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 2025  ottobre 09 Giovedì calendario

Msf chiude centri d’accoglienza messicani a causa del calo dei flussi migratori

«Perché è già notte e i barbari non vengono. È arrivato qualcuno dai confini a dire che di barbari non ce ne sono più». I versi scritti da Konstantinos P. Kavafis nella poesia “Aspettando i barbari”, con un’intera società in nevrosi per la temuta invasione che non c’è, possono anche riflettere il triste epilogo che pian piano prende forma nell’America centro-settentrionale, al confine tra gli Stati Uniti e il Messico, dove la criminalizzazione dei migranti, i tagli di risorse e servizi e la violenza endemica di gang criminali contro chi è transito fanno ormai da deterrente per chi giunge da Sud, fuggendo da fame, povertà e persecuzioni. Un colpo dopo l’altro – tra retate, espulsioni e impotenza dei Paesi vicini – l’amministrazione Trump ce l’ha fatta: «di barbari non ce ne sono (quasi) più».
Almeno non al confine nordorientale del Messico, nello stato di Taumalipas, dove Msf, Medici senza frontiere, ha annunciato la chiusura delle attività nelle città di Reynosa e Matamoros a causa della notevole diminuzione dei flussi migratori. Chiude quindi un presidio di servizi primari, tra cui assistenza medica, sostegno psicologico e altre attività, avviato nel 2017 dall’organizzazione, ma Msf continuerà a rispondere ad altre emergenze umanitarie ancora presenti nel Paese. Sostiene Cristina Romero, coordinatrice delle attività mediche Msf a Reynosa, che in otto anni di progetto sono state assistite «migliaia di persone esposte a rischi estremi come rapimenti, torture, violenze sessuali ed espropriazioni». Mai da soli, ma in collaborazione con istituzioni locali, case rifugio e organizzazioni comunitarie. Stando ai numeri presentati dall’organizzazione si parla di 67mila visite sanitarie di base, 13mila sedute psicologiche individuali e quasi 4mila di gruppo. In otto anni Msf ha assistito 394 sopravvissute a violenza sessuale ed effettuato 3.700 consultazioni di pianificazione familiare.
Complessivamente le Jornadas di promozione della salute sono state 40mila e ne hanno beneficiato in 127mila. Tuttavia, il progetto non si è limitato alle ricadute quantitative, ma a una cultura dell’accoglienza nata «nella collaborazione con i partner locali e nel rafforzamento di modelli di assistenza che ora possono essere replicati in altri contesti di mobilità e violenza», confida Carolina López, coordinatrice del progetto Msf a Reynosa e Matamoros. E non solo. La presenza di Msf e di altre organizzazioni è sempre servita per denunciare le arbitrarietà e violenze perpetrate al confine Usa-Messico e legittimate da misure come “Rimanere in Messico” e dall’improvvisa sospensione del Cbp One, che ha lasciato migliaia di vite in bilico. Nel frattempo la crisi migratoria è pane quotidiano in un Paese che, nei primi sei mesi dell’anno, contava quasi 120mila arresti di migranti in transito, con una media di 666 al giorno. Cifra più bassa del 2024, vero, dove la media era di oltre 3mila detenzioni giornalieri, ma comunque sufficiente per smentire la retorica dell’«umanesimo messicano» promossa dal governo di Claudia Sheinbaum. Pesa anche lo scarso impegno delle autorità messicane a informare i migranti sui loro diritti e sui servizi a disposizioni, lasciandoli esposti a truffe e inganni, che dal 2023 al 2025 sono aumentate dal 30 al 50%. Il vuoto informativo, altro deterrente, è stato finora colmato dalle organizzazioni umanitarie, per quanto possano rimanere operative. Chissà se in fin dei conti la storia non coincida, per ragioni economiche, sempre con la poesia di Kavafis: «Come faremo adesso senza i barbari? Dopotutto, questa gente era la soluzione».