corriere.it, 8 ottobre 2025
Il granchio blu ha distrutto l’economia ittica, ora diventa cibo per gatti
Il granchio blu, specie invasiva che ha ormai colonizzato il mare Adriatico e che crea notevoli problemi alla fauna ittica autoctona e agli impianti di acquacultura, potrebbe trasformarsi da problema a risorsa, diventando (anche) ingrediente per la produzione di cibo per gatti. Pescato in grandi quantità, avrebbe un possibile utilizzo virtuoso nell’industria del pet food, che già in molti casi ricorre alle farine di pesce. A provare a dare un valore allo splendido ma terribile crostaceo dalle chele turchesi è ora un progetto portato avanti da FilBlu, una filiera che mette insieme diversi soggetti: il consorzio delle cooperative di pescatori del Polesine, che sono i primi e diretti interessati; le università di Milano e Padova e la start-up Feed from food da esse generata che ha dato la visione generale dell’iniziativa; l’azienda Sanypet-Forza10 che produce il nuovo paté, la catena di punti vendita «L’isola dei tesori» che si occupa della distribuzione. I proventi, al netto dei costi e delle tasse, verranno destinati allo stesso progetto che punta a dare una nuova prospettiva agli operatori del settore ittico, che nell’ultimo biennio hanno subito perdite considerevoli.
L’iniziativa è stata presentata oggi nello stabilimento di Forza10 a Bagnoli di Sopra (Padova) dove la produzione in forma di «special edition» è già cominciata. Sostanzialmente dal granchio blu – ma volendo anche solo dalla parte di scarto che non viene utilizzata per l’alimentazione umana -, attraverso un processo meccanico di disidratazione e triturazione si ricava una materia prima seconda, una sorta di granulato da utilizzare come ingrediente nelle formulazioni di cibo per animali. Si è partiti dal gatto, anche perché il sapore del granchio è più affine alla abituale dieta dei mici. La distribuzione è iniziata nei circa 370 negozi della catena specializzata o ora si attende il test più importante, quello del gradimento da parte dei consumatori finali, ovvero gli amici felini. Se il riscontro sarà positivo le filiera si strutturerà per operare su una scala più vasta.
Le farine di pesce sono utilizzate abitualmente nella produzione di pet food, ma spesso sono ricavate dalla lavorazione del krill, il piccolo gamberetto che viene pescato da enormi pescherecci che saccheggiano il mare antartico sottraendolo di fatto all’alimentazione di balene, foche, pinguini e della fauna marina in genere; o dalla cattura di enormi quantità di pesci piccoli, meno appetibili per la vendita diretta sui mercati occidentali (dove a farla da padroni sono salmoni, tonni e merluzzi,) spesso prelevati al largo delle coste atlantiche africane e che vengono di fatto tolti dalla disponibilità delle comunità locali, che ne avrebbero invece un gran bisogno per il proprio sostentamento. Processi non sostenibili e neppure etici. Diverso sarebbe però l’utilizzo di una materia prima derivante da una specie ittica che non ha bisogno di essere tutelata ma da cui ci si deve in qualche modo tutelare.
«Nel 2023, c’è stata la prima invasione su vasta scala e la nostra pesca di vongole è stata decimata – spiega Paolo Mancin, presidente del Consorzio delle cooperative di pescatori del Polesine -. Tiravamo su le vongole e contemporaneamente i granchi blu che se le stavano mangiando. Circa 1.500 pescatori hanno visto in poche settimane crollare le loro entrate». Quei pescatori, nel giro di due anni, si sono ridotti di un terzo. «Oggi siamo meno di mille – conferma ancora Mancin -, gli altri hanno dovuto cambiare lavoro». Il colpo è stato duro soprattutto per la manodopera femminile. «È stata anche questa la motivazione che ci ha incoraggiato a lavorare a questo progetto – sottolinea Claudia Balzaretti, docente della facoltà di Veterinaria dell’Università di Milano e cofondatrice con Marta Castrica dell’Università di a Padova di Feed from food -, ovvero la possibilità di dare un aiuto concreto in un settore dove a pagare di più è stata la componente femminile. Noi siamo una società benefit, ci occupavamo già di recupero degli scarti alimentari a fini caritatevoli. Di fronte all’emergenza del granchio blu abbiamo incontrato i pescatori di Porto Tolle e abbiamo provato a ragionare su come poterli sostenere».
Sono stati coinvolti anche enti locali e governo (c’è un commissario ad hoc per l’emergenza causata da questo crostaceo e che vede di buon occhio ogni possibile iniziativa di utilizzo e valorizzazione) e due attività imprenditoriali fortemente legate al territorio veneto, appunto Forza10 e l’«Isola dei tesori», che da queste parti hanno avuto i loro natali prima di diventare player del settore su scala nazionale. «Il 90 per cento nostri prodotti contiene pesce – sottolinea Giorgio Massoni, ad di Forza10 -. Il mare è nel dna dell’azienda. Con questo progetto abbiamo la possibilità di restituire qualcosa al mare stesso, che a noi ha dato tanto. Per questo abbiamo deciso di rinunciare a eventuali proventi e di destinarli ai pescatori per l’acquisto dei macchinari necessari alla riconversione»