repubblica.it, 6 ottobre 2025
Vini senza alcol, i produttori: “L’ostacolo sono i ristoranti e i sommelier che fanno ostruzione”
Mentre l’atteso decreto che dà il via libera reale alla produzione di vini no e low alcol in Italia è finalmente in dirittura d’arrivo, tra i produttori il dibattito è aperto. Il sentiment diffuso è che nel nostro Paese il segmento no alcol fatichi a sfondare, perché la tradizione resta forte. Più chance, invece, sembrano esserci per i low alcol (sotto gli 8,5% gradi). Ma il confronto resta vivo e acceso.
E se da un lato il vino – come ha di recente dichiarato a Il Gusto anche Helmuth Kocher, fondatore del Merano Wine Fest – è considerato insostituibile, dall’altro è anche vero che un salto culturale verso i dealcolati, pur lento, non solo è possibile, ma già in atto. Una tendenza che potrebbe subire un’accelerata grazie al nuovo decreto attuativo.
I dati
Secondo gli studi dell’Osservatorio Unione Italiana Vini, i prodotti “Nolo” (no e low alcol) sono destinati a crescere in maniera direttamente proporzionale ai trend legati alla salute e al lifestyle. Un segnale arriva anche dal “Sober October”, il movimento nato nel Regno Unito e ormai diffuso a livello globale, che invita le persone a sospendere il consumo di alcol per tutto il mese di ottobre come sfida di benessere e consapevolezza. La partecipazione crescente all’iniziativa testimonia come la sobrietà temporanea stia diventando un fenomeno culturale e sociale, non più solo un comportamento individuale.
Secondo le elaborazioni Uiv su base Iwsr (International wine and spirits record), l’incremento del segmento è guidato in particolare dalla domanda americana e tedesca, ma anche dalla crescente propensione al consumo in Regno Unito, Australia, Spagna e Francia. Negli Usa, primo mercato Nolo al mondo, si attende una forte crescita del comparto no alcol (attorno al 7% medio annuo) in uno scenario oggi dominato dai prodotti “low”. Una crescita trainata soprattutto da un pubblico femminile, giovane e con alta capacità di spesa. Tra le principali motivazioni: il desiderio di limitare il consumo di alcol (48%), ma anche la ricerca di alternative in specifiche occasioni (26%).
Nel Regno Unito il consumatore tipo per entrambe le categorie Nolo è donna (57%), giovane (il 41% ha meno di 35 anni) e con alta capacità di spesa. In Germania, invece, sono proprio le fasce più giovani a guidare la crescita degli acquisti Nolo: tra gli acquirenti di vino analcolico prevalgono le donne, mentre gli uomini si orientano più spesso verso vini a basso contenuto alcolico.
Il decreto è quasi pronto
“Sul piano nazionale – riflette Paolo Castelletti, segretario generale di Unione Italiana Vini – sappiamo che ministero dell’Economia e delle Finanze e ministero dell’Agricoltura stanno lavorando al decreto interministeriale che definirà gli aspetti fiscali, ultimo tassello normativo essenziale per consentire agli operatori di partire. Uiv chiede che siano rispettate le semplificazioni già introdotte dal decreto elaborato dal Masaf sulla possibilità di fare i vini dealcolati negli stessi stabilimenti vitivinicoli (diciamo no a stabilimenti ad hoc e separati dalle cantine) e che ci sia chiarezza sulle modalità di gestione della soluzione idroalcolica ottenuta. Sul piano europeo, ci auguriamo che entro la fine dell’anno si arrivi a una chiusura del wine package, dove abbiamo proposto nuovi claim più immediati (per esempio, no alcohol, 0.0%, low alcohol) che possano comunicare in maniera più efficace con il consumatore. Infine, attenzione a cosa fanno i nostri competitor: mentre l’Italia è ancora ferma al palo, la Francia si prepara a inserire i parzialmente dealcolati nei vini a Igp. È una riflessione che prima o poi anche l’Italia dovrà fare”.
La svolta culturale
A confermare il fermento, interviene Sandro Bottega, tra i produttori pionieri dei vini no e low alcol. Il produttore veneto sottolinea come i mercati esteri siano pronti e recettivi verso il segmento, mentre in Italia i tempi non sembrano ancora maturi. Tuttavia, qualcosa potrebbe cambiare presto, con il decreto attuativo ormai in dirittura d’arrivo.
“Le vendite vanno molto bene, il mio punto di vista sul settore è positivo – dice Bottega –. Il segmento no alcol funziona bene all’estero, in particolare in Canada, Usa, Scandinavia, Germania e Inghilterra. Poco in Italia. È un consumo legato a chi beve troppo alcol e vorrebbe consumarne meno”.
Il produttore accende poi un faro sulla filosofia che guida questa scelta produttiva: “Il motivo vero per cui abbiamo iniziato a produrre dealcolati è per provare nuovi prodotti e nuove occasioni di consumo: al mattino, per un aperitivo a stomaco vuoto, per feste legate a nascite a cui partecipano donne incinte e così via. Ma tutto questo deve ancora essere codificato. Ci vuole un avvicendamento culturale: le persone devono capire come e quando bere no alcol e ricordarsi che questa chance esiste. Ci vuole tempo, è normale che il processo non sia immediato. I dati più positivi al momento riguardano il mondo mixology: nella mia azienda si vendono meglio i cocktail analcolici di quelli alcolici”.
Urge un segnale dai ristoranti
Anche il canale hotel, ristoranti e bar è chiamato a fare la sua parte. «Il segmento dei low e no alcol sta crescendo con forza sui mercati europei ed extraeuropei, dove i dealcolati registrano un interesse sempre maggiore – afferma Romina Romano, country manager Italia di Les Grands Chais de France – In Italia, invece, il vero limite non è il consumatore, già pronto e curioso di provare queste proposte, ma l’horeca (hotel, ristoranti e bar, ndr): un segmento spesso poco ricettivo e ancora diffidente verso una novità che rompe gli schemi. Non a caso, le vendite si sviluppano soprattutto nella grande distribuzione, dove il pubblico trova, sceglie e acquista liberamente. Come Les Grands Chais de France registriamo un interesse crescente anche per il gin analcolico: la mixology rappresenta oggi il segmento più dinamico e recettivo rispetto ai low e no alcol. All’estero il fenomeno esplode sostenuto dalla consapevolezza degli operatori; in Italia resta da superare la barriera culturale di chi compone le carte vini”.
Una visione condivisa anche da Martin Foradori Hofstätter, titolare dell’omonima azienda altoatesina e pioniere dei dealcolati in Italia. “Il fenomeno dei low e no alcol testimonia un cambiamento strutturale nei consumi e nei consumatori: due traiettorie parallele, entrambe in crescita, che non possono essere ignorate – sostiene l’imprenditore – Non si tratta di sostituire il vino tradizionale, ma di intercettare una nuova fascia di pubblico che finora si orientava verso le bibite analcoliche. L’ostacolo principale risiede nei filtri della sommellerie, della ristorazione e dell’hôtellerie, ancora troppo restii ad aprirsi a queste categorie. Poiché il consumo è già cambiato, è necessario che la filiera – soprattutto nei suoi anelli intermedi – adotti un approccio più aperto e consapevole. In Italia, diversamente da altri Paesi, anche i produttori rimangono cauti: la scarsa esperienza diretta sui no alcol e un quadro normativo complesso rendono più semplice sviluppare low alcol che affrontare il terreno ancora poco esplorato dei vini dealcolati”.
I low alcol crescono di più
Sulla stessa linea Aureljo Caca, responsabile della distribuzione di Ca’ di Rajo Group: “In Italia il fenomeno dei low e no alcol si sta muovendo su due direzioni diverse. Da una parte c’è l’interesse verso i no alcol, ancora in una fase esplorativa, un mercato che nasce e che si vuole testare per non arrivare in ritardo, con un target diverso da quello del vino tradizionale, più vicino a chi consuma abitualmente bevande analcoliche. Dall’altra c’è il segmento dei low alcol, che cresce più rapidamente perché intercetta anche i consumatori di vino, rispondendo a una tendenza verso etichette più leggere, sia in termini di grado alcolico che di freschezza. Qui il fenomeno si inserisce nel trend che privilegia bianchi e bollicine rispetto ai rossi, e gli operatori lo propongono con una chiave di lettura legata soprattutto alla bevibilità”.
Non rinunciare alla poesia
Bottega torna a sottolineare l’importanza dell’aspetto culturale e poetico, citando Gianni Moriani, professore di Ca’ Foscari e storico della cucina e del paesaggio agricolo, autore fra l’altro del libro Spritzmania. Un aperitivo alla conquista del mondo. “L’esperto ricorda che vendere un prodotto senza alcol non ha la stessa poesia di quello alcolico: quando guardi le Colline del Prosecco immagini la bellezza del nostro prodotto tradizionale e non pensi certo a un dealcolato – riflette Bottega – Quindi ciò che serve per questa categoria è un messaggio più poetico, vicino alla socialità. Il vino lo amiamo già con gli occhi: non è solo un buon prodotto, è poesia, cultura e bellezza”.