Tuttolibri, 4 ottobre 2025
"Margot era una normale puttanella non la mia povera, piccola Lolita"
Articolo pubblicato su Tuttolibri nel 2016
Nessuno sa con precisione chi fosse la Winifred Roy che nel 1935 volse in inglese Camera oscura – il romanzo pubblicato da Nabokov due anni prima a Berlino, «matrigna delle città russe» (vi si erano stabiliti più di trecentomila emigrati dall’Urss), quando lo scrittore usava ancora la lingua madre e lo pseudonimo “Sirin”. A Miss o Mrs Roy va comunque, nell’affollato limbo dei cattivi traduttori, la nostra gratitudine postuma per la versione «sciatta, informe, piena di grossolani errori» cui dobbiamo Una risata nel buio.
«Siamo ricchi, siamo ricchi!», annunciò a Nabokov la moglie un giorno della tarda estate del ’36 sventolando un telegramma: un editore americano offriva 600 dollari per i diritti di Camera Oscura. Subito, accantonando per qualche tempo il lavoro al Dono, Nabokov si accinse a ritradurre lui stesso il romanzo. Scelse il nuovo titolo, Una risata nel buio, cambiò i nomi propri, tagliò, aggiunse… Una vera e propria riscrittura: a cominciare dall’eliminazione del primo capitolo e dal nuovo incipit, «C’era una volta…», dove in tre righe è riassunto il destino di «un uomo che un giorno lasciò la moglie per un’amante giovane; l’amò; non ne fu riamato», e fece una bruttissima fine… Avvertito del tragico epilogo, defraudato dei banali godimenti del finale-ricco-di-suspense, il lettore è ampiamente ricompensato dai numerosi cliffhanger disseminati in ogni capitolo, ma soprattutto dai ben più sottili piaceri che la maestria nabokoviana assicura: implacabile precisione dei dettagli, gran folla di comparse cui l’occhio narrante offre una breve ma sontuosa vita romanzesca, metafore smaglianti, jeux de mots (l’attrice Dorianna Karenina, sottospecie berlinese di Greta Garbo «con rauca voce da granatiere», non conosce il nome di Tolstoj, che scambia per Doll’s Toy) e lumières, visione fluttuante, specchi, vetri, bagliori, abbagli… Già recensendo Camera oscura il (grande) poeta «neoclassico» Chodasevic notò con un pizzico di perfidia che almeno qualche pagina avrebbe potuto essere scritta «con la mano sinistra», un po’ più sciattamente. Impossibile pretesa nel caso del suo compatriota e compagno di esilio.
Nabokov si muove con eleganza tra dramma e commedia in una storia cupamente ilare dove il cinema (lo amava, e certi film americani di terz’ordine lo facevano letteralmente soffocare dalle risate, al punto che doveva precipitarsi fuori dalla sala) assume il ruolo e gli oneri del Fato. Nel buio di un cinematografo il protagonista, Albinus – mite tedesco sulla quarantina, storico dell’arte, ricco e rispettabile padre di famiglia, quintessenza di integrità e rettitudine se non fosse per certe segrete brame lussuriose – è stregato da un’adolescente che lavora come maschera in attesa di una fulgida carriera da star hollywoodiana. La fascinosa ragazzetta plebea si chiama Margot Peters, ha occhi alla Luini, labbra sensuali, pelle serica; non rifiuta le attenzioni di quel signore ben curato, odoroso di talco e buon tabacco, che può assicurarle un benessere prima sconosciuto. Abbandonate moglie e figlioletta, Albinus va a vivere con la giovanissima amante. Per lei inventa «un piccolo zoo di nomignoli affettuosi», e solo per compiacerla finanzia un film in cui la «micetta» reciterà una parte di rilievo. Pessima attrice, sullo schermo Margot si trasforma in una creatura brutta e sgradevole che somiglia alla madre, rude e grossolana moglie di un portinaio. Nel buio – come quello del piccolo cinematografo dove era iniziata la sua nuova vita peccaminosa – Albinus ritornerà dopo il grave incidente (anche nel guidare l’auto è goffo, incapace) in cui perde la vista. Giacché, si sa, l’amore è cieco…
La settima musa può rivelare i tratti mostruosi della bellezza: variazione sul tema dell’arte che attraversa il romanzo, dove appare sempre sfigurata da inettitudine, dilettantismo, superficialità, mode, «idee, messaggi». E nella superba, gustosissima scena del ricevimento organizzato da Albinus per «ospiti importanti» (oltre a Dorianna Karenina, poeti di second’ordine, scrittori comunisti «con reddito soddisfacente», violinisti da strapazzo, un caricaturista che «fa ridere due continenti» e si rivelerà essere il micidiale deuteragonista del dramma, una pittrice cubista dall’aspetto materno, una cantante lirica dai capelli color marmellata d’arancia…) esplode tutta la furia di Nabokov contro la malefica volgarità della pseudo-arte.
Il cinico Rex – caricaturista, falsario, baro – è stato il primo amante di Margot; fatalmente l’antica fiamma si riaccende. Fingendosi omosessuale, l’uomo riesce a dirottare i sospetti di Albinus, ne diventa grande amico. Onnipresente, è anche, muto e beffardo fantasma, nello chalet svizzero dove Albinus segue il consiglio del medico: «riposo assoluto… dopo di che vedremo». Ma non vede più nulla, lui, e Margot – ormai solo un fruscio, un profumo, una voce che lo esorta a non agitarsi come la più dedita e tenera delle mogli – può impunemente prenderlo in giro, fargli le linguacce, ingannarlo in ogni modo, mentre Rex arriva a sedere, nudo, «in una posa simile a quella del Pensatore di Rodin», di fronte al cieco, a solleticargli la fronte con un filo d’erba. Assalito da parossismi di orrore per l’oscurità in cui è precipitato, stordito da quelle che crede allucinazioni sonore, Albinus è ormai lo zimbello degli spudorati amanti che continuano a prosciugare disinvoltamente il suo conto in banca… E la vocina del moralista che è in noi – «te la sei cercata, uomo vizioso!» – diventa sempre più fioca, infine si zittisce, travolta da un’ondata di compassione, mentre lo vediamo brancolare, avanzare a tastoni, incespicare, annaspare verso la catastrofe, in pagine di una crudeltà senza pari che provocano «l’improvvisa erezione dei peluzzi sulla schiena», spia inequivocabile della vera arte.
Lo stesso Nabokov riconosceva le affinità tra Margot e Lolita «anche se, beninteso, Margot era una normale puttanella, non una povera, piccola Lo. E comunque non credo che queste ricorrenti stranezze e morbosità sessuali abbiano grande interesse o importanza …». Neanche noi lo crediamo.