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 2025  ottobre 08 Mercoledì calendario

«Vietato il velo integrale nelle scuole, università, uffici e luoghi pubblici»: la proposta di legge di Fratelli d’Italia contro il «separatismo islamico»

Divieto del velo integrale che copre il volto in luoghi pubblici, uffici, scuole e università; regolamentazione dei finanziamenti alle moschee; pene più severe per il reato di induzione al matrimonio mediante l’inganno: sono
alcune delle novità normative che Fratelli d’Italia punta a introdurre con un progetto di legge «contro il separatismo islamico». 
«Serve a contrastare la nascita di enclave, contro-società in cui si applica la legge sharitica e non l’ordinamento italiano, e dove prolifica il fondamentalismo islamico», ha spiegato la deputata di FdI Sara Kelany, che ha firmato la proposta di legge con il capogruppo Galeazzo Bignami e con Francesco Filini, presentata alla Camera con il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. 
La proposta di legge ha cinque articoli, e proprio il quinto prevede il divieto di vestire il velo integrale. «È vietato l’uso di indumenti – recita l’articolo 5 della pdl – che coprano il volto delle persone, di maschere o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luoghi pubblici, aperti al pubblico, luoghi di istruzione di qualunque ordine e grado, università, esercizi commerciali e uffici. La violazione del divieto previsto dal comma 1 è punita con la sanzione amministrativa da euro 300 a euro 3.000».
Il precedente della Lega
A gennaio la Lega, a prima firma del capogruppo in commissione Affari Costituzionali alla Camera Igor Iezzi, aveva presentato una proposta di legge molto simile che mirava a impedire di indossare «atti a celare il volto, come nel caso del burqa o del niqab». Ma le ragioni per il Carroccio erano non solo di «ordine pubblico» ma anche e soprattutto di «rispetto della dignità della donna». Tanto che veniva introdotto anche un nuovo reato per chi costringeva le donna a indossare burqua o niquab con multe da 10 mila fino a 30 mila euro. «Salvo che il fatto costituisca più grave reato – veniva riportato nel testo – è punito con la reclusione da uno a due anni e con la multa da euro 10 mila a euro 30 mila, chiunque costringa qualcuno all’occultamento del volto con violenza, minaccia o abuso di autorità ovvero in modo da cagionargli un perdurante e grave stato di ansia o di paura» o ingenerando nella donna «un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto».
Nei quattro articoli della proposta di legge leghista, inoltre, sono previste anche delle eccezioni, come ad esempio i «luoghi di culto» o «nei casi di necessità per proteggere la salute propria o di terzi, in materia di sicurezza stradale e per i partecipanti alle gare in occasione delle manifestazioni di carattere sportivo che prevedono l’uso di caschi, nonché nei casi di attività artistiche o di intrattenimento». Ma in tutti gli altri casi l’obiettivo della proposta di legge era quello di dare una stretta alla legge 152 del 1975, che vieta di nascondere il viso in luoghi pubblici per motivi legati alla sicurezza, a meno che ci sia un «giustificato motivo».
La legge 152 del 1975
Sebbene in Italia non esista una norma che vieta il velo islamico, la legge di riferimento è diventata la 152 del 1975, che prevede il divieto dell’«uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino». Anche se non è espressamente citato il velo islamico, spesso l’interpretazione della legge è estesa a questo oggetto religioso.
L’eccezione della Lombardia
L’unica regione d’Italia che fa eccezione è la Lombardia, dove nel 2015 la giunta Maroni approvò una delibera che vietava, in tutti i luoghi della Regione e negli enti pubblici controllati, l’ingresso «con il volto coperto»: un divieto segnalato anche con cartelli con le tre immagini con casco, passamontagna e burqua. Una delibera che la Corte d’Appello di Milano, nel 2019, confermò rilevando che non c’era nulla di discriminatorio in quel provvedimento che, di fatto, vietava alle donne musulmane di indossare burqa e niqab nei luoghi pubblici. La delibera – va precisato – è stata approvata ma non è mai stata applicata.
Per questa ragione, a febbraio di quest’anno,  il Consiglio regionale lombardo si era trovato a dover discutere una mozione della Lega – che andava di pari passo con la proposta di legge presentata da Iezzi- che chiedeva alla giunta proprio di «dare piena attuazione» alla delibera del 2015, allargando anzi la norma ai Comuni (visto che il divieto valeva solo per gli spazi regionali) e di «invitare il Governo a valutare l’estensione del divieto di copertura del volto e del capo con burqa, hijab, khimar, jilbab, niqab e chador a tutti gli ambienti scolastici, garantendo che tale misura non solo preservi la sicurezza, ma favorisca anche l’integrazione degli studenti di minore età». In più, si chiedeva di «monitorare l’applicazione del provvedimento, per verificare che il divieto sia applicato in modo equo e proporzionato, senza discriminazioni, e che le misure adottate siano effettivamente giustificate da motivi di sicurezza e di tutela dell’ordine pubblico, nel pieno rispetto della legislazione e della giurisprudenza italiana ed europea».
Ma al momento del voto la Lega è stata «tradita» dagli alleati, complice il voto segreto chiesto dal Pd. Oltre all’astensione dichiarata di Forza Italia, a far mancare i voti necessari ci si è messo anche qualche franco tiratore di Fratelli d’Italia, che hanno fatto naufragare la mozione leghista.