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 2025  ottobre 08 Mercoledì calendario

Sanità pubblica: gli italiani spendono 41,3 miliardi per curarsi nel privato. 5,8 milioni rinunciano alle cure

L’anno scorso gli italiani hanno speso di tasca propria 41,3 miliardi per prestazioni sanitarie necessarie, come visite specialistiche ed esami diagnostici; oltre 5,8 milioni di connazionali (un italiano su dieci) vi hanno rinunciato del tutto. Solo 13 Regioni rispettano i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè le prestazioni e i servizi sanitari che ogni assistito ha diritto a ricevere dallo Stato, gratuitamente o pagando il ticket se dovuto. Persiste il divario tra Nord e Sud nell’offerta dei servizi sanitari, con pazienti meridionali costretti a migrare in cerca di cure migliori. E, mentre la sanità pubblica arranca, avanza il «privato puro».
Sono alcuni aspetti evidenziati dall’ottavo Rapporto della Fondazione Gimbe sul Servizio Sanitario Nazionale (Ssn), presentato oggi a Roma alla Camera dei Deputati.
Quasi il 10% ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria
Secondo i dati ISTAT, la spesa sanitaria per il 2024 ammonta a 185,12 miliardi di euro: 137,46 miliardi di spesa pubblica (74,3%) e 47,66 miliardi di spesa privata di cui 41,3 miliardi (22,3%) pagati direttamente dalle famiglie (out of pocket) e 6,36 miliardi (3,4%) da fondi sanitari e assicurazioni. Chi non può permettersi di pagare le prestazioni sanitarie vi rinuncia e, nel 2024, si è registrata un’impennata: secondo le elaborazioni di Gimbe su dati Istat, un italiano su dieci (5,8 milioni) -  il 9,9% della popolazione – ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, rispetto al 7,6% del 2023 (4,5 milioni di persone). Tra i principali motivi: i lunghi tempi di attesa e problemi economici.
«L’aumento della spesa a carico delle famiglie –  sottolinea il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta – rompe il patto tra cittadini e Istituzioni con milioni di persone costrette a pagare la sanità di tasca propria o, se indigenti, a rinunciare alle prestazioni. E soprattutto senza più la sicurezza di poter contare su una sanità pubblica che garantisca certezze».
Livelli essenziali di assistenza e mobilità sanitaria 
Nel 2023 solo 13 Regioni hanno rispettato i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè i servizi e le prestazioni che devono essere garantiti a ogni cittadino a prescindere dalla residenza. Al Sud soltanto Puglia, Campania e Sardegna raggiungono gli standard essenziali di cura.
Nel rapporto Gimbe si ricorda, poi, che la mobilità sanitaria nel 2022 valeva oltre 5 miliardi di euro, con tre Regioni – Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto – che hanno raccolto il 94,1% del saldo attivo, mentre il 78,8% del saldo passivo si è concentrato in cinque Regioni del Sud (Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) e nel Lazio, che hanno fatto registrare un saldo negativo pari a oltre 100 milioni.
E il divario tra Nord e Sud si riflette anche sull’aspettativa di vita. Secondo le stime dell’Istat per il 2024, infatti, in Italia l’aspettativa di vita è in media pari a 83,4 anni, ma con nette differenze regionali: si va dagli 84,7 anni della Provincia autonoma di Trento, agli 81,7 della Campania, quindi con un gap di ben 3 anni.

Commenta Cartabellotta: «È un drammatico segnale che testimonia la bassa qualità dei servizi sanitari del Mezzogiorno, oltre al fallimento di Piani di rientro e Commissariamenti nella riqualificazione e riorganizzazione sanitaria delle Regioni del Sud: qui i cittadini vivono una sanità peggiore, devono spendere per curarsi altrove e pagano imposte regionali più alte».
Fondo sanitario nazionale e bilanci delle Regioni
Dopo i tagli del decennio 2010-2019 e le imponenti risorse assegnate nel 2020-2022 assorbite interamente dalla pandemia, rileva Gimbe, il Fondo sanitario nazionale (FSN) nel triennio 2023-2025 è cresciuto di ben 11,1 miliardi: da 125,4 miliardi del 2022 a 136,5 miliardi del 2025. Ma, secondo il Rapporto, queste risorse sono state «in buona parte erose dall’inflazione, che nel 2023 ha toccato il 5,7% – e dall’aumento dei costi energetici». La percentuale del Fondo sanitario nazionale sul PIL (Prodotto interno lordo) al 31 dicembre 2024, secondo l’analisi di Gimbe, «è scesa dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, per attestarsi al 6,1% nel 2024-2025, pari a una riduzione in termini assoluti di 4,7 miliardi nel 2023, 3,4 miliardi nel 2024 e 5 miliardi nel 2025». «In altre parole – spiega Cartabellotta – se è certo che nel triennio 2023-2025 il Fondo sanitario nazionale è aumentato di 11,1 miliardi, è altrettanto vero che con il taglio alla percentuale di PIL la sanità ha lasciato per strada 13,1 miliardi». 
Secondo Gimbe, il «divario tra previsione di spesa e finanziamento pubblico rischia di scaricarsi sui bilanci delle Regioni: 7,5 miliardi per il 2025, 9,2 miliardi nel 2026, 10,3 miliardi nel 2027, 13,4 miliardi nel 2028».
Avverte Cartabellotta: «Senza un deciso rifinanziamento a partire dalla Legge di Bilancio 2026, questo divario tra stima di spesa e risorse allocate costringerà le Regioni a scelte dolorose per i propri residenti: ridurre i servizi o aumentare la pressione fiscale». 
Gimbe ricorda che, come ha ribadito la Corte Costituzionale, «la tutela della salute è un diritto incomprimibile che lo Stato deve garantire prioritariamente, recuperando le risorse necessarie da altri capitoli di spesa pubblica». 
Avanza il privato «puro»
Secondo i dati del ministero della Salute (riferiti al 2023), su 29.386 strutture sanitarie, 17.042 (il 58 per cento) sono private accreditate e prevalgono sul Pubblico in diverse aree, ovvero: assistenza residenziale (85,1%), riabilitativa (78,4%), semi-residenziale (72,8%) e specialistica ambulatoriale (59,7%).
Nel 2024 la spesa pubblica destinata al privato convenzionato – documenta il Rapporto Gimbe – ha raggiunto 28,7 miliardi, ma in termini percentuali è scesa al minimo storico del 20,8%.
E avanza il «privato puro»: in sette anni la spesa delle famiglie presso queste strutture private, quindi a pagamento, è aumentata del 137%, passando da 3,05 miliardi nel 2016 a 7,23 miliardi nel 2023.

«Nessun Governo ha mai dichiarato di voler privatizzare il Servizio Sanitario nazionale – spiega il presidente Gimbe –. Ma il continuo indebolimento della sanità pubblica favorisce la continua espansione dei soggetti privati, ben oltre la sanità privata convenzionata».   
Personale sanitario: medici «in fuga» dal SSN e infermieri carenti
Quanto al personale sanitario, rileva il Rapporto, il nostro Paese conta 315.720 medici ovvero 5,4 ogni 1.000 abitanti, secondo i dati dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che includono tutti i medici in attività, compresi gli specializzandi.
In Italia i medici dipendenti sono 109.024, pari a 1,85 per 1.000 abitanti, e quelli convenzionati 57.880. 
«Questi numeri  dimostrano che in Italia non c’è affatto carenza di medici, ma attestano una loro fuga continua dal SSN e carenze selettive in specialità ritenute poco attrattive e nella medicina generale» osserva Cartabellotta, che aggiunge: «Con la scelta di formare più medici, senza prima attuare misure concrete per arginarne la fuga dalla sanità pubblica e restituire attrattività e prestigio alla carriera nel SSN, rischiamo di investire denaro pubblico per regalare professionisti al privato o all’estero». 
Sul fronte della medicina territoriale, al 1° gennaio 2024 si stima una carenza di 5.575 medici di medicina generale e di 502 pediatri di libera scelta, il che rende spesso difficile trovare un professionista vicino casa.
Ancora più carenze si registrano tra gli infermieri: con 6,5 professionisti ogni mille abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media OCSE ( 9,5 infermieri ogni mille abitanti). 
E la professione infermieristica è sempre meno attrattiva: per l’anno accademico 2025/2026, rileva Gimbe, il rapporto tra domande presentate e posti disponibili al Corso di Laurea in Infermieristica è crollato a 0,92.
Quanto alle retribuzioni, evidenzia il Rapporto, restano ben al di sotto della media OCSE: a parità di potere di acquisto per i consumi privati, per i medici specialisti la retribuzione media in Italia è di 117.954 dollari rispetto a una media OCSE di 131.455 e per gli infermieri ospedalieri di 45.434 dollari (media OCSE 60.260). 
Assistenza territoriale: ritardi per Case e Ospedali di Comunità
Quanto alla Riforma dell’assistenza territoriale che punta a rafforzare i servizi sul territorio, anche attraverso la realizzazione di Case di Comunità, Ospedali di Comunità e Cot-Centrali operative territoriali, Gimbe evidenzia «ritardi e disomogeneità regionali» emersi dai recenti dati del monitoraggio di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) sull’attuazione del DM 77/22 («Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale»).
Il Rapporto evidenzia che, al 30 giugno 2025, fatta eccezione per le COT che hanno raggiunto il target, su 1.723 Case di Comunità programmate solo 218 (il 12,7%) avevano attivato tutti i servizi previsti e, di queste, solo 46 (2,7%) disponevano di personale medico e infermieristico.
Per gli Ospedali di Comunità, poi, a fronte di 592 programmati, solo 153 (26%) sono stati dichiarati attivi dalle Regioni, per complessivi 2.716 posti letto.
Quanto all’Assistenza Domiciliare Integrata, la copertura formale è garantita in tutte le Regioni tranne che in Sicilia (78%). Ma dietro i numeri, sottolinea il Rapporto, «emergono diseguaglianze nell’erogazione dei singoli servizi, con carenze significative in quelli socio-assistenziali».

PNRR: luci e ombre
Per portare a termine la «Missione Salute» del PNRR – Piano nazionale di ripresa e resilienza, segnala il Rapporto, mancano 14 obiettivi da raggiungere entro il 30 giugno 2026, data che segna la reale consegna di strutture e servizi ai cittadini.
Dal monitoraggio di Gimbe emerge che quattro obiettivi sono stati raggiunti in anticipo o già completati, cioè: ristrutturazioni degli ospedali, assistenza domiciliare per gli over 65, grandi apparecchiature, contratti di formazione specialistica. 
Si registrano ritardi, invece, per altri obiettivi da raggiungere, come il potenziamento delle terapie intensive e semi-intensive, l’attivazione di Case di Comunità e Ospedali di Comunità.
«Nonostante la rimodulazione al ribasso concessa dall’Europa, i ritardi sono molto preoccupanti, in particolare in alcune Regioni – sottolinea Cartabellotta –. Oltre al completamento delle strutture, rimane il nodo del personale, per la carenza di infermieri e le incertezze sulla reale disponibilità dei medici di famiglia a lavorare in queste strutture». 
Quali «cure» per la sanità pubblica
«In questo scenario – osserva Cartabellotta – la “volata finale” del PNRR impone una convergenza di sforzi tra Governo, Regioni e ASL per trasformare le risorse in servizi accessibili per i cittadini; altrimenti rischiamo di lasciare in eredità alle future generazioni strutture vuote, tecnologie digitali non integrate nel Servizio Sanitario Nazionale, insieme a un pesante indebitamento, sprecando così un’occasione irripetibile per rafforzare la sanità pubblica».
La Fondazione Gimbe invoca un patto politico per il rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, rafforzando e innovando quel modello istituito nel 1978, finanziato dalla fiscalità generale e basato su princìpi di universalità, uguaglianza ed equità.
In sintesi, secondo Cartabellotta, serve «un patto politico che superi ideologie partitiche e avvicendamenti di Governo, riconoscendo nel Servizio Sanitario Nazionale un pilastro della democrazia, uno strumento di coesione sociale e un motore di sviluppo economico; un patto sociale che renda i cittadini consapevoli del valore della sanità pubblica e li educhi a un uso responsabile dei servizi; un patto professionale in cui tutti gli attori della sanità devono rinunciare ai privilegi di categoria per salvaguardare il bene comune».