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 2025  ottobre 12 Domenica calendario

Intervista a Claudio Cecchetto

I genitori lo volevano impiegato, col posto fisso e la pensione assicurata, lui invece mollò l’università e se ne andò a fare il disc-jockey, gratis, a Radio Milano International, una delle prime radio libere italiane. Era il 1975, agli albori della disco music, ma Claudio Cecchetto ci vedeva già lungo, mostrando di saper fiutare il vento in fatto di gusti del pubblico: nel giro di pochi anni avrebbe scalato prima l’etere, nel periodo del boom delle emittenti private, e poi il mondo televisivo legato alla musica giovane, approdando a Discoring e al Festival di Sanremo come conduttore. Con Gioca Jouer, brano bollato come una cretinata dalla critica engagé, si è anche preso il lusso di entrare in classifica con uno dei pezzi più venduti del 1981: «Mi dicevano “sono capace anch’io di fare una canzone con i verbi”, al che rispondevo “e allora perché non l’hai fatta” – recita il Cecchetto-pensiero nelle parole del diretto interessato, oggi 73enne -. Il fatto è che bisognava avere coraggio a farlo, perché una cosa così non esisteva. Ho fatto un gioco, per questo è durato negli anni e anche adesso, a fine serata, lo mettono ancora. Mi rimproveravano perché a loro piacevano i Led Zeppelin, ma piacciono anche a me, che cazzo c’entra…».
Si è diplomato perito termotecnico e poi ha studiato Scienze delle preparazioni alimentari, aveva idea di cosa fare nella vita?
«Ero attratto dalle cose nuove, non avevo voglia di seguire studi classici, ma soprattutto avevo questa grande passione per la musica: ero batterista in un gruppo, suonavamo pezzi di Jimi Hendrix, ma non ero fortissimo come musicista. È arrivato uno che ha suonato il mio strumento meglio di me e hanno scelto lui».
Non ha rosicato?
«No, perché era più bravo, altrimenti non mi avrebbe fatto piacere. Anche quelli che ho lanciato da talent scout facevano meglio di me. La differenza è proprio questa: un cantante può fare solo quello, io invece posso spaziare in tutti i generi».
Negli Anni 70 ha anche fatto politica, a scuola e all’università.
«La politica mi appassionava, mi interessavano i problemi dei ragazzi. Presto però mi sono accorto che i leader erano proiettati verso un avvenire da politici e ho lasciato stare. All’università poi sono entrato in Avanguardia operaia, ma anche lì il piano non era tanto occuparsi degli studenti, quanto costruirsi una carriera».
Quando è cambiata la sua vita?
«Ho sempre pensato che lo studio servisse a prendere tempo per trovare la mia via, alimentarista non mi piaceva, pensavo va bè, succederà qualcosa, e intanto facevo il dj in discoteca a Milano. Una sera venne da me Angelo Borra di Radio Milano International e mi chiese se volevo fare la radio. Gli ho chiesto quanto si guadagna? E lui: niente. Il giorno dopo ero lì. Ho fatto un provino terribile ma proprio quel giorno mancava un dj e mi chiesero se me la sentivo di andare in onda. È cominciata così: ho lasciato l’università e i miei genitori si sono preoccupati moltissimo, ma io mi divertivo e andavo a letto contento, non vedevo l’ora di andare a lavorare. Facevamo pubblicità al ristorante sotto la radio e mangiavamo gratis lì, parlavamo dei vestiti al microfono e i negozi li regalavano».
Serviva anche a far colpo con le ragazze?
«È logico, le occasioni aumentano quando fai lo speaker. Le ragazze telefonavano in radio e prendevamo un appuntamento: per riconoscerci ci dicevamo come eravamo vestiti, al che io dicevo che avevo una giacca blu, ma mi presentavo con una giacca di un altro colore: se non mi piaceva me ne andavo, se mi piaceva le dicevo che ero io, scusandomi per aver sbagliato giacca».

Poi nel 1978 la scoprì Mike Bongiorno.
«Era direttore artistico di Tele Milano, quando venne a trovarmi in radio quasi non ci credevo… Fece anche una gaffe, mi disse che mi ascoltava ogni mattino, ma io trasmettevo solo di pomeriggio. Andai a fare un programma musicale, due anni a prendere confidenza con telecamere molto amatoriali. Ma la svolta delle svolte è arrivata nel 1979, quando Boncompagni lasciò Discoring e a sostituirlo chiamarono tre dj, fra cui io. Poi nell’80, ’81 e ’82 ho condotto Sanremo».
Fra le sue creature c’è Jovanotti, come si accorse di lui?
«C’era una gara fra i TuTu, un gruppo che producevo io, e questo Jovanotti, che non conoscevo, per arrivare al Festivalbar, e vinsero i TuTu. Me lo descrissero come uno un po’ fuori di testa e andai a vederlo: saltava da una parte all’altra del palco, si proiettava sul pubblico: di colpo a me i TuTu non interessavano più, dissi ai miei: andiamo a prendere questo qua. È l’artista a cui sono rimasto più legato, è anche il padrino di mio figlio Jody».
E con Gerry Scotti in che rapporti è rimasto?
«Con Gerry è un piacere andare fuori a cena perché è un grande intenditore di ristoranti e di vini, conosce la buona tavola di tutta Italia. All’inizio mi aiutava nella promozione alla radio, faceva i testi. Con lui ho fatto Dj On Stage, quando mettevamo i dischi live e lui faceva finta di essere con gli artisti sul palco. Poi da Dj Television è nata Smile».
Un aneddoto con Fiorello?
«Quando lo presi in radio, dopo tre mesi mi chiamò Celentano al telefono: mi disse questo ragazzo qua curalo, è una potenza, mai sentito uno così. Qualcosa mi insospettì e gli chiesi ma perché non me l’hai detto ieri sera, quando ti ho visto di persona. Lui mi rispose che non gli sembrava il caso, ma io la sera prima mica l’avevo visto Adriano. Era Fiorello, che stava imitando la voce di Celentano…».

Con Max Pezzali invece è finita male, vi siete riappacificati?
«Parliamo di cose belle che è meglio. La situazione non è risolta, ma niente parte o è partito da me, non ho litigato con nessuno, bisognerebbe chiedere a lui da cosa è nata, io posso solo immaginarlo».
Parliamo della sua vita privata allora: sposato felicemente dal 1992 con Maria Paola Danna, “Mapi”. Qual è il segreto?
«Funziona perché io vivo a Riccione e lei a Milano. Abbiamo sempre dormito in camere separate. Ci siamo conosciuti perché accompagnavo Sabrina Salerno al programma di Raffaella Carrà e lei lavorava nella redazione del programma».

I suoi figli hanno seguito la sua strada?
«Leonardo, 25 anni, fa il dj, e Jody, che ne ha 31, lavora in tv. Hanno avuto la fortuna di avere sempre la musica in casa, difficile non appassionarsi».
Lei ha anche provato a farsi eleggere sindaco.
«Sì, e a Misano nel 2019 ho rischiato di vincere. Ho ottenuto un buon risultato anche a Riccione nel 2022. Pensavo che, oltre alla sicurezza che è scontato dover fornire, bisogna cercare di soddisfare il lato ludico, che le persone si divertano».
Dica la verità: Gioca Jouer l’ha mai stufata?
«Per niente, sono felice di averla fatta: è il primo flash mob della storia e uno dei primi rap. Sono fortunato ad averla pensata, e poi solo quella canzone ho fatto...»