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 2025  ottobre 07 Martedì calendario

L’attivista lesbica Lachgar alla sbarra nel Marocco dei giovani in rivolta: condannata a 30 mesi

Aveva postato a fine luglio su X una sua foto, dove indossava una maglietta con scritto sopra: “Allah è lesbica”. Ibtissame Lachgar, militante marocchina, 50 anni, da sempre in lotta per i diritti delle donne e della comunità Lgbtq+, lo aveva già fatto: la stessa foto, lo stesso post. Ma quella volta la provocazione non è passata. Pochi giorni dopo Ibtissame era stata arrestata e poi messa sotto processo. Il 3 settembre era stata condannata a 30 mesi di carcere (e a pagare una multa di 4750 euro), nonostante le sue fragili condizioni di salute. Oggi è iniziato l’appello e i giudici sono stati sbrigativi: in serata hanno confermato quei due anni e mezzo di carcere e la multa, nonostante si sperasse fortemente in un atto di clemenza. Perché il Marocco: dal 27 settembre i giovani del movimento Gen Z 212 scendono ogni giorno in piazza per protestare contro le pessime condizioni della sanità e dell’istruzione pubbliche e contro le ineguaglianze sociali. Forse avrebbe influenzato positivamente anche il suo destino.
No, niente da fare. Ad assistere all’udienza a Rabat è venuta anche una delle sorelle di Ibtissam, Siham Lachgar, che vive in Francia. Alla tv France 24, ha ricordato che le condizioni di salute della sorella “si aggravano a causa delle difficili condizioni di detenzione. Lei è in remissione oncologica rispetto a un tumore delle ossa. Sta meglio, ma deve essere seguita e necessita cure. Non ha più l’omero, ha una protesi, ma che risale a vent’anni fa. Fra settembre e ottobre doveva fare un’operazione per sostituirla e ora non è più possibile. Rischia infezioni e l’amputazione del braccio”. La donna “è piazzata in isolamento, i detenuti non hanno diritto di parlarle. Noi due sorelle dalla Francia possiamo chiamarla due volte alla settimana, dieci minuti ogni volta”. Ibtissame, comunque, dice Siham, “resta ottimista e fiduciosa”. Molto probabilmente farà ricorso in Cassazione. È forte e abituata alle battaglie, sostenuta dalla società civile marocchina ma anche da associazioni in Francia, come quella femminista Les Chiennes.
Soprannominata Betty, ora ha i capelli rasati quasi a zero. Ricorda Sinead O’Connor, la cantante irlandese morta nel 2023 e che aveva creato lo scandalo strappando una foto del papa Giovani Paolo II in diretta su una tv americana. Come lei Ibtissame, psicologa di formazione, critica le religioni in quanto “patriarcali e misogine”. Si definisce atea in un paese che non riconosce la libertà di coscienza religiosa. Ha fondato nel 2009 il Movimento alternativo per la difesa delle libertà individuali, che ambisce a un “femminismo universalista e laico”: combatte contro la depenalizzazione dell’omosessualità in Marocco e delle relazioni extraconiugali, che il codice penale marocchino regola ancora oggi in maniera punitiva e severissima.
Negli ultimi anni Ibtissam ha fatto spesso parlare di sé, organizzando una sessione di “kiss in” davanti al Parlamento di Rabat (baci sulla bocca ostentati a sostegno di adolescenti perseguiti dalla giustizia per avere postato foto di loro che si baciano su Facebook) o quando ha sostenuto lo sbarco in Marocco di una nave olandese con l’obiettivo di effettuare a bordo gli aborti, proibiti per legge nel paese. I metodi di Ibtissam sono simili a quelli delle Femen, ma senza la nudità.
Al settimanale marocchino TelQuel dichiarava nel 2020: “I diritti e le libertà si strappano. Non è lottando saggiamente, con i guanti di velluto e operando con il politicamente corretto che riusciremo ad andare avanti”. Per una parte della società civile marocchina, tra cui la celebre avvocatessa Abderahim Jamai e l’Associazione marocchina dei diritti umani, difendere Betty significa difendere la libertà d’espressione. Ma la sua famosa maglietta, che provoca le ire degli islamisti in Marocco, non fa l’unanimità neanche all’interno della sinistra e del militantismo. C’è chi, in quell’ambito, lo ritiene un atto “inutilmente provocatorio”, vista la religiosità dei suoi connazionali. Di recente un giornalista politico ha sottolineato che il gesto dell’attivista è “l’importazione di una forma di protesta aggressiva”, che può passare in Europa, ma che si rivela controproduttivo in un Marocco dove “le donne lottano ancora per dei diritti di base, come gli alimenti o la condivisione dei figli nel caso di un divorzio”.