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 2025  ottobre 12 Domenica calendario

Un gap cognitivo che minaccia la democrazia

C’è un video che circola in rete in questi giorni. Mostra la cantante Elisa – o meglio: una sua copia quasi perfetta (si percepisce, nella voce, un’improbabile cadenza romanesca) – che ammette di aver «recitato» il pianto nel messaggio/appello di solidarietà alla Global Sumud Flotilla, che lei stessa aveva diffuso sui social qualche giorno prima, taggando anche la premier Giorgia Meloni. Un dietro le quinte impeccabile, realistico. Peccato che sia tutto falso: creato da un software di intelligenza artificiale in grado di generare filmati indistinguibili dalla realtà. Sotto al video, però, centi-naia di commenti indignati: gente che la insulta, che si dice «delusa» dal voltafaccia della cantante, che schiuma rabbia senza neppure un dubbio. È il cortocircuito demenziale e drammatico di chi non distingue più un volto vero da uno sintetico.
Ed è qui il punto. Non nel progresso – che non si ferma, né va temuto – ma nell’assenza di strumenti per comprenderlo. Mentre la tecnologia corre (sono i giorni di «Sora», l’ultimo modello di OpenAI), una parte del Paese – nella maggioranza dei casi, quella anagraficamente più avanzata – resta ferma, impreparata, prigioniera di un analfabe-tismo digitale che non è solo tecnico, ma culturale. Siamo di fronte a una frattura generazionale e cognitiva profonda: tra chi padroneggia l’IA e chi ne è schiavo (secondo Eurispes, il 58% di italiani non l’ha mai utilizzata), tra chi la usa e chi la subisce. La storia dell’uomo è piena di rivoluzioni industriali, ma questa – che potremmo dire, citando Yuval Noah Harari, una nuova rivoluzione cognitiva – tocca la radice stessa della democrazia. Perché un popolo che non sa distinguere il vero dal falso non è libero: è manipolabi-le (e lo sanno bene i profes-sionisti della propaganda). Servono alfabetizzazione e consapevolezza. Non per rallentare l’innovazione, ma per salvarci da noi stessi: dai nostri occhi che vedono, ma non riconoscono più.