repubblica.it, 10 ottobre 2025
Orson Welles e Yul Brynner, le vite parallele: così lontani e diversi, morti lo stesso giorno
Il 10 ottobre 1985 – quarant’anni fa – fu una giornata campale nelle redazioni spettacoli di tutti i giornali del mondo. In Italia, nel nostro fuso orario, andò così: in tarda mattinata arrivò la notizia della scomparsa di Yul Brynner. In America era ancora l’alba e l’attore era morto nella notte, a New York, per le conseguenze di un cancro ai polmoni da tempo diagnosticato. Cominciò la solita trafila che i giornali seguono in questi casi: scrittura del “coccodrillo” (i pezzi sui decessi, in gergo redazionale, si chiamano così) e ricerca di testimonianze da parte di coloro che avevano lavorato con lui. In primis Gina Lollobrigida, che in quella e in altre occasioni disse una cosa bella e sincera: “Quando ho abbracciato Yul sul set di Salomone e la regina di Saba ho capito finalmente cos’è un uomo”.
Verso le sei-sette di sera tutto era a posto, le pagine erano pronte in tipografia e nelle redazioni subentrò il classico relax che segue un lavoro intenso e ben fatto. Alle sette di sera uscì dalle stampanti (si lavorava ancora in analogico, tutto arrivava su carta) la bomba: a Los Angeles era morto Orson Welles. E, attenzione: se la fine di Brynner era in parte attesa (aveva solo 65 anni ma era malato da tempo) quella di Welles, per infarto improvviso, fu un fulmine a ciel sereno. Aveva 70 anni ed era ancora attivo. In qualche modo i giornali tamponarono, con pezzi scritti a velocità supersonica, per poi ritornare sulla notizia con più calma il giorno dopo. Anche perché Brynner era un grande attore, un divo popolare; ma Welles era un gigante del teatro, della radio, del cinema (in ordine di apparizione). Una delle più grandi figure artistiche del ‘900.
Cos’hanno in comune Yul Brynner e Orson Welles, oltre il giorno dell’addio al mondo? Forse nulla. O forse tutto. Sicuramente un film, per vari motivi epocale, in cui ci sono entrambi: La battaglia della Neretva, 1969. Ma forse anche altre cose. Vi proponiamo di seguirci in un esercizio “alla Plutarco”: proviamo a raccontarne le vite parallele, individuando i nodi fondamentali delle loro carriere. Forse scopriremo cose interessanti.
1915: Kenosha, Wisconsin
Orson Welles nasce il 6 maggio 1915 in una città (per noi) sconosciuta che oggi ha quasi 100.000 abitanti, ma si può dire fosse nato a Chicago: Kenosha è la parte Nord dell’area metropolitana, è come essere nati a Monza ed essere di fatto milanesi. La famiglia è ricca ed eccentrica. La madre Beatrice Ives è una pianista e una suffragette che per le sue idee politiche radicali è stata anche in prigione; il padre Richard Welles è un magnate dell’industria automobilistica e un inventore dilettante. Già nel 1919 i genitori si separano e il piccolo Orson vive con la mamma, il cui imprinting artistico sta già funzionando: il debutto del bimbo in palcoscenico avviene all’età di tre anni all’Opera di Chicago, come comparsa in un allestimento del Sansone e Dalila di Camille Saint-Saëns.
1920: Vladivostok, Giappone – o Russia, o che?
Yul Brynner nasce l’11 luglio 1920 in una semisconosciuta piega della storia. Vladivostok, la città più orientale della Russia (il toponimo in russo significa “dominatore dell’oriente”), è al centro di sanguinose dispute territoriali. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre e l’uscita della neonata Urss dalla prima guerra mondiale è stata occupata da vari eserciti, e nel luglio del 1920 si trova in uno stato cuscinetto fra Urss e Giappone denominato “Repubblica dell’Estremo Oriente”. Viene annessa dall’Urss solo nell’ottobre del 1922. La famiglia Briner (il cognome diventerà Brynner negli USA, molti anni dopo) è un mix etnico tipico di quelle regioni, ed è ricca ed eccentrica come i Welles. Yul si chiama Julij, nome russo. Il padre Boris è un russo di origini svizzero-tedesche, un ingegnere minerario. La madre, Maria Dimitrievna Blagovidova, è una cantante e attrice russa ma Brynner racconterà per tutta la vita che fosse di etnia rom (recenti studi lo negano). Anche Brynner, come Welles, ha un padre imprenditore e una madre artista. Entrambi vivono da piccoli il divorzio dei genitori e rimangono con la madre. Quando nel ’40 Yul e la mamma emigreranno negli USA sarà lei a raccomandarlo per fargli studiare recitazione con il noto maestro Michael Cechov, nipote del ben più famoso Anton. Ma prima, ai Briner/Brynner succede di tutto. Arrivano i bolscevichi nel ’22 e le loro sostanze vengono “nazionalizzate”. Il padre (con un’altra donna) ripara in Manciuria dove continua a combinare affari. La madre fugge con i figli in Cina, poi nel ’33 molla definitivamente quell’Asia così turbolenta ed emigra a Parigi.
1931: Welles in Irlanda
Occhio sempre alle date. Welles non è nemmeno maggiorenne quando, dopo la morte di entrambi i genitori, fa una mossa apparentemente insensata: emigra in Irlanda, un paese da cui scappano tutti. Si presenta al direttore del Gate Theatre di Dublino, Hilton Edwards, sostenendo di essere “un grande attore newyorkese”. Nessuno gli crede ma Edwards lo assume perché gli sembra un ragazzo in gamba. Debutta al Gate il 13 ottobre 1931 in un allestimento di Suss l’ebreo interpretando il Duca Alessandro del Württemberg. A 16 anni! In Irlanda fa di tutto, racconterà di avere anche viaggiato con una compagnia di zingari – ma bisogna sempre prendere i racconti di Welles con molta circospezione. Di fatto impara il mestiere. A 17 anni è un teatrante fatto e finito. Nel 1933 torna negli USA.
1933: Brynner in Francia
Le prime esibizione di Brynner sono al cabaret Hermitage di Parigi: come si evince dal nome, è un rifugio di immigrati russi fuggiti dal comunismo. Lui ha 13 anni ma è già un ottimo chitarrista, si esibisce cantando canzoni russe. Per un breve periodo fa il bagnino a Le Havre. Lavora anche in un circo. Diventa amico di Jean Cocteau che lo introduce nel milieu artistico di quella che in quel momento è, culturalmente e spettacolarmente, la capitale del mondo.
1936-38: Welles esplode, in teatro e alla radio
Tornato in America, Welles allestisce nel 1936 uno spettacolo che ha segnato la storia del teatro novecentesco: un Voodoo Macbeth con attori tutti afroamericani. L’anno dopo fonda a New York il Mercury Theatre, dove lavora con attori che poi porterà con sé a Hollywood (Joseph Cotten, Agnes Moorehead, Everett Sloane). Il successo del teatro gli procura una scrittura della Cbs per allestire radiodrammi. E il 30 ottobre 1938 la storia di Welles, e del mondo, cambia: va in onda la famosa Guerra dei mondi, Welles inventa le fake news (senza volerlo? Chissà), l’America impazzisce pensando siano sbarcati i marziani e il giorno dopo arriva una telefonata da Hollywood. La major più sbarazzina, la RKO (quella dei musical di Fred Astaire e Ginger Rogers) lo vuole: gli andrebbe di fare del cinema? Lui accetta definendo il cinema “il più bel trenino elettrico che un bambino possa ricevere in regalo”, e aggiunge, ricordando il casino provocato con i marziani: “Per quello che abbiamo fatto sarei dovuto finire in galera, invece sono finito a Hollywood”. Suggerendo, con la solita perfidia, che fra Hollywood e la galera non ci fosse tutta questa differenza.
1940: anche Brynner fa la radio
Mentre Welles prende il treno da NY a LA il giovane Brynner impara faticosamente l’inglese ma sfrutta le altre sette-otto lingue che conosce. Lavora per il ministero della difesa Usa come speaker radiofonico: trasmette in francese nella Francia occupata, e in russo per Voice of America. Lo ascoltano in mezzo mondo. Nel 1941 debutta in teatro in La dodicesima notte di Shakespeare: un testo dal quale Welles aveva tratto un cortometraggio nel 1933, il suo primo tentativo cinematografico.
1941: Welles a Hollywood
Quarto potere: basta la parola. E poi L’orgoglio degli Amberson, il capolavoro mutilato al quale la Rko taglia cinquanta minuti. Hollywood lo accoglie come un enfant prodige ma poi non gli perdona nulla. Troppe amicizie altolocate (durante la guerra scrive diversi discorsi di Roosevelt). Troppo glamour (nel 1943 sposa Rita Hayworth). Troppo incontrollabile. Già al secondo film è un reietto. Nel ’48 se ne va di nuovo in Europa.
1948-50: Brynner re del Siam
Nel 1948 Brynner lavora come regista televisivo alla Cbs, la stessa catena tv radio travolta da Welles. Poi nel 1950, quasi controvoglia, fa un provino per un musical teatrale di Rodgers & Hammerstein: Il re ed io, ispirato alle memorie di Anna Leonowens, un’inglese che nell’800 fu istitutrice dei figli del re Mongkut del Siam. Lo prendono. Farà il ruolo di Mongkut, in teatro, 4.625 volte. Nel ’55 lo porterà al cinema e vincerà l’Oscar. Quando si dice il ruolo di una vita. Anche perché è il ruolo per il quale Brynner si rade a zero i capelli, e continuerà a raderli per tutta la vita. La sua famosa pelata (non naturale) nasce qui. E crea un’altra coincidenza: sia Brynner sia Welles sono “maschere”. Brynner è una maschera fissa, Welles è un trasformista: si può dire che non ci sia un solo film in cui abbia recitato con la sua vera faccia.
1949: Welles in Europa, fra Otello e Totò
“Esule” di lusso, Welles si imbarca in un’avventura che durerà tre anni, un Otello per il cinema girato a pezzi e bocconi, quando ci sono i soldi. Per trovarli, i soldi (per questo e per altri progetti), accetta di recitare in film assurdi. Nel ‘53 interpreta L’uomo la bestia la virtù (da Pirandello) accanto a Totò, per la regia di Steno. Nel ’57 torna a Hollywood per L’infernale Quinlan, altro capolavoro maledetto.
1956: Brynner numero 1
Il successo di Il re ed io, con tanto di Oscar, rende Brynner uno degli attori più “caldi” del cinema americano. Nel ’56 fa il faraone in I dieci comandamenti e il generale Bunin in Anastasia, due grandi successi. Anastasia e I fratelli Karamazov (dove è Dmitrij) lo riportano alle radici russe. Sono tutti grandi successi. Nel ’58 rimpiazza Tyrone Power, morto improvvisamente sul set, nel ruolo di Salomone in Salomone e la regina di Saba. Re del Siam, faraone d’Egitto, re degli ebrei: Yul Brynner è il re di Hollywood.
1960: chi è Taras Bulba?
Nel 1960 Welles viene contattato dal produttore (russo) Alexander Salkind per fare Taras Bulba, dal romanzo di Gogol. Ma scoprono che si sta già facendo un film da Taras Bulba, nel quale l’eroe cosacco è interpretato… da Yul Brynner. Altra coincidenza. Welles e Salkind ripiegano su un altro romanzo famoso (e fuori diritti), Il processo di Kafka. Welles lo gira in parte a Roma ed è un film molto bello. Intanto Brynner fa un altro botto: è il capo dei pistoleri in I magnifici sette. Il film non parte benissimo in America, ma diventerà alla lunga un successo e totalizzerà 67 milioni di biglietti in Urss (biglietti, non rubli: 67 milioni di russi! Forse contenti che Brynner fosse un loro connazionale).
Anni 60: che si fa per campare
Il successo non dura per sempre. Negli anni 60 Welles alterna film bizzarri a prove d’autore. In La ricotta di Pasolini è un regista che di Fellini dice “egli danza”, e gli presta la voce in italiano lo scrittore Giorgio Bassani. Nel ’65 riesce faticosamente a terminare Falstaff, dove nel cast c’è persino Walter Chiari. Tra il ’69 e il ’70 sia lui sia Brynner interpretano due spaghetti-western. Welles è il colonnello Cascorro in Tepepa, accanto a Tomas Milian. Milian lo venera come un dio, lui lo chiama con disprezzo “il cubano”. Brynner è il protagonista, nerovestito come in I magnifici sette, di uno dei western con il titolo più ridicolo di sempre: Indio Black, sai che ti dico: sei un gran figlio di... Andavano di moda così. Poi non c’è da stupirsi se Sergio Leone disse: “Ho capito che il western era morto quando cominciarono a uscire titoli come Se vedi Sartana digli che è un uomo morto. Pensavo che il film successivo sarebbe stato Se vedi Sartana dije che è ‘no stronzo”.
1969: incontro in Jugoslavia
E finalmente Brynner e Welles recitano assieme. La battaglia della Neretva è un kolossal internazionale diretto dal croato Veljko Bulajic. Narra l’eroica resistenza dei partigiani jugoslavi contro i tedeschi fiancheggiati da ustascia e cetnici, nel ’43. Un film voluto da Tito, del quale Bulajic è amico e regista “ufficiale”: una colossale coproduzione con la quale la Jugoslavia si accredita come credibile partner (produttivo e politico) dell’Occidente. Brynner è l’eroe Vlado, Welles un perfido politicante cetnico. Nel film ci sono anche Franco Nero e Sylva Koscina, che almeno a Zagabria è nata.
1973: ultimi fuochi
Brynner ricicla per l’ennesima volta il pistolero all black ma stavolta è un androide: Il mondo dei robot è molto bello e segna il debutto alla regia di uno scrittore famoso, Michael Crichton. Nello stesso anno Welles gira F come falso: è un film teorico sulla creazione della bugia, l’ultima zampata di un grande illusionista.
10 ottobre 1985
Il giorno prima di morire Welles registra una puntata del Merv Griffin Show nella quale si esibisce in un gioco di prestigio. Anche in Quarto potere il suo personaggio, Charles Foster Kane, si divertiva con le ombre cinesi. Muore all’improvviso, con chissà quanti lavori ancora nel cassetto. Brynner invece è pronto. Non ha mai fatto mistero della malattia, anzi: era diventato un testimonial delle campagne contro il fumo, l’abitudine che l’ha ucciso. Molti italiani lo ricordano anche nei caroselli di un noto brandy, negli anni 70. Ma questa, come suol dirsi, è un’altra storia.