbana, dove sono stata per 10 anni la responsabile della haute couture. È stato davvero incredibile».
Lei è cresciuta tra Parigi e Venezia, ha lavorato a New York, studiato a Londra e ora lavora a Milano. Qual è la differenza tra queste città dal punto di vista della moda?
«New York è un’ottima prima esperienza perché tutto avviene velocemente e devi imparare rapidamente. Devo dire però che Milano è la città più straordinaria, incarna l’essenza del Made in Italy. Qui, tutto è a portata di mano: le seterie di Como, i laboratori che contano secoli di attività, maestri artigiani che conservano l’esperienza di generazioni. Sono i custodi delle tecniche che danno vita ai tessuti più raffinati, alle borse più belle, un livello di eccellenza impareggiabile, un tesoro di sapienza e arte che rendono Milano non solo il luogo più interessante, ma anche il più efficiente. Qui c’è tutto: le tradizioni e l’innovazione, e soprattutto le persone che tengono viva la tradizione dell’eccellenza».
Come è passata dall’essere una dipendente di Dolce&Gabbana a una impresa in proprio?
«Ho sempre voluto fare qualcosa di mio perché ho un’idea precisa del mio stile. Conservo ancora un rapporto molto stretto con Dolce&Gabbana, andare a lavorare per un altro marchio sarebbe stato troppo difficile per me. Sono stata molto felice di andare dal mio capo, che ammiro tanto e dal quale ho imparato moltissimo, e dirgli: “Me ne vado, ma lo faccio per mettermi in proprio”, Lavorare per loro mi ha dato il coraggio di lanciare il mio marchio, perché sapevo che mi avrebbero aiutata».
Perché voleva un proprio marchio?
«Perché dopo aver lavorato per anni per grandi marchi sapevo che non volevo costruire un impero con negozi ovunque, volevo qualcosa di piccolo ed esclusivo. Mi piace che non sia un negozio. Si trova in Montenapoleone, suona molto lussuoso, ma in realtà dovete fare tre rampe di scale ed entrare in un piccolo appartamento. I clienti prendono appuntamento e parlano con me, tutto molto personale e autentico. Tutte le cose che faccio sono cose che indosserei e indosso tutti i vestiti che faccio».
D’AddA è prêt à porter, non haute couture?
«È un abbigliamento pronto di lusso, nel senso che molti marchi non usano tessuti di così alta qualità per il prêt à porter, perché costa troppo. Mi piace l’esclusività. Oggi ci sono tanti marchi e tanti direttori creativi che ne cambiano l’identità, ma io voglio avere una identità marcata. Domenico Dolce mi ha dato un consiglio straordinario: “Tu hai una bella storia e uno stile molto particolare che può piacere o meno, ma è molto speciale"».
Qual è la specificità dello stile d’AddA?
«Molto ardito nei colori, con accostamenti unici. I miei clienti amano mischiare e amano anche il fatto che ho fatto soltanto quattro gonne di un modello e soltanto cinque top di quell’altro. Non corrono il rischio di andare a un matrimonio e scoprire che gli altri sono vestiti come loro».
Che tipo è la donna d’AddA?
«Di solito sono donne forti, viaggiatrici. Ho conosciuto molte persone nuove e siamo tutte molto simili: mamme, lavoratrici, viaggiatrici, curiose, molto eclettiche nella vita e nei vestiti. È uno stile lussuosamente rilassato, comodo e molto femminile nei colori e nelle linee».
Lei è famosa per la cura dei dettagli, soprattutto i bottoni?
«Uso soltanto bottoni vecchi, vado a cercarli in tutta Italia. Ho conosciuto persone meravigliosamente pazze, con case piene di casse di bottoni, dove ho scoperto anche vecchie passamanerie che applico sui tessuti».
Fa moda per giovanissime o donne più adulte?
«Non è per giovanissime, diciamo dai 25 ai 70 anni, perché è costosa, ma ho anche delle ragazze artiste, soprattutto a Los Angeles. Sono vestiti per donne come me, che lavorano, viaggiano e vogliono essere comode ma con qualità, e che la qualità la riconoscono. Le sete e tutti i tessuti che scelgono sono prodotti artigiani straordinari. Sono donne che conoscono la moda e cercano qualcosa di diverso e più esclusivo».
La recente crisi del lusso ha colpito anche lei?
«No, per nulla. Io non faccio sfilate e ho solo due stagioni, inverno ed estate, mentre quasi tutti i grandi marchi ne fanno quattro e a volte sei. Per quanto riguarda i prezzi sono simile alla moda pronta di Dolce & Gabbana o Prada, ma l’esperienza è molto diversa, e i miei pezzi sono quasi unici».
Come riconosciamo una donna vestita da d’AddA?
«Sarà molto diversa nella scelta dei tessuti e dei colori. Anche dai bottoni vecchi. Siamo una sorta di club, alta qualità senza sbattere in faccia la ricchezza, tutto molto discreto. Le gonne lunghe sono le migliori, almeno per me».
Chi è Coco?
«Molto una mamma, perché tre figli non ancora adulti sono impegnativi. Amo l’equilibrio tra la famiglia e il lavoro, e penso che per le mie ragazze sia bello avere come esempio una mamma che lavora e si è messa in proprio. Vengono nel mio ufficio, commentano i miei abiti, e dicono ai loro amici: “Mia mamma fa d’AddA!”. Le vedo essere fiere di me e ciò mi fa felice».