Corriere della Sera, 12 ottobre 2025
Nordio difende la riforma davanti alle «toghe rosse» (già pronte al referendum)
Quando compare sul maxischermo del videocollegamento, il ministro della Giustizia esordisce con le identiche parole di due anni fa, al precedente congresso di Area democratica, stessa platea di «toghe rosse» o presunte tali: «Mi è venuto in mente quello che De Gasperi disse alla Conferenza di Parigi dopo la guerra: “Qui dentro tutto sembrerebbe ostile tranne la vostra personale cortesia”; spero che non sia così».
Due anni fa la riforma costituzionale che separa le carriere di giudici e pubblici ministeri e divide in due l’organo di autogoverno era un annuncio del governo e una minaccia per i magistrati; oggi è cosa (quasi) fatta, in attesa dell’ultimo imminente passaggio legislativo al Senato e del referendum confermativo previsto in primavera. Una riforma che «non affronta i problemi della giustizia», conferma ora lo stesso Carlo Nordio alle assise genovesi di Area, raccogliendo così l’unico applauso a parte quello finale di buona educazione. Per il resto, il Guardasigilli ripete che l’autonomia e l’indipendenza delle toghe (tantomeno dei pm) non sono a rischio; che la riforma è conseguenza legittima e necessaria del processo penale accusatorio; che era nel programma elettorale e il governo ha il diritto di farla. Affermazioni che lasciano indifferenti non solo i magistrati progressisti, ma pure quelli delle altre correnti venuti a ribadire la contrarietà alle modifiche costituzionali.
Anche l’appello finale a «non cadere nell’abbraccio mortale con la politica» (sottinteso di centrosinistra) e a collaborare alle leggi attuative da varare dopo l’approvazione definitiva, viene accolto con scetticismo. Un po’ perché le toghe qui riunite dubitano della buona fede non tanto del Guardasigilli quanto del governo di cui fa parte; e un po’ perché non danno ancora per persa la battaglia.
Anzi, credono che il referendum possa ribaltare la decisione del Parlamento. E sono pronti a uscire dai palazzi di giustizia per convincere i cittadini che le conseguenze negative di un pm separato (e dunque più chiuso in se stesso e autoreferenziale, con un proprio Consiglio superiore dove saranno solo i pm ad amministrarsi «in proprio», a differenza di ora) sono un rischio non per loro bensì per i cittadini che chiedono giustizia nei tribunali. Nonostante l’invito a «non assumere il ruolo di parte all’interno dei conflitti politici o sociali» rivolto dal vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, laico di estrazione filo-governativa. Che ieri, davanti a un’altra platea, s’è detto convinto che «la separazione delle carriere non sarà di eventuale pregiudizio per i cittadini»; aggiungendo però che nell’attuale Csm «la cosiddetta degenerazione correntizia si è certamente molto affievolita», e la sezione disciplinare (da lui presieduta) «funziona e giudica con attenzione e rigore gli illeciti dei magistrati». Come dire che forse non c’era bisogno che la riforma intervenisse su questi aspetti.
La replica all’appello a «non entrare sul ring politico» arriva immediata per bocca dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia: «Ma come si fa? Che cosa c’è di più politico di una riforma costituzionale che cambia l’assetto dell’ordine giudiziario?».
Il fragoroso applauso che risponde a questa domanda retorica dà il senso di quanto le toghe (non solo «rosse») siano invece decise a scendere nell’agone referendario. Per contrastare la separazione delle carriere e lo sdoppiamento del Csm, ma pure il sorteggio delle componenti togate che «mortifica la rappresentanza» di chi dovrebbe tutelare la magistratura anche dagli attacchi della politica.
Stigmatizzati da Elly Schlein, venuta qui a dare man forte alle toghe contro la riforma. La segretaria del Pd ricorda (come il segretario di Area Giovanni Zaccaro nella relazione di apertura, e il componente renziano del Csm Ernesto Carbone) che perfino davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite la premier Giorgia Meloni se l’è presa con i «giudici politicizzati» che mettono i bastoni tra le ruote del suo governo.
Gli altri leader dell’opposizione Giuseppe Conte, Riccardo Magi e Nichi Vendola si allineano in videocollegamento, mettendo altri timbri politici a una vicenda che è nata politica e così proseguirà, come ha dimostra un Parlamento impossibilitato a cambiare anche una sola parola del testo uscito da Palazzo Chigi.
Il procuratore aggiunto di Roma Giuseppe Cascini invita a fermarsi e tornare indietro per verificare la proclamata volontà di dialogo; la possibilità ci sarebbe, ma non accadrà. Perché – ricorda l’ex procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati nel giorno del suo ottantunesimo compleanno – non è stato accolto nemmeno uno dei rilievi contenuti nella relazione di minoranza redatta per il Csm dal consigliere di Fratelli d’Italia Felice Giuffrè. Il quale qui prova a difendere le ragioni della riforma, ma raccoglie solo l’applauso di cortesia di degasperiana memoria.