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 2025  ottobre 10 Venerdì calendario

«Sono incinta» e Sarni la licenzia. La Cgil: storia simbolo dei precari

Le hanno annullato il rinnovo del contratto a termine mezzora dopo aver saputo che lei era incinta. Il racconto di questa storia di ordinaria precarietà e l’accusa nei confronti di una delle grandi aziende della ristorazione autostradale, Sarni, parte dal segretario della Filcams-Cgil di Arezzo, Marco Pesci, teatro della vicenda, che adesso sfocerà in una causa davanti al giudice del lavoro, l’area di servizio Arno est dell’Autosole, in pieno Valdarno, comune di San Giovanni, corsia nord.
La protagonista del caso è una giovane valdarnese sulla trentina, che era stata assunta inizialmente con un contratto a termine di un mese, poi rinnovato per un altro trimestre. Infine, una decina di giorni fa, sempre nelle parole di Pesci, un nuovo prolungamento, stavolta di quattro mesi che sarebbero scaduti a gennaio 2026. Ma ecco la trappola. 
La ragazza si accorge di essere incinta e lo comunica via WhatsApp all’azienda, un gigante del settore, con oltre 2.500 dipendenti in tutta Italia, 1.500 dei quali sulla rete autostradale nazionale, sede centrale a Maglione di Chieti, proprietaria la famiglia omonima. Il messaggino per la protagonista è un obbligo, previsto dalle norme a tutela della salute. 
E però nel giro di qualche decina di minuti Sarni comunica al centro per l’impiego di Arezzo l’annullamento del rinnovo di contratto appena depositato. «Non è affatto un caso – spiega Pesci – il legame fra il Whatsapp e il mancato rinnovo è fin troppo evidente. Non l’hanno voluta più al lavoro perché lei è incinta». Altrettanto duro il commento: «Non possiamo tollerare che una dipendente venga cacciata dal lavoro solo perché aspetta un figlio. È un salto, un grandissimo salto indietro nella storia dei diritti delle donne e dei lavoratori».
 Del resto, i rapporti fra sindacato e Sarni sono già tesi da anni, da quando il marchio è subentrato nella gestione del punto di ristoro: «Lì il lavoro è sempre più precario, con sempre meno dipendenti a tempo indeterminato e sempre più contratti a termine, meno costosi e più facilmente ricattabili».
Da Sarni per ora nessuna replica: ai numeri di telefono dell’azienda, locali e centrali, non risponde nessuno. Le responsabilità, accusa Pesci, non sono soltanto di chi gestisce i punti di ristoro, ma anche del committente concessionaria, Autostrade per l’Italia: «Le concessioni delle aree di servizio sono di origine pubblica. Sarebbe fondamentale una verifica dei soggetti cui vengono affidate, prevedendo già nelle concessioni la garanzia del rispetto dei diritti dei lavoratori che svolgono quotidianamente un servizio per tutta l’utenza che si affida al trasporto autostradale».
Fra l’altro, ricorda ancora il segretario, «la maternità anticipata, obbligatoria per i lavoratori della ristorazione lungo la rete autostradale, non è a carico dell’azienda ma dell’Inps. Il costo insomma non sarebbe ricaduto su Sarni ma sulle casse pubbliche. È un modo di intendere i diritti dei dipendenti che ci riporta ai padroni delle ferriere». 
Intanto, la giovane ha perso sia il posto che la possibilità di riscuotere la maternità: «Una storia simbolo del precariato e di come possono ancora oggi essere trattate le donne, cioè buttate fuori dal posto di lavoro in mezzora perché stanno diventando madri».