D - la Repubblica, 5 ottobre 2025
Ti sblocco un ricordino. L’ossessione tutta italiana per i souvenir delle vacanze
Il tappeto intrecciato dall’Indonesia, la maglietta I love NYC dagli Usa, la calamita a forma di gondola. Un gioiello, un sacchetto di spezie o l’immancabile portachiavi. Spesso ci vuole una valigia a parte ma c’è chi si fa spedire tutto, cibo e vino compresi. Siamo ossessionati dai souvenir di viaggio, piccoli surrogati di felicità che solo a guardarli, nei lunghi inverni, ci riportano su quelle spiagge, quei monti, quelle città magiche.
Noi italiani, in particolare, siamo dediti alla caccia al ricordino. Secondo un sondaggio di eDreams, agenzia di viaggio online, che ha intervistato 9mila persone tra Italia, Germania, Spagna, Francia, Portogallo, Uk e Usa, siamo noi i più inclini a collezionare oggetti delle vacanze. È un’abitudine consolidata per il 66% dei connazionali e tra gli articoli prediletti ci sono grandi classici: T-shirt, portachiavi e calamite, amati soprattutto dalla Gen Z. Gli over 65, invece, preferiscono foto e diari di viaggio e i 35-44enni specialità enogastronomiche. E se anche spagnoli e portoghesi si lasciano trascinare dall’acquisto di impulso, gli statunitensi mostrano interesse per opere d’arte e oggetti artigianali, mentre i britannici ne sembrano immuni: solo il 12% porta a casa souvenir.
«C’è una grandissima passione per il ricordino, io stessa ne faccio collezione», ammette Elisa Ilari, travel designer e consulente del tour operator Act Travel, specializzata in viaggi esperienziali.
«Ma è importante scegliere bene. Ai miei clienti consiglio oggetti fatti a mano dell’artigianato locale e prodotti tipici, il cui acquisto può aiutare economicamente la comunità del posto. Dall’Indonesia abbiamo portato tantissimi bracciali e tappeti, dall’Africa piccole sculture di legno e tè, caffè, spezie di ogni tipo. I turisti oggi sono più consapevoli, mi chiedono quali posti evitare per gli acquisti e dove sia meglio andare per un souvenir autentico».
Un recente report del governo australiano ha però rilevato che il 75% degli oggetti venduti come “prodotti indigeni” sono in realtà contraffatti. In Thailandia il 70% dei famosi pantaloni a cavallo basso con elefanti sono fabbricati altrove. In India da tempo si combatte la battaglia della pashmina: il 95% di quelle vendute sono solo imitazioni. Fake, produzione di massa e appropriazione culturale sono proprio le maggiori critiche all’industria dei souvenir, che solo negli Usa vale 21 miliardi di dollari. Per evitare fregature e aiutare davvero le popolazioni locali, bisogna scegliere con cura, accertarsi della provenienza dei materiali, per capire dove sia stato prodotto l’oggetto che si acquista.
Rinunciarci, però, non sembra possibile. Secondo la psicologa Nicola Cann, del blog The travel psychologist, i souvenir ci ricordano momenti di serenità e svago e contribuiscono a costruire uno status sociale, la prova delle nostre avventure da mostrare a parenti e amici. E in fondo, sono anche espressione della nostra crescita personale.