corriere.it, 7 ottobre 2025
In che modo (e quando) l’uomo ha modificato le dimensioni degli animali?
Se un viaggiatore nel tempo pre-medievale potesse osservare gli animali che popolano oggi il nostro mondo, resterebbe attonito. Probabilmente ripeterebbe la frase più cara a ogni passatista: «Ai miei tempi la natura era diversa». E ne avrebbe ben donde: nel corso dei secoli, l’uomo ha fatto crescere le dimensioni degli animali domestici e rimpicciolire quelle delle specie selvatiche. Lo afferma uno studio del CNRS e dell’Università di Montpellier, pubblicato pochi giorni fa su PNAS.
Il background
Prima di stabilirlo, gli scienziati d’oltralpe hanno incrociato una mole enorme di dati: qualcosa come 225.000 ossa provenienti da 311 siti archeologici della Francia Mediterranea, collocabili in un arco temporale di 8.000 anni (suddiviso in quattro sottofasi: Neolitico, Età del Bronzo, Tardo Antico e Medioevo). Dalle analisi è emersa un’evidenza solida: per millenni, specie selvatiche (cervi, lepri e volpi) e domestiche (capre, conigli, maiali, pecore e polli), hanno seguito traiettorie evolutive parallele. In altre parole, le loro dimensioni corporee, almeno fino al Medioevo, aumentavano o diminuivano in simultanea, come risposta a cambiamenti climatici e ambientali comuni.
L’alba di una nuova era
Una volta iniziati i secoli bui, la ruota dell’evoluzione si è inceppata vistosamente. Il pattern ordinato ha ceduto il posto all’irregolarità. E gli animali domestici hanno iniziato a modificarsi in modo indipendente gli uni dagli altri, spesso in maniera desultoria. Qual è il motivo? Gli autori spiegano il fenomeno con la cosiddetta “selezione artificiale”: da quel momento, infatti, gli allevatori hanno iniziato a orientare i cambiamenti evolutivi attraverso incroci mirati a massimizzare la resa. Basti pensare alle vacche lattifere e a tutti gli animali destinati a fornire cibo e bevande. Al contrario, le specie selvatiche – cervi, lepri e volpi – hanno subito la pressione della caccia intensiva e della riduzione degli habitat: rigogliose foreste trasformate in campi coltivati, con frammentazione delle popolazioni e minori risorse trofiche.
Il concetto di “pressione"
«La dimensione corporea è un indicatore sensibile del cambiamento sistemico, che rivela al tempo stesso resilienza e vulnerabilità nelle relazioni in evoluzione tra esseri umani, animali e ambiente», nota l’équipe di biologi. «Detto altrimenti, le attività umane hanno sostituito i fattori ambientali come principale forza evolutiva». Gli esperti definiscono questa influenza “pressione selettiva”. Negli ultimi decenni tale pressione si è intensificata in modo significativo: l’aumento delle temperature ha ridotto le dimensioni del cervello degli uccelli e, da oltre dieci anni, i pesci che peschiamo risultano sempre più piccoli. Allowen Evin, coordinatrice dello studio, riassume il suo lavoro così: «Non si tratta soltanto di guardare al passato: comprendere come le specie abbiano reagito a queste trasformazioni ci aiuta a immaginare come possano adattarsi oggi ai rapidi cambiamenti ambientali e climatici».