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 2025  ottobre 07 Martedì calendario

La vendita dell’ex Ilva costerà 7mila posti I sindacati: il governo tace, scioperiamo

Definirla una catastrofe è poco: per l’ex Ilva di Taranto si prospetta un drastico ridimensionamento con una perdita di migliaia di posti di lavoro. L’uscita di scena degli azeri di Baku Steel e la successiva riapertura del bando di vendita hanno confermato la scarsa appetibilità dell’azienda. Allo scadere dei termini, a fine settembre, i commissari di Acciaierie d’Italia in As avevano sul tavolo dieci manifestazioni d’interesse ma solo due riguardavano l’intera azienda, le altre otto puntavano a singoli asset. In realtà l’unica offerta concreta, è quella del fondo americano Bedrock Industries perché quella del fondo Flacks Industries, in cordata con gli slovacchi di Steel Business Europe, è inconsistente e poco dettagliata. Il problema è che il piano di Bedrock, secondo le indiscrezioni degli ultimi giorni non smentite dal governo, prevede un drastico taglio occupazionale con appena 3mila lavoratori e 7mila esuberi. Per questo motivo i sindacati confederali hanno proclamato uno sciopero per il prossimo 16 ottobre. Fiom, Fim e Uilm hanno condannato fermamente le modalità, aver appreso il contenuto del piano a mezzo stampa, ma soprattutto la sostanza, con «solo 2000 unità occupate su Taranto e poco più di 1000 negli altri siti» da Novi Ligure a Cornigliano.
«Riteniamo inaccettabile il silenzio di Palazzo Chigi – hanno sottolineato i sindacati – che non convoca ancora un tavolo. Abbiamo indetto una campagna di assemblee nei siti del gruppo che culmineranno con una mobilitazione e lo sciopero di tutti gli stabilimenti per il prossimo 16 ottobre. È il momento di scelte chiare: il Governo assuma la guida della ex Ilva con un forte intervento pubblico». Christian Venzano, segretario generale Fim Cisl Liguria ha parlato di «un cambio di passo delle relazioni industriali che si sono già arenate. In un momento così delicato registriamo gravi fatti accaduti in sequenza». Il rinnovo della cassa integrazione in maniera unilaterale e il contenuto delle offerte presentate per l’acquisto dell’ex Ilva.
Il sindacato di base ieri ha organizzato uno sciopero che ha fermato l’accesso al porto di Taranto di una nave con 82mila tonnellate di fossile. Adesione al 100% secondo gli organizzatori, dei lavoratori dell’area portuale, in particolare dei gruisti. Alla base dell’iniziativa condotte antisindacali e atteggiamenti denigratori ripetuti verso gli iscritti Usb. I sindacalisti denunciano «l’abuso e il mancato rispetto dell’equa rotazione della cassa integrazione» e «una gestione arbitraria del personale, con l’arrivo di nuovi addetti a sostituzione di chi opera da anni nelle stesse postazioni».
Per comprare l’acciaieria più grande d’Italia Bedrock ha offerto una cifra simbolica di un euro. Rimane iedi l’obbligo di acquisto del magazzino (in passato era stato valutato a 400-500 milioni di euro). Per venire incontro ai potenziali investitori il governo sta lavorando a un sistema di garanzie statali dal valore compreso tra gli 800 milioni e 1 miliardo di euro.
Il piano degli americani prevede la piena decarbonizzazione (punto cardine del bando di gara emesso dal Mimit) e una produzione di 6 milioni di tonnellate annue e non contempla la presenza e il relativo utilizzo di una nave rigassificatrice che era stata la pietra dello scontro tra enti locali e gli azeri. Dall’uscita di scena del colosso Arcelor Mittal nel 2024 la situazione è andata precipitando. La gara per la vendita di Acciaierie d’Italia aveva visto vincere il consorzio azero costituito da Baku Steel e dalla Socar, la compagnia pubblica del gas che aveva presentato un’offerta da circa 1,1 miliardi di euro. A quel punto però il governo ha riscritto il piano industriale, puntando sulla decarbonizzazione e sulla produzione di acciaio green tramite forni elettrici. Gli azeri hanno proposto di mettere in funzione una nave rigassificatrice nel porto di Taranto, per mantenere stabile il ciclo energetico di forni elettrici e preridotto, ma le istituzioni locali hanno bocciato questa ipotesi. A complicare le cose l’incendio all’altoforno 1 dell’ex Ilva di Taranto, lo scorso maggio e la relativa chiusura con un solo altoforno funzionante. Un mese fa Baku ha ufficializzato la sua decisione di farsi da parte, c’è anche il rischio che chieda dei danni allo Stato per il tempo perso. Alla prima gara aveva partecipato, oltre alla stessa Bedrock, il ramo minore della famiglia Jindal che però ha disertato la seconda gara nonostante sia già operativa nell’acciaio a Piombino.
La settimana scorsa il ministro Adolfo Urso, che ha gestito tutta la partita, ha ammesso che il passaggio dai forni a caldo ai forni elettrici ha «un impatto occupazionale significativo» e ha definito la complessa situazione dell’ex Ilva, definendola «una sfida difficile che può essere vinta con il concorso di tutti». I sindacati, già prima di apprendere il drastico taglio dei dipendenti, erano già mobilitati sul ricorso continuo alla cassa integrazione che al momento riguarda 4450 dipendenti su un totale di diecimila.
Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria ha al momento 10.020 dipendenti, mentre Ilva in amministrazione straordinaria (che ha mantenuto la proprietà degli impianti) ne ha circa 1.600. Ci sono poi i lavoratori delle imprese dell’indotto, stimati tra i 5mila e i 7mila, a seconda dei periodi di manutenzione degli impianti. Il totale dei lavoratori legati a doppio filo all’acciaieria è quindi di circa 18mila persone.
Sembra essere senza speranza, nel quadro di una quantità di esuberi stratosferica, la situazione dei 1600 dell’Ilva in As: dopo la mancata applicazione dell’accordo ministeriale del 2018 che prevedeva entro il 30 settembre 2025 il loro riassorbimento o ricollocamento per loro sembrano esserci poche speranze di poter rientrare in partita.