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 2025  ottobre 10 Venerdì calendario

100mld di nuovi abiti l’anno, ma i giovani non li comprano

“Bello questo vestito”. “L’ho pagato quattro soldi in un mercatino delle pulci”. Il mercatino è quello di un paesino arroccato nell’entroterra marchigiano. Qui si vende di tutto. Second hand: scarpe, borse, pantaloni, perfino slip e reggiseni. Perché la verità è che siamo sommersi. Dai vestiti.
Farciscono i nostri armadi. I nostri spazi. I nostri letti quando non abbiamo niente da metterci. Riempiono i nostri mari, i nostri oceani, le nostre terre di nessuno. I vestiti che abbiamo basterebbero – il dato arriva da Plasticfreeit, associazione impegnata contro l’inquinamento da plastica – a vestire le prossime sei generazioni. Eppure continuiamo a produrre. Ogni anno vengono realizzati 100 miliardi di nuovi indumenti. Che raddoppieranno entro il 2030, in barba all’agenda per lo sviluppo sostenibile. Così 92 milioni di tonnellate di rifiuti finiscono in mare o nelle discariche. Soprattutto in Africa. Ma il trend sta cambiando.
E a invertire la rotta ci pensano i giovani – alla faccia che non sono coscienziosi – anche perché diciamocelo, le famiglie non hanno più soldi. Basta fare un giro nei centri commerciali al sabato. Negozi che fino a qualche anno fa traboccavano di gente in fila per pagare, ora vedono le casse vuote. Se prima ne funzionavano sei, con le commesse che slalomeggiavano per sistemare la merce, ora ne funziona una. E nemmeno sempre. “I giovani non comprano più – dice al Fatto un commesso di un grosso centro commerciale del Veneziano – le vedi queste casse? Queste al sabato pomeriggio erano piene. La gente stava in coda mezz’ora per pagare. Adesso le code sono un ricordo. Non vedo più gruppi di giovani che comprano e vogliono il capo all’ultima moda”. No, ora se ne fottono. Al diavolo le mode, gli ultimi arrivi, il consumismo becero. Meglio avere l’iPhone ultimo modello, ma i vestiti possono essere usati, ricomprati, venduti, ricomprati, e rivenduti di nuovo.
Uno studio delle Università Bocconi e Sannio mostra che i ragazzi nati tra il 1997 e il 2012 scelgono l’usato soprattutto per distinguersi. E anche perché oltre a essere una scelta sostenibile, è anche conveniente. Oltre l’11% ha comprato nell’ultimo anno almeno cinque o sei capi vintage. E quasi un terzo almeno uno o due. Il bisogno di unicità, di rarità, quell’anticonformismo che definisce la tua identità, e soprattutto il desiderio di cercare quell’abito che nessuno ha. Qualcosa che non trovi nei grossi magazzini di fast fashion che passa rapidamente dalle passerelle alla spazzatura. Insomma basta grandi loghi, scritte giganti, ciclopiche appiccicate sulle magliette, meglio quel foularino un po’ vintage, un po’ macchiato, magari invecchiato, seppiato, che si annoda sul collo, o con cui ci puoi avvolgere il capo e che ha di quei colori da far strabuzzare gli occhi. E non è tutto perché i giovani intervistati – 400 italiani, per lo più studenti con una età media di 22 anni – dicono di preferire il vintage e di comprarlo nei negozi fisici, nei mercatini, che poi è anche un modo per divertirsi e socializzare.
Ne sanno qualcosa Alessia e Martina. Ventitré anni, non comprano niente negli empori di prima mano. Di domenica vanno ai mercatini dell’usato perché qui “trovi di quelle cose così carucce anche a 3, 4 euro che nei negozi non troveresti mai”. E quando vogliono cambiare guardaroba, prendono il telefono, aprono le app, cliccano, vendono e ricomprano. Un mercato circolare che porta gli indumenti a essere indossati anche cinque, sei volte da persone diverse. “Io faccio così – dice Martina – compro qualcosa su Vinted; con 50 euro, porti a casa anche una quindicina di capi. Poi quando mi stanco prendo e li rivendo, semplice no?”. E non è solo una questione di prezzo, anche il desiderio del riuso, del ridare vita alle cose – che tanto sono cose appunto – quell’aurea particolare e irripetibile di rétro che le avvolge.
Prendi Vinted per esempio, o Wallapop. Porte Portesi virtuali, dove la gente si rifà perfino la casa. Nata in Francia nel 2008, a livello globale Vinted ha oltre 75 milioni di iscritti, 11 milioni registrati in Italia nel 2024. Qui ci navigano anche le star, qualcuna con falso nome, qualche altra promuovendo un consumo sostenibile. Qualche altra ancora mettendo in vendita i propri capi e donando il ricavato in beneficenza. Come fece Giulia Salemi.
Ma ci trovi anche scarpe a 6 euro, maglie a 2. I reggiseni, ah ci sono i pacchetti completi, 5 euro di cinque. Meglio del mercato in riva al mare che “ti tira la roba” d’estate.
Che poi caricare gli articoli su queste piattaforme è un gioco da ragazzi. Apri l’app, scatta la foto, descrivi l’abito. Fissa un prezzo, carica, vendi e invia l’articolo. Non ci sono nemmeno commissioni, quello che guadagni è tutto tuo, e considerate le finanze dei giovani sembra perfetto. Su Wallapop fa tutto l’Ai, traccia il colore, il tipo, addirittura riconosce se sulle infradito ci sono “dettagli dorati sul cinturino”. Ma anche Marketplace va bene, la piattaforma di Meta.
Le persone si svuotano la casa e se la riempiono premendo un pulsante. App, aste, mercatini virtuali, va bene tutto, purché i prezzi siano abbordabili. Questo vale anche per riciclare la “famosa roba che non metti”. Tipo l’ennesimo pigiama da far schifo, regalato al quarantesimo compleanno.