La Stampa, 10 ottobre 2025
Elisabetta Dami:"Ho scalato il Kilimangiaro. Geronimo è nato dal dolore della maternità mancata"
Nasceva 25 anni fa da un grande dolore trasformato in un atto d’amore, Geronimo Stilton. Tradotto in 52 lingue e con circa 187milioni di copie vendute, centinaia di titoli pubblicati (da Piemme), il topo che contende a Mickey Mouse il titolo di più amato del pianeta viene festeggiato domani al Linus-Festival del fumetto di Ascoli Piceno. La mamma di Geronimo parlerà della creatura che tanto amano e in cui si identificano. «Un antieroe – spiega -. Buffo e pasticcione, tenero e timido. Simpatico. Proprio come si sente ogni bambino. Che, leggendo le sue avventure, pensa: “se ce la fa lui, anch’io posso”. Così facendo impara ad accettarsi, amarsi e crescere».
Come è nato questo topo di biblioteca che tanto amerebbe restare in poltrona e invece finisce in fantastiche avventure alla Indiana Jones?
«Volevo diventare madre, scoprii che non era possibile. Fu un momento molto difficile. Decisi che avrei trasformato quel dolore in creatività che per me è maternità, poiché dai alla luce qualcosa di tuo che prima non esisteva. Facevo volontariato negli ospedali pediatrici, mi inventai questo personaggio per far sorridere i piccoli pazienti».
Una specie di alter ego?
«Gli ho dato molto di me. Innanzitutto è un burlone: proprio come me. Credo che le cose brutte della vita vadano sempre sdrammatizzate con un sorriso, che verso i problemi si debba avere un atteggiamento positivo: “Dai che ce la facciamo” è il motto mio e suo. Da sempre poi mi piace viaggiare. Ero irrequieta e a 23 anni ho fatto il giro del mondo da sola. Ho fatto di tutto: 3 maratone di New York e una di 100 chilometri nel deserto, scalato il Kilimangiaro, trekking in Nepal, visitato i parchi africani. Anche se poi l’avventura più grande è la vita che ogni giorno ti riserva sorprese».
Tutti spunti per le avventure di Geronimo?
«Nuove idee possono arrivarmi anche in metrò, ascoltando la gente; o dalle esperienze che mi raccontano i bambini (io parlo poco, preferisco che a farlo siano loro). Ascoltare è una dote che consiglio sempre a tutti: apre al dialogo e alla condivisione. I problemi nascono quando nessuno ascolta nessuno».
Chi pagò quel giro del mondo?
«Io, con i primi soldi guadagnati. Avevo iniziato a lavorare ufficialmente nella casa editrice di famiglia a 18 anni. In realtà a 13 anni già correggevo le bozze. A 15 ero con papà alla fiera del libro per l’infanzia di Bologna, dove facevo di tutto un po’. Sempre senza paga, ma mi faceva sentire grande».
Un babbo sfruttatore del lavoro minorile?
«Era molto severo. “Tutta pratica che ti sarà utile”, diceva. E in effetti mi ha insegnato molto. Mi diceva di non aspettarmi favoritismi, ma che anzi avrei dovuto guadagnarmi tutto più duramente. “Sei mia figlia e devi dare l’esempio”. È così che ho imparato il rigore di un lavoro ben fatto».
In una casa editrice passano spesso autori importanti. Ne ricorda qualcuno?
«Papà veniva dal mondo del fumetto, collaborava con Jacovitti, Pratt, Battaglia. Anch’io li avevo conosciuti. Quando ho incontrato Pratt per poco non svenivo: fascinoso e carismatico, cittadino del mondo, era Corto Maltese. Battaglia invece era schivo e riservato; Jacovitti, altissimo e burbero, viaggiava avvolto nella nuvola di fumo dei suoi sigari. Secondo mio padre ogni illustratore nei suoi personaggi disegna sé stesso».
La giovane Elisabetta come andava a scuola?
«Andavo bene, mi piaceva studiare. Avevo già capito che avrei voluto scrivere. Ma sognavo anche di fare medicina, cui però dovetti rinunciare: papà chiese il mio aiuto. Già allora mi interessava soprattutto il benessere degli altri. Dei bambini in particolare, così fragili: hanno tutti diritto alla felicità. Che è quello che spero di fare con il mio lavoro: spargere semi di felicità in ogni scuola e ospedale che visito».
Non ha mai pensato all’adozione?
«È un percorso lungo e complesso, che richiede qualifiche spesso difficili da avere. Io invece ho avuto come un’illuminazione: i bambini spesso, istintivamente, ti abbracciano e dicono il loro affetto. Ecco, sono momenti di felicità e forte scambio. Quando è stato il mio momento non è stato facile: ho visto donne schiacciate dal dolore di non essere chiamata mamma. Io ho capito che il mio percorso sarebbe stato altro. Così, come accade in genere a chi crea, ogni mio libro è mio figlio».
Una mamma che crea storie, ma soprattutto quella di Geronimo, giusto?
«Vero. Per loro non sono la scrittrice, ma mamma che gli sta vicina. “Proprio come la mia quando faccio i compiti” dicono. E: “Fallo scrivere di più”. Nessun bambino mi ha mai chiesto invece come possa avere un figlio topo (né chi ne sia il papà). Piuttosto mi dicono “si vede che sei la mamma"».
Per questo non firma i suoi libri?
«Non ho mai ceduto alla vanità. I sogni dei bambini vanno protetti più di ogni altra cosa. Come la fantasia, che gli basta così poco per farla volare».
Mi sa spiegare perché un animale che mai vorremmo avere in casa, ha così tanta fortuna letteraria?
«Come gli uomini i topi hanno un lato oscuro, e sono le pantegane, grosse e aggressive. I topolini di campagna invece sono “la parte buona”, in realtà una specie del tutto differente (come gatti e leoni): sono allegri, intelligenti e soprattutto curiosi, molto simili all’uomo nel modo di pensare, dato che non solo imparano ma anche ragionano. Inoltre è facile da rendere antropomorfo. Ed ecco spiegati Mickey Mouse, Speedy Gonzales, Ratatouille... e Geronimo».
Geronimo è un po’ vintage, poco tecnologico. Lei cosa ne pensa dell’IA?
«Qualunque strumento tecnologico se usato in modo etico e corretto può avere aspetti positivi, quindi non è da demonizzare a priori. Però guai a farsene sopraffare. Nei ragazzi, se si sostituisce a loro nel risolvere cose e compiti, può causare deficit cognitivi, una mancanza di fiducia nella capacità di risolvere autonomamente problemi o prendere decisioni».
Non solo topi. Recentemente ha creato una nuova saga con una famiglia di lupi: una specie decisamente controversa.
«Se chiedi ai bambini quali animali amino, a parte gli ovvi cani e gatti, il lupo è tra i più citati. Li considerano fieri e leali, forti e generosi, coraggiosi, collaborativi. Per ora sono stati pubblicati due titoli, Lupo Blu e Il destino di un lupo, che raccontano diverse generazioni di un grande branco. Il terzo, Fiore di luna lupa ribelle uscirà nel 2026: ne è protagonista una lupacchiotta che vuole diventare il primo capobranco femmina. Sono libri pensati per lettori un po’ più grandi, con gli stessi valori di Stilton, sincerità, solidarietà, lealtà, amicizia gentilezza. Tutti valori inclusivi, che possono cambiare la nostra vita e il mondo poco alla volta. Perché dove c’è inclusione c’è il rispetto, e dove c’è il rispetto arriva anche la pace». —