corriere.it, 9 ottobre 2025
Richard Ashcroft: «Quando girammo il video di Bitter Sweet Symphony le ragazze non mi riconoscevano e dicevano che ero troppo brutto»
Mentre il fumo delle sue sigarette annebbia l’immagine che arriva via Zoom, Richard Ashcroft racconta soddisfatto dell’estate incredibile appena trascorsa, in cui è stato opening act dei concerti degli Oasis nel Regno Unito e in Irlanda: una ciliegina sulla torta per i fan del Britpop degli anni Novanta, sicuramente anche fan dei Verve, la sua ex band. E una rinascita per lui, 54enne dall’attitudine eternamente rock, che venerdì 10 ottobre pubblica il nuovo disco «Lovin’ You».
Com’è stato far parte della reunion dell’anno, se non del secolo?
«È stato enorme, unico, travolgente e irripetibile. Non sarà mai più così. Sono stato molto fortunato, non era scontata neanche la risposta del pubblico: loro erano lì per gli Oasis, ma sono stati così partecipi anche con le mie performance. L’ultima sera a Wembley ho alzato la testa e l’intero stadio era lì, con le luci dei telefoni accese».
La sua storia e quella degli Oasis si intrecciano dagli inizi.
«Ci conosciamo da quando giravamo in furgone e nessuno sapeva chi fossimo. Loro hanno sostenuto i Verve, noi abbiamo sostenuto loro quando siamo diventati enormi con “Urban Hymns”, poi sono diventati giganteschi loro, io sono rimasto da solo. Adesso si è chiuso il cerchio e il fatto che mi abbiano chiamato è bellissimo perché ovviamente avrebbero potuto avere chiunque, ma credo fosse giusto, era scritto nel destino che fossi io, che terminassi “Bitter Sweet Symphony” e mezz’ora dopo partisse il loro show. Era la serata perfetta e loro sono stati magnifici, meglio di quello che la gente si immaginava».
Avete festeggiato molto dietro le quinte?
«No perché la posta in gioco era troppo alta. Se si pensa a quanti milioni di sterline dipendessero dalla gola di Liam, era abbastanza importante prenderla seriamente. La vera festa, il vero successo, sono state quelle due ore sul palco, era tutto lì. Poi io posso solo parlare per me stesso, ma ho fatto così tanta festa e così tante serate nella mia vita che in questo caso era importante essere nella miglior forma possibile, lo dovevamo alla gente. C’è chi non vede l’ora di dirti che sei stato una delusione o sei troppo vecchio, invece è andata benissimo. Ad ogni modo abbiamo fatto una bella serata a Dublino in cui ho bevuto più Guinness di quante ne avessi mai bevute in vita mia, ma essenzialmente per gli Oasis, di certo per Liam, contavano gli show. Quindi ok, ci siamo fatti giusto un paio di drink, ma niente di serio, in generale Liam arrivava, cantava e andava via. Anche perché quando sei giovane puoi salire sul palco senza aver chiuso occhio, ma diventando più vecchio devi riguardarti, inutile negarlo».
La reunion degli Oasis farà bene al mondo della musica o è solo nostalgia?
«Ho incontrato così tanti giovani che non vedono l’ora di formare una band e scrivere canzoni, da quando c’è stato questo tour, che credo ne vedremo i risultati in futuro. Credo che questa reunion si tradurrà in nuovi cantautori e nuovi gruppi, farà rinascere tutto questo comparto e sarà eccitante».
Ma ci sono nuove rockstar in giro?
«Mi pare difficile oggi poter incarnare la quintessenza della rockstar perché tutti sono così spaventati da ciò che la gente pensa di loro. Essera una rock’n’roll star sembra quasi una vecchia moda, ma non si tratta di moda, è lo spirito che conta, è l’idea di vivere la propria vita con la maggior libertà di espressione possibile, di farlo e poi aiutare la gente a trascendere: le persone pagano affinché tu le conduca in una dimensione speciale e unica».
Per lei è stato così?
«Quando avevo 15 o 16 anni, io volevo essere una rock’n’roll star, adoravo leggere dei Beatles o dei Rolling Stones e c’erano elementi di quel tipo di vita che mi parevano fantastici. Ma dove sono oggi le rockstar? Ci sono i rapper e i produttori che si sono un po’ presi quell’attitudine, mentre a volte nel rock si è un po’ persa questa cosa. Ma io ho vissuto un sogno, il sogno di fare quel che si vuole. Non si tratta di droghe, né dell’aspetto materiale, ma dell’avere questa grande e autentica libertà, venendo da un contesto in cui nessuno se lo aspettava da te. Ti crei la tua realtà e mostri alla gente che si può fare».
Chi è cresciuto negli anni Novanta ha sicuramente sognato di essere lei che prende a spallate i passanti, nel video di «Bitter Sweet Symphony». Che ricordi ha di quando è stato girato?
«Ero un po’ imbarazzato, nessuno sapeva chi fossi e mi sentivo a disagio a prendere possesso della strada in quel modo. Ricordo di aver camminato accanto a una lavanderia e le due ragazze che erano lì hanno detto: “Non può essere una popstar, è troppo brutto”. Succedevano cose del genere. Poi mi ero appena comprato delle Clarks Wallabee, quindi ho detto al regista: “Comincia inquadrandomi le scarpe”, perché avevo tutti i miei riferimenti culturali, ma lui non capiva bene. Io sono un po’ punk nella mia testa e temevo che il video rubasse attenzione alla canzone, a cui tenevo tantissimo. Invece tutto è andato per il verso giusto, il video è ancora potente e la canzone continua a crescere negli ascolti, sta lì con i pezzi migliori della storia quindi non mi posso lamentare».
Il suo nuovo disco è musicalmente molto eterogeneo, come mai?
«Ero partito con l’idea di fare un album basato sui campionamenti musicali, come è il singolo “Lover”, ma a volte le etichette chiedono anche 20 o 30 mila dollari per farti usare un campionamento e ho pensato che così tutto l’album mi sarebbe costato 300mila dollari e forse non era fattibile. Quindi ad un certo punto ho deciso di fare un disco molto eclettico, in cui la mia voce fosse il collegamento per legare tutto insieme, rock, soul, hip hop, blues, elettronici e anche country, così andando avanti potrò proseguire in qualsiasi direzione».
Nel testo di «Lovin’ You» cita la Fontana di Trevi e Torino.
«C’è una specie di giro per il mondo e l’Italia ha ben due menzioni. A Torino mi sono innamorato del Museo della Sindone perché mi interessa molto il concetto di rinascita e resurrezione, inteso anche come rinascita personale, quindi dico che a Torino “mi hai insegnato come morire e poi tornare a vivere”».
L’amore è un tema molto presente.
«Non volevo che i miei ascoltatori si sentissero soltanto tristi rispetto alla vita perché in questo momento penso ci sia bisogno di mantenere la speranza, o quantomeno ne ho bisogno io come compositore. Volevo si sentisse l’estasi, la gioia, e l’amore come sappiamo è incredibilmente potente ed è l’unica cosa che può prevalere sull’odio. Con tutto quel che sta accadendo si rischia di perdere la capacità di alzarsi la mattina, quindi volevo che le canzoni non fossero solo scure e disperate. A volte la gente si dimentica che il pop o la melodia possono essere sofisticati, far stare bene e avere anche una certa profondità. Siamo tutti bravi a esprimere sentimenti negativi, ma esprimere la gioia non è facile come sembra, specie in questo periodo».