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 2025  ottobre 07 Martedì calendario

Intervista a Malcolm McDowell

«Ho interpretato personaggi pericolosi che usavano il potere in modo perverso corrompendo ogni cosa, dai tempi di Caligola a oggi è cambiato ben poco». Malcolm McDowell, 82 anni, interprete leggendario di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, ha ritirato il premio alla carriera al Lucca Film Festival dove ha presentato la versione ricostruita da Thomas Negovan dalla sceneggiatura di Gore Vidal di Caligola: The Ultimate Cut, a 46 anni dall’originale di Tinto Brass. «Questa versione mi piace, all’epoca odiavo quel film», commenta l’attore britannico, che con i riconoscimenti confida di avere un rapporto ambivalente: «Ne sono sempre lusingato, mai esaltato: non sono un nostalgico che ama guardare indietro, il mio personaggio preferito è sempre il prossimo».
Anche oggi, a 82 anni?
«Certo, spero di continuare a lavorare fino all’ultimo dei miei giorni».
Pensando alla sua carriera come la descriverebbe?
«Piena, perché ho sempre lavorato e per fortuna ho potuto fare tutto quel che ho voluto».
Il segreto per diventare Malcolm McDowell?
«Divertirsi da pazzi. Non scherzo, mi sono sempre divertito tanto a fare il lavoro che amo. Anche quando ho interpretato personaggi malvagi, cercando sempre di donare loro un lampo di vita nello sguardo».
I suoi occhi sono tutto, sosteneva Kubrick.
«Di sicuro sono blu. Anche Lindsay Anderson era fissato con i miei occhi, diceva che ci vedeva il pericolo dentro».
Lei lo vedeva?
«La verità è che mi sono sempre venuti facili i personaggi negativi, ma nella vita non sono mai stato un tipo pericoloso. Poi adesso sono vecchio, lo sguardo, la bellezza, non sono più quelli di allora. Ha ragione la mia amica Helen Mirren, che adoro (lo dice in italiano) e ho appena rivisto a Firenze, nel dire che un tempo eravamo belli. Un tempo».
La bellezza non è anche essere ancora pieni di vita?
«Questo sì, ma vale soprattutto per Helen, attrice straordinaria e donna coraggiosa che non teme di esporsi per le cause che ritiene giuste».
Lei si sente libero di esporsi, politicamente parlando?
«Oggi bisogna pensarci due volte prima di aprire bocca. Non amo parlare di politica alla mia età, se non per cose che davvero mi stanno a cuore.
Quali, ad esempio?
«Le guerre in corso mi preoccupano tantissimo. In Ucraina è un disastro, e poi il disastro a Gaza, viviamo tempi davvero bui: l’unica speranza è che il cinema possa ancora aprire la mente della gente».
Anche di chi governa?
«Se penso all’America, spero che le cose si risolvano con le nuove elezioni di metà mandato, bisogna aspettare e pensare positivo. La chance che le cose cambino c’è, dobbiamo essere ottimisti».
Tornando alla carriera, fu difficile emergere per lei?
«Certo, fu dura, nessuno mi conosceva, il tempo va lentissimo quando sei giovane. Il mio colpo di fortuna si è chiamato Anderson, diventò non solo un grande amico ma anche un mentore. Il suo If fu un grande successo e mi portò ad Arancia meccanica, aprendomi porte che neanche immaginavo».
Il suo Alex di Arancia meccanica oggi cosa farebbe?
«Marcirebbe in prigione. Come alcune gang negli Stati Uniti, ma anche a Londra che sta diventando sempre più violenta, amava picchiare, saccheggiare, violentare, sempre sotto effetto di droghe, cercando a suo modo di aggirare il sistema. Non fu facile capire come interpretarlo, a quanto pare ci riuscii».
Come visse allora l’esplosione di successo?
«Non fu difficile, è per quello che lavorano tutti, non siamo ipocriti. Avere successo è un privilegio che non hanno avuto tanti bravi colleghi che conosco. È questione di fortuna, e di incontri. A me ha salvato continuare a lavorare e non perdermi, anche grazie alla famiglia che ho costruito».
Una domanda che si fa spesso alle attrici: com’è stato coniugare carriera e famiglia?
«Una passeggiata, grazie a mia moglie. Viaggiava spesso insieme a me, badava ai figli mentre ero via. Tra noi funzionava bene, io guadagnavo e lei spendeva. Scherzo, naturalmente, è una bravissima designer, guadagnava più di me».

E i suoi figli?
«Ne sono orgoglioso. Ho subito detto loro: “Non voglio che seguiate i miei passi, nella vita non voglio che facciate altro che essere felici. Ma se scegliete di fare gli attori – e io ve lo sconsiglio – preparatevi a una vita di rifiuti e fallimenti, in cui non si è mai in cima alla lista dei favoriti se non per dieci minuti. E non siate troppo sensibili alle critiche, perché ne riceverete parecchie”. Meglio essere chiari con i figli».
Suo figlio Charlie si dedica alla regia, ma sua figlia Lilly attrice lo è diventata.
«Ho lasciato ogni figlio libero di esplorare, purché fosse felice. Noi attori facciamo un lavoro da privilegiati, viaggiamo per il mondo, interpretiamo altre vite, è pazzesco. Ma avere talento non basta: bisogna sempre lavorarci su».
Come vede le nuove generazioni?
«Amo gli attori emergenti, ce ne sono tanti, lavorano nelle serie tv e sono bravissimi».
Anche sua nuora Lily Collins?
«Soprattutto lei. Anche se non fossimo parenti le direi che è una delle più belle, brave e magnetiche attrici mai viste».
Un ricordo di Robert Redford?
«Il migliore di Hollywood, il più bello insieme a Paul Newman. Amavo quello che faceva, come attore ma anche l’impegno per le cause e la verità. Mio figlio lo ha diretto sul set e ha chiamato il cane Redford in suo onore: lo ha conosciuto e se n’è innamorato».