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 2025  ottobre 07 Martedì calendario

Nuovo record dell’oro: incertezza e guerre muovono il bene rifugio

Difficile eguagliare la ricchezza e il discutibile gusto di Sir Elton John, che dopo essersi fatto sostituire entrambe le rotule ha voluto riciclare le ossa originali, placcandole in oro, per poi utilizzarle come sobri pendenti. Ma, eccessi da rockstar ed esercizi orafo-ortopedici a parte, la febbre dell’oro è ormai un’epidemia conclamata che unisce risparmiatori, banche centrali, fondi speculativi e che sta avvicinando le quotazioni del metallo prezioso ai 4 mila dollari l’oncia, la misura standard che equivale a poco più di 31 grammi. Ieri, così, le quotazioni a New York hanno superato i 3.952 dollari, portando a oltre il 50% il rialzo da inizio anno, mentre i contratti “futures” con consegna a dicembre, hanno sfiorato quota 3.975 dollari.
Perché tutti vogliono l’oro
Metallo duttile e malleabile per eccellenza, l’oro si sta dimostrando tale anche sui mercati finanziari: lo compra ad esempio chi scommette su un rialzo dell’inflazione o su un calo del dollaro ma non sa su quale valuta alternativa investire; lo cerca chi è preoccupato dai troppi scenari di guerra e opta per il bene rifugio per eccellenza; lo chiede, negli ultimi giorni, anche chi assiste preoccupato al blocco della macchina pubblica americana e alla tempesta politica francese.
Lo vogliono da sempre le banche centrali per le loro riserve e da qualche tempo, poi, anche i gestori di Etf si sono messi in moto: secondo i dati del World Gold Council, l’organizzazione dei produttori del settore, in sole quattro settimane a settembre gli Etf hanno comprato oro fisico per 13,6 miliardi di dollari, portando i loro acquisti da inizio anno alla cifra record di 60 miliardi di dollari.
In sostanza tutti si accodano alla grande corsa colpiti dal classico effetto Fomo, la Fear of missing out, che in italiano sarebbe semplicemente la paura di perdere l’occasione giusta, che spinge a non considerare la rapidissima traiettoria ascendente del metallo prezioso e il rischio che, così come sono salite, le quotazioni possano scendere bruscamente. Cambiano anche le strategie di investimento consigliate dai gestori ai loro clienti: Morgan Stanley ha sostituito la classica suddivisione – 60% investito in azioni e 40% in reddito fisso – in un più attuale 60, 20 e 20, dove l’ultima percentuale è appunto quella da investire in oro, e si torna a parlare di una strategia detta 25/25/25/25 che prevede appunto di investire il patrimonio in quattro parti eguali tra azioni, obbligazioni, metalli preziosi o materie prime e liquidità
Eppure c’è anche chi l’oro lo disdegna, come Warren Buffett, il leggendario investitore Usa che lo ha definito «sterile» e che non si capacita come si possa tenere nel proprio portafoglio qualcosa che non frutta nulla ed essere comunque soddisfatti. Piccolo, ma non indifferente particolare, infatti l’oro – a differenza di azioni e obbligazioni – non potrà mai dare un rendimento e non staccherà mai una cedola: chi lo compra oggi ha solo la garanzia di ritrovarsi in mano la stessa quantità di metallo prezioso in qualsiasi momento.
Le tensioni politiche spingono verso il “rifugio”
Ma in questo momento, con l’inflazione che resta una minaccia e i tassi di interesse che stanno comunque scendendo – specie negli Stati Uniti – per contrastare un rallentamento dell’economia, anche questi elementi spingono la corsa dell’oro: più agevole, infatti, investire nel metallo che non offre rendimenti in un momento in cui i tassi di interesse stanno scendendo e dunque anche obbligazioni e titoli di Stato si fanno meno appetibili. E anche gli attacchi della Casa Bianca contro la Federal Reserve, che mettono a repentaglio l’indipendenza della banca centrale Usa, finiscono per spingere le quotazioni auree: per Goldman Sachs un intervento diretto del presidente sulla Fed potrebbe portare l’oro verso i 5 mila dollari l’oncia.
Nemmeno la forsennata politica di dazi di Donald Trump ha osato andare contro il metallo che piace tanto a tanti: in agosto un documento delle dogane Usa lasciava presagire una tassa sui lingotti d’oro, ma presto un’interpretazione autentica ha scartato qualsiasi ipotesi in questo senso. Sospiri di sollievo avvertiti particolarmente in Svizzera – patria della fusione dei lingotti d’oro e tramite indispensabile tra il mercato di Londra e quello di New York, dove si usano due standard diversi – e conferma che la febbre non scenderà tanto presto.