il Fatto Quotidiano, 8 ottobre 2025
Murakami, traduzioni e sugo
Nella seconda metà degli anni Ottanta ha abitato tra Roma e Palermo. Era un giovane scrittore giapponese, di cui nessuno e nessuna – in Italia – aveva mai letto, né saputo niente. Ogni giorno, con la consueta disciplina che lo contraddistingue tutt’oggi, scriveva già all’alba, camminava molto e mangiava volentieri nelle trattorie, preferendo spaghetti al pomodoro e insalate miste a piatti più complessi. In quel periodo ha imparato anche i trucchi per cucinare un buon sugo fresco, descrizione che troviamo spesso tra le righe dei suoi scritti. Sono stati un paio d’anni importanti, in cui ha dato forma a romanzi divenuti, dopo un decennio, tra i più letti nel mondo, non solo in Italia. Ed è proprio qui – nel Bel Paese – che Murakami Haruki ha scritto la prima stesura di Norwegian Wood e di Dance dance, dance e oggi all’Istituto italiano di cultura della Capitale giapponese riceve il premio letterario “Tokyo-Roma – Parole in Transito” insieme alla sua voce italiana Antonietta Pastore, scrittrice e traduttrice.
“A quel tempo” ricorda l’autore settantaseienne – in piena forma fisica quanto assolutamente allergico a foto, domande e che “i Kami non vogliano” a qualsiasi azzardato tentativo di selfie – “non erano ancora state pubblicate in Italia traduzioni dei miei romanzi. Quindi non potevo dare alle nuove conoscenze e amicizie il mio libro dicendo: ‘Ecco, questo è il romanzo che ho scritto. Leggetelo, se vi va’”. L’Italia, l’Europa, è stata inizialmente una realtà molto complicata da gestire per lo scrittore nato a Kyoto: “All’epoca invidiavo davvero i musicisti e i pittori. La musica e la pittura non richiedono intermediari come la traduzione. Basta semplicemente mostrarle o farle ascoltare a qualcuno. Ma i romanzi non sono così. Senza una traduzione, non è possibile far capire all’altra persona di cosa si tratta”.
Murakami è oggi uno degli scrittori più famosi del pianeta grazie all’indubbio fascino del mondo narrativo che racconta, e alle traduzioni in più di 50 lingue dei suoi romanzi, saggi e racconti. E come conseguenza di un altrettanto talento – quello di trasferire parole, significati ed emozioni dal giapponese all’italiano – è seguito nella penisola con particolare fedeltà. Tanto che i murakamiani nostrani rappresentano una folta e vivace comunità fatta di lettori, studiosi, e critici letterari. Tale successo si deve anche alla torinese Antonietta Pastore, che è capace di rendere meravigliosamente bene la scrittura di Murakami. Nella sua ultima avventura all’interno di La città e le sue mura incerte (Einaudi, 2024), romanzo reso in italiano in circa un anno di lavoro, l’autore ha ritrovato temi, luoghi, animali tipici di altre storie, così come il rapporto scindibile eppure necessario con le ombre di ognuno di noi. Ha rivisitato attraversamenti da dimensioni reali in alternative, nonché personaggi dalle caratteristiche riconoscibili, perché già presenti in narrazioni del passato. Questo ulteriore ed eccellente lavoro frutto del binomio Murakami-Pastore ha fatto decidere ai dodici giurati del Premio “Tokyo-Roma” di assegnare loro la vittoria, su oltre 20 candidati, rispettivamente “per la narrazione e la traduzione di un romanzo giapponese”, omaggiandoli oggi a Tokyo con una Cerimonia di fronte a 400 persone.
Il premio letterario ideato dal presidente della Fondazione Italia-Giappone, l’ambasciatore Umberto Vattani, è giunto così alla sua quarta edizione, ed è l’unico in Italia a porre l’accento sull’essenziale valore della traduzione e soprattutto a dare rilievo a chi se ne occupa. Sono spesso nomi di persone ingiustamente poco conosciute da lettori e lettrici, eppure indispensabili, oltre che responsabili del successo di un romanzo. I due vincitori del 2025 ne sono del tutto consapevoli, perché entrambi amano e praticano la traduzione. Murakami ha tradotto in giapponese da Salinger a Fitzgerald, passando per numerosi altri autori nordamericani, mentre il suo primo libro tradotto da Pastore risale al 1999: L’uccello che girava le viti del mondo. “A questo ne sono seguiti molti altri” ricorda la scrittrice, fresca di stampa in libreria con Dove vuole andare, sensei? Un viaggio nel cuore del Giappone, sempre per i tipi di Einaudi. “Ho restituito in italiano suoi romanzi, racconti, saggi… in tutto sono più di 25. A ogni traduzione, ho avuto l’impressione di ritrovare un amico, perché in questa lunga frequentazione della scrittura di Murakami, ho capito di essere in profonda sintonia con il suo pensiero.”
Alla domanda sul “mestiere del tradurre da una lingua complicata come quella giapponese (composta da tre alfabeti e livelli di formalità molteplici), Pastore osserva: “Nella mia lunga frequentazione della scrittura di Murakami, ho percepito una grande affinità con i suoi valori, che non sono mai asseriti in modo ‘predicatorio’, ma emergono spontaneamente dalle storie. Inoltre, io e lui, siamo della stessa generazione: ci separano solo tre anni d’età, abbiamo quindi vissuto gli stessi cambiamenti epocali, e credo che anche questo mi permetta di comprenderlo a fondo”.