La Stampa, 7 ottobre 2025
L’effetto social travolge i talk show "Siamo nell’era del bullismo mediatico"
Il mondo brucia e la tv non è da meno. Da quando è ricominciata la stagione autunnale, i talk show sono diventati la seconda piazza d’Italia: una polveriera di opinioni gridate, dove lo striscione diventa l’insulto in diretta, il dissidente l’opinionista che abbandona lo studio. Si discute su tutto, si alzano i toni, si diventa virali.
Non che il genere sia estraneo alle polemiche: fin dai tempi di Silvio Berlusconi, che pulì la sedia dove si era appena seduto Marco Travaglio, i talk sono spesso stati un luogo pieno di aggressività. Tuttavia l’impressione è che, da settembre, la temperatura dei dibattiti sia salita al punto da coinvolgere volti solitamente pacati e goliardici, come Enzo Iacchetti, o format noti per il loro equilibrio, come Omnibus di La7. Iacchetti è stato protagonista di un video diventato subito virale: ospite di È sempre Cartabianca, il volto di Striscia la notizia ha perso le staffe con il presidente della Federazione Amici di Israele Eyal Mizrahi, che negava il genocidio (arrivando a chiedere «definisca bambino») e quando si è sentito dare del «fascista», ha minacciato di prendere a pugni l’interlocutore. A Omnibus, invece, è andato in onda l’acceso diverbio tra l’europarlamentare Daniele Capezzone e il conduttore Luca Telese che ha anche abbandonato lo studio. «Stai a cuccia», «Fascista rosso» sono alcune delle accuse reciproche. Nel mezzo ci sono tante altre liti come quella, avvenuta a Restart lunedì, tra il giornalista Sandro Iacometti e lo scrittore Jacopo Fo: «Sei un tifoso di Hamas», «Fammi parlare! Sei un bugiardo, c’è un genocidio in corso». O l’episodio che ha coinvolto Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi, che ha abbandonato a metà domenica sera la trasmissione di La7 In onda, condotta da Luca Telese mentre il giornalista Francesco Giubilei citava Liliana Segre. Un «momento infelice» secondo il direttore del TgLa7 Enrico Mentana.
D’altronde la tv è uno specchio fedele, persino crudele, della società e, come ammette il conduttore di Agorà (Rai3) Roberto Inciocchi, «alcuni atteggiamenti a cui abbiamo assistito sono figli di una grande, e legittima, emotività. Stiamo vivendo tempi molto polarizzati». I nervi scoperti passano dalla piazza fisica a quella social, e quando arrivano in tv restano schierati in un testa a testa restio al contraddittorio. «La polarizzazione è un fenomeno che ci accompagna da sempre, ma ora è amplificata da una serie di fenomeni storici divisivi – aggiunge la giornalista Mediaset Veronica Gentili, conduttrice delle Iene – Il primo a innescare questo cambiamento nei talk show è stato il Covid, con lo scontro tra si vax e no vax, poi c’è stato lo scontro tra pacifisti e bellicisti per Russia e Ucraina e adesso la questione palestinese. Inoltre è invalsa negli opinionisti un’attitudine obbligata, per cui se non diventi un oltranzista radicale, con un atteggiamento anche a tratti arrogante e indisponente verso chi non la pensa come te, allora stai tradendo la tua causa».
Lo stesso gesto di abbandonare lo studio sarebbe espressione di questa «diffusa radicalizzazione che si respira nella società», come sostiene Gianluigi Nuzzi, conduttore di Quarto grado su Canale 5. «La tv rispecchia l’animo della gente e il tessuto sociale. Si pensa che per far valere la propria opinione si debba alzare la voce. In realtà è controproducente: la gente a casa non capisce e perde interesse rispetto al dibattito». Tuttavia è così che ci si comporta online e questo è il passo che si vorrebbe tenere anche in tv: «Le dinamiche social stanno cercando di prevalere sulla dialettica dei talk. Online vige lo slogan, la battuta sferzante perché ci si rivolge a chi ci segue. La tentazione di parlare, con i medesimi toni, anche in tv rivolgendosi prevalentemente solo alla propria bolla, è molto presente», riflette Monica Giandotti che, nel condurre Tg2Post cerca di dare vita a un «programma con domande e risposte assertive: se qualcuno svia, cerco sempre di riportarlo al tema del discorso».
Il risultato è uno scenario talk da «bullismo mediatico – come chiosa Massimo Giletti – un bullismo spesso ricercato, perché quello che conta è finire sui social: quel frammento di scontro da 1’ eleva al massimo il narcisismo del singolo opinionista». Per il conduttore di Lo stato delle cose su Rai3, i responsabili della deriva dei talk sarebbero proprio gli addetti ai lavori: «Il problema di fondo è che oggi i giornalisti hanno sostituito i politici. Non si tratta di essere imparziali perché è chiaro che ognuno è espressione della propria storia: non mi straccio le vesti se si è di parte. Lo era anche Indro Montanelli. Se però sei un giornalista dovresti avere un’onestà intellettuale che oggi invece non vedo più, né negli ospiti né nei conduttori». Come si torna indietro? «La qualità premia sempre – assicura Inciocchi – un buon talk deve avere personaggi alti che si confrontano e tanti prodotti diversificati che rappresentano tutte le posizioni del Paese». Più scettico Giletti: «Non so se si potrà tornare indietro». Non resta che sperare, parafrasando il suo programma, che non sia davvero questo lo stato delle cose.