Corriere della Sera, 9 ottobre 2025
Intervista a Massimo Perotti
Cavalier Perotti, cosa avrebbe fatto se non avesse incrociato la nautica?
«Il cardiochirurgo o il neurochirurgo e sono convinto mi sarebbe riuscito bene. Mi sento un medico mancato. Un mio amico mi stava quasi convincendo ad iscrivermi a medicina».
Invece...
«Invece all’ultimo istante, come previsto, scelsi Economia e commercio. E fu proprio quell’amico a farmi conoscere Paolo Vitelli, il fondatore di Azimut. Un colpo di fortuna. Vitelli mi insegnò molto di ciò che so».
Classe 1961, torinese, fisico imponente, battuta pronta, modi accattivanti, Massimo Perotti si sente senza false modestie Massimo Perotti, uno dei leader più ascoltati e rispettati nella nautica di lusso nel mondo. In 20 anni – dal 2005 – ha portato Sanlorenzo, piccolo cantiere boutique, a scalare le classifiche mondiali fino a diventare il secondo produttore di super yacht. Un signore, Cavaliere pardon, che se vuoi una barca dei suoi tre marchi – Sanlorenzo, Bluegame e Swan – ti devi mettere in fila. Come le Ferrari. Posto che Perotti si è conquistato partendo nel 1984 da Azimut, creatura di un grande della nautica mondiale, il recentemente scomparso Paolo Vitelli. A 27 anni Perotti è dirigente, a 36 nel cda. Il gruppo cresce ma nel 2005, con uno strappo anche umano, Perotti acquisisce dal fondatore, Giovanni Jannetti, i Cantieri Sanlorenzo.
Inutile chiederle se lo rifarebbe, ma quanto le costò sul fronte affettivo?
«Lo rifarei, ma mi è costato tanto perché per Vitelli ero quasi un figlio. È stato il padrino della mia prima figlia e io suo testimone di nozze. Poi è finita, come finiscono tante storie. Dopo l’acquisizione di Benetti, capii che non c’era più la sintonia di un tempo, le visioni erano diverse».
Quindi, la rottura, l’uscita e l’acquisizione di Sanlorenzo, che le riservò un primo anno di lavoro durissimo.
«Forse il più duro della mia vita. Io venivo da un’azienda che faceva 700-800 milioni di fatturato, ero l’amministratore delegato di Azimut mentre Vitelli seguiva Benetti. Aveva fiducia in me, mi muovevo nella massima autonomia. In Sanlorenzo, Giovanni Jannetti, che aveva doti umane eccellenti, per il primo anno non mi fece toccare palla, faceva tutto lui, dai grandi acquisti alla carta igienica. Non aveva dirigenti ma tante segretarie. Per me fu come passare dalla Champions alla Serie C, ma metabolizzai i valori del brand. Poi, come da accordi, presi il comando».
Fu allora che inventò il vetro incollato curvo per gli yacht?
«Quello, ma non solo, l’ho inventato quando ero in Azimut. Avevo 32 anni e Vitelli disse: “se si rompe, ti licenzio”. Pensai a questa soluzione perché i vetri delle barche erano piatti con profilo di alluminio o acciaio, rivettati sulla vetroresina. L’acqua passava tra il metallo e la vetroresina o tra il vetro e il metallo. Un amico che lavorava nell’automotive mi disse che da 20 anni incollavano i vetri del parabrezza. Provammo, usando mastici flessibili per evitare che le vibrazioni spaccassero i vetri e funzionò. Con questa novità, studiata con il designer Stefano Righini, uscimmo con vari modelli. Un cambio epocale, copiato da tutti».
Cos’altro inventò?
«Oggi sembra una banalità, ma sono state le vetrature laterali degli yacht. Nel 2003 con Vitelli decidemmo di fare gli open. Il modo di interpretare l’open fu l’inizio del distacco tra noi. Realizzammo l’Azimut 63 aprendo sei quadrati sui fianchi e lo presentammo a Genova. Da allora, tutte le barche hanno potuto avere aperture di qualsiasi forma sui lati. Vitelli si arrabbiò. Diceva che quella barca non era un vero open. Ne vendemmo 33, gli portai gli assegni ma era il momento di cambiare aria».
A chi spende milioni di euro occorre dare la sensazione di acquistare un pezzo unico. Nacque così lo slogan «niente è come il tuo yacht Sanlorenzo. Nemmeno un altro Sanlorenzo»?
«Il fatto su misura era uno degli elementi caratterizzanti di Jannetti. Era un uomo di grandissima fantasia e se gli stavi antipatico, la barca non te la vendeva. Non concepiva la ripetizione industriale. Ogni barca era fatta per il cliente. I clienti pagavano di più in cambio di maggiore qualità. Questo è stato anche un leit motiv della quotazione in Borsa perché agli investitori il price premium di Sanlorenzo è piaciuto molto. Quotati a 16 euro, siamo saliti a 46. Importante, a un certo punto, quotarsi. Non averlo fatto è stato forse il motivo decisivo per il quale Vitelli ha perso i tre manager di punta: me, Carla Demaria e Vincenzo Poerio. Quando l’azienda supera certi valori, la Borsa permette, tra l’altro, di affrontare la retention con le stock options – tenere i bravi e attirarne di nuovi – e impone ordine, rigore e ritmo alla gestione. Decisivo per chi ha una clientela facoltosa».
A proposito di ricchi, i clienti più difficili? Mai pensato: «Questo è troppo!»?
«Lavoravo con Vitelli. Arrivò un americano molto ricco ma che si dimostrò tossico. Ci tormentò così tanto che alla fine la “sua” barca la vendemmo a un messicano. Quando venne a prendere la barca, l’avevamo messa già su una nave destinazione Messico. Chiese dove la stessimo mandando. “Ad un cliente più simpatico”. Gli restituimmo i soldi».
Le richieste più strane?
«Trovare lo spazio dove alloggiare un sottomarino o un garage per parcheggiare un aereo, di quelli con le ali pieghevoli. E poi ideare, per i bambini di un cliente, una sorta di osservatorio per ammirare i fondali marini. Anche un giardino botanico ha fatto parte delle richieste assai particolari. Ma il meglio forse deve ancora venire: il prossimo anno consegneremo un esemplare dell’ammiraglia varata proprio nei giorni scorsi, il 74Steel, con un grande albero che trapasserà i ponti, appositamente scolpiti per ospitarlo».
Vero che a un cliente che non voleva aspettare ha venduto la sua barca?
«Mi è capitato varie volte. Ho da poco venduto Almax, il mio 50 metri, a un cliente americano che non voleva aspettare, mancando la promessa fatta alla mia famiglia di tenere una barca almeno tre anni. D’altra parte, era un’offerta che non potevo rifiutare».
Le piace il gioco di squadra, ma è noto per essere uno che controlla tutto.
«Un bravo imprenditore deve farlo. Prima del G7 a Genova, Berlusconi fu molto criticato perché andò nelle strade a vedere se c’erano panni stesi, perché lì passavano i sette capi di Stato. Lo accusavano di perdere tempo ma aveva ragione perché il dettaglio fa la differenza. Se i tuoi sanno che controlli tutto, sono più attenti. Altra cosa imparata da Vitelli».
Sanlorenzo è entrato nel mondo della vela acquisendo l’iconico brand Nautor Swan da Leonardo Ferragamo dopo una trattativa durissima…
«Durissima, perché ha venduto un pezzo d’anima, di cuore. Quando hai un legame forte, emotivo, il valore non è razionale. Lui è convinto di aver venduto a un prezzo bassissimo, io di aver comprato a tre volte il vero valore. E per chiudere abbiamo impiegato 14 mesi. L’importante è aver già impresso una svolta decisa al cantiere. Vogliamo raddoppiare il fatturato tra i 3 e i 5 anni».
Lei ha detto: «Fare l’imprenditore è un grande sacrificio: o sei disposto a farlo o altrimenti ti rovini la vita. Tornassi indietro forse lavorerei un po’ meno, con più equilibrio. Penso che i giovani di oggi siano più bravi di noi».
«Confermo. Io ho lavorato tantissimo nella mia vita perché è quello che ho imparato da mio padre. I miei figli non sono disponibili a lavorare quanto me. Una vita che mi ha portato tra l’altro a separarmi dalla mia prima moglie. Penso sia giusto vivere con più equilibrio, dove il lavoro è importante ma non deve cancellare la vita privata».
Nelle occasioni importanti, sua moglie è al suo fianco. E nel quotidiano che rapporto ha con un uomo che se non è in cantiere gira il mondo?
«Mia moglie lavora in Sanlorenzo e ci lavorava prima che io comprassi. Con l’acquisizione – ride – ho fatto un pacchetto tutto compreso».
Ci sarà un momento in cui lascerà il timone, magari tra dieci anni?
«Anche venti. Dopo una settimana in ferie, mi annoio. Prima o poi, se lo vorranno, lascerò il timone ai miei figli».
Chi sono i suoi amici? Ne ha più nel suo mondo o fuori dalla nautica?
«Ne ho dentro e fuori. Sto comunque vivendo il periodo più bello della mia vita. Ho ancora i miei genitori, una bella famiglia, una nipotina di tre anni, amici. Ho paura perfino a dirlo, qualche volta mi ci sveglio la notte».