Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  ottobre 12 Domenica calendario

"Hai 6 minuti e mezzo". Benvenuti nell’era del Pecha Kucha

Letto così, tutto d’un fiato, fa pensare a un gioco di ruolo, di quelli ispirati ai manga, e in effetti è giapponese, o, al limite, con un pizzico di fantasia in più, a una tecnica di ricamo tipica delle antiche tessitrici persiane.
E invece è una tecnica sì, ma di tutt’altro genere, destinata, nel prossimo futuro, a rivoluzionare il mondo delle conferenze, dei convegni, delle lezioni scolastiche e accademiche, con somma gioia degli studenti e di tutti coloro che, in circostanze analoghe, si sono trovati costretti a interagire col più diffuso e famoso – e in certi casi famigerato – PowerPoint.
La genesi del Pecha Kucha (la pronuncia corretta è pecia-cucia, informale onomatopea nipponica per dire “chiacchierare") che, in gergo, si definisce un lightning talk, si deve a una coppia anglo-tedesca di architetti, Astrid Klein e Mark Dytham, fondatori e titolari, dal 1990, di uno studio che ha base in Giappone e che, tra le opere realizzate, può vantare il Daikanyama T-SITE e l’Open House di Bangkok, entrambe riconosciute dal Financial Times tra le venti librerie più belle del mondo.
Klein e Dytham lo inventarono in una fredda e piovosa serata giapponese, in un bar, al termine di una lunga giornata di lavoro, durante la quale avevano assistito a decine di presentazioni di progetti che, evidentemente, li avevano sfiancati.
Da qui l’intuizione di un format innovativo, che fece il suo esordio per la prima volta nel 2003, a Tokyo, in un evento dedicato totalmente alle presentazioni di progetti di architettura, urbana, che diventò la prima “Pecha Kucha Night” della storia, alla quale ne sarebbero seguite migliaia di altre, praticamente in tutto il mondo.
La particolarità di questo stile di presentazione è tutta nella sua velocità di esecuzione. La formula, infatti, è fissa, con il susseguirsi di 20 slide della durata, ognuna, di 20 secondi, per un totale cronometrato, quindi, di 6’40": nulla a che vedere con le presentazioni classiche, insomma.
I vantaggi del Pecha Kucha, quindi, sono essenzialmente due: il livello costante di attenzione da parte dell’uditorio (poco più di 6 minuti e mezzo sono abbondantemente al di sotto della soglia critica del calo di concentrazione) e la possibilità di ospitare diverse presentazioni nel corso di uno stesso evento.
Ai relatori, ovviamente, viene richiesta soprattutto una grande capacità di sintesi perché non è comunque semplice gestire 20” appena per illustrare una slide, soprattutto se si proviene dall’esperienza del Power Point: non si può infatti “agire” sul cronometro, poiché il timer è pre-impostato, e allo scadere del tempo la diapositiva viene automaticamente sostituita da quella successiva.
Nato essenzialmente per presentazioni di progetti in ambito architettonico e di design il Pecha Kucha si è diffuso prima in Giappone poi nel mondo anglosassone, ma piano piano sta arrivando pure nel nostro Paese, storicamente ancorato ad un format classico, nel quale le presentazioni, i convegni e le riunioni, anche con collegamenti da remoto, durano ore. A volte senza risultati apprezzabili.
Negli USA, invece, è diventato comune tra gli studenti: uno studio condotto nelle Middle e High School di cento città americane, pubblicato sul Journal of Microbiology and Biology Education (JMBE), ha dimostrato che le presentazioni nel formato Pecha Kucha risultano più concise e più fluide e i livelli di preparazione dei relatori notevolmente migliori, così come le capacità di apprendimento e di presentazione. Una delle migliori espressioni del format, tuttavia, restano le “Pecha Kucha Night”, o PKN.
Sul sito dello studio Klein e Dytham, infatti, esiste la sezione apposita, attraverso la quale si può inoltrare la richiesta di organizzare una notte dedicata: in genere la risposta arriva entro un mese, dopodiché si è autorizzati all’uso del format, che è di proprietà dei due architetti ma che viene messo gratuitamente a disposizione degli organizzatori della PKN, in cambio di una modica cifra da versare alla loro Fondazione, che finanzia ogni anno diverse borse di studio per giovani architetti, designer, ingegneri. È un modo, insomma, per “condividere la condivisione”, per così dire: apripista delle PKN, in Italia, è stata Bari, seguita, nel tempo, da Roma, Firenze, Bologna e Milano.
Nel frattempo c’è chi sta cercando addirittura di andare oltre i limiti del Pecha Kucha: a Seattle si sperimenta, da anni, l’ “Ignite”, che, riducendo a 15 i secondi disponibili per ogni slide porta a 5 minuti il totale della presentazione mentre alcune Start Up della Silicon Valley utilizzano addirittura l’"Elevator Pitch”, una brevissima descrizione di un’idea, un prodotto, un’azienda o una persona, spiegando a cosa serve, perché è necessario e come verrà realizzato o per illustrare le competenze e gli obiettivi di un candidato, perché sarebbe produttivo e utile averlo in un team, in un’azienda o in un progetto. Il nome spiega tutto: dovrebbe essere possibile fornire le informazioni necessarie nel tempo di un viaggio in ascensore, da 30 secondi a due minuti. E pensare che, a volte, in ascensore a malapena ci si saluta.