Corriere della Sera, 9 ottobre 2025
L’appello del figlio di Aung San Suu Kyi: «Mia madre sta male, aiutatemi a liberarla»
Non si arrende Kim Aris. «May May (mamma in birmano, ndr) è in precarie condizioni di salute. Ha compiuto 80 anni a giugno. Soffre di cuore, ha problemi di pressione. E i generali continuano a tenerla in carcere, in isolamento: non le è concesso nemmeno di rivolgere le parola agli altri detenuti».
Il secondogenito di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace, icona dei diritti umanitari, la donna che aveva fatto sognare il Myanmar (ex Birmania) traghettando il suo Paese, con fatica e dolore, verso la democrazia, è in Italia per incontrare politici e attivisti, invitato da Albertina Soliani, ex senatrice e presidente onorario dell’Associazione per l’amicizia Italia-Birmania. Kim Aris ci risponde al telefono dal Monastero Mustangam, sui monti di San Lorenzo, vicino a Lerici, in un «paesaggio paradisiaco: avevo davvero bisogno di un momento di pace e meditazione». A Bologna ha da poco incontrato Pier Ferdinando Casini. Prima, a Roma, era stato al Senato e il presidente La Russa lo aveva salutato invocando «la liberazione di Aung San Suu Kyi». «Sono grato a tutti», dice ancora Kim. «Ogni intervento è un passo in avanti in favore di May May».
Quali sono le condizioni di sua madre?
«Non buone. Abbiamo chiesto l’intervento di un cardiologo che la possa visitare in prigione. Ma non sappiamo se gli è stato accordato il permesso. La giunta militare ha eretto un muro di silenzio attorno a lei».
Qualcuno aveva scritto che Aung San Suu Kyi si trova agli arresti domiciliari…
«Sono bugie. Mia madre è in carcere da quasi cinque anni. Non è mai uscita e non sappiamo virtualmente nulla di lei, solo poche notizie che mi arrivano ogni tanto. Le condizioni in cui è tenuta sono inumane».
Cosa si può fare per lei?
«Io invoco ogni giorno un intervento in suo favore da esponenti del mondo libero. Ricevo tante promesse. Ma finora nessuna azione concreta. Senza fatti, non cambierà nulla per lei».
Chi potrebbe avere un ruolo per aiutare sua madre? Un governo occidentale?
«Non so dire se un governo qui in Occidente potrebbe fare la differenza. Ma certo quello cinese ha il potere per intervenire ed essere ascoltato dai generali. E tuttavia so che da Pechino è stata chiesta la liberazione di May May. Ma di nuovo: senza risultato. In effetti la Cina ha un ruolo ambiguo in quell’area. È noto che sostenga gruppi di rivoltosi che combattono la giunta militare. La verità è che la Cina ha a cuore soprattutto i propri interessi. La situazione, in Birmania, è ancora troppo confusa».
La guerra civile, in Birmania, va avanti da quasi 5 anni: i generali sono ancora lì...
«I generali controllano meno del 50 per cento del territorio birmano. Senza il sostegno di Cina, Russia e anche dell’India, la guerra sarebbe finita da tempo».
Come si spiega tutto questo silenzio intorno a sua madre? C’entra forse il suo atteggiamento «tiepido» in favore dei Rohingya, quando i militari hanno avviato la terribile repressione contro di loro?
«Questa idea è il frutto della propaganda del regime. Mia madre ha fatto tutto quanto in suo potere per difendere i Rohingya. La campagna che si è sviluppata in quell’occasione è stata manipolata dai media per ragioni incomprensibili. I danni sono stati irreparabili».
Che si può fare allora?
«Io ora spero solo che i generali vogliano ripulirsi l’immagine e si decidano a liberare mia madre per ragioni umanitarie. Ho questa speranza, come spero ancora che chi ha il potere di farlo interceda per lei prima che sia troppo tardi».