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 2025  ottobre 05 Domenica calendario

"Vi racconto mia mamma Catherine Spaak Le foto? Solo per immagine"

«Vi racconto tutta la verità su mia madre. Adesso che lei non c’è più posso dire di non averla mai odiata, né combattuta. E di aver compreso le sue scelte». Dopo anni di silenzio, esce allo scoperto Sabrina Capucci, 63 anni, ospite a Torino della libreria Belgravia dove ha presentato la raccolta poetica di Roberto Rossi Precerutti. Figlia di Catherine Spaak (1945-2022) e dell’attore Fabrizio Capucci (1939-2024), lo zio Roberto è il famoso sarto romano: «Non uno stilista, ma un architetto delle stoffe», precisa la nipote. Un’eredità che si intreccia con rapporti familiari difficili, separazioni dolorose e lunghi silenzi. Sabrina venne affidata alla nonna paterna dopo che Catherine a 17 anni scappò dalla casa di Fabrizio portandola con sé. Oggi Sabrina Capucci è molto più del suo cognome: attrice con Luca Ronconi dopo l’Accademia d’arte drammatica di Roma, scrittrice (a breve verranno pubblicate le sue nuove liriche) e spiritual coach, donna che ha fatto della sua creatività uno strumento per leggere se stessa e il mondo. Vive in campagna, ad Amelia (Terni), e tra i libri si confida come mai prima.
Cosa l’ha trattenuta dal parlare di sua madre in passato?
«C’è una differenza tra me e lei che è passata inosservata, perché ognuno di noi ha una narrativa personale. Non ho mai associato il fatto di essere attrice al dover dare in pasto la mia vita al pubblico, cosa che invece lei ha fatto. Si sono scritte tante falsità sul nostro rapporto e io avevo due possibilità, o contrastarle o non dire nulla. Ho scelto la seconda, non ho voluto trascinarla in uno scontro, anche questa è una forma di amore».
Come è riuscita a superare la separazione da sua madre?
«Non ho sofferto, la nonna Ida è stata un esempio di amore incondizionato. La mia “salvezza”, ma non voglio esprimere un giudizio».
Dice di aver compreso le scelte di sua madre Catherine...
«Mi sono messa nei suoi panni. Di origine francese, con genitori in conflitto tra loro, arriva in Italia a 15 anni, incontra mio padre sul set del film La voglia matta, un tombeur de femmes, e poi sono arrivata io. Una situazione emotivamente difficile da sostenere. Aveva 17 anni e, per la mentalità dell’epoca, era uno scandalo. Per di più in un Paese non suo».
Come descriverebbe i suoi genitori?
«Due grandi narcisisti».
Ha mai vissuto con sua madre?
«Mai. Sono stata allontanata sin da piccola e affidata alla famiglia di papà. Mamma veniva a farsi fotografare con me solo per motivi di immagine. Il mio vissuto con lei era molto diverso da quello che lei stessa raccontava ai giornali, come attrice sosteneva un ruolo pubblico, disposta a mettere al bando la sua vita, la sua intimità».
E quando i suoi genitori si sono separati?
«La fine del loro matrimonio, durato pochi mesi e con molte complicazioni, è stata estremamente conflittuale, hanno avuto due scontri pesanti, prima in Sacra Rota poi in Comune. Io ero come una palla che balzava da una parte all’altra. Sono stata il primo caso in Italia di affidamento di una neonata al padre e non alla madre».

L’infanzia?
«Verso i sette anni nonna mi disse: “Vedi, questa è la tua mamma, dice che viene a trovarti e poi non lo fa”, anche se poi insisteva che la frequentassi. In adolescenza, invece, si era creata una dinamica di sfida. A me comunque non è mai mancato l’affetto familiare. Mi sono sempre sentita amata».
Sua madre ha detto di essere scappata con lei perché in casa Capucci la convivenza era insopportabile?
«Non è così, è una storia inventata per questioni di immagine su suggerimento dell’ufficio stampa: doveva emergere il fatto che lei volesse bene a sua figlia».

Eppure lei parlava nelle sue interviste di una figlia persa e dei tentativi per recuperare una relazione perduta.
«Diventai il capro espiatorio di sue difficoltà, così sono apparsa come la nemica, la cattiva. Lei, invece, la buona».
Ha mai tentato una riconciliazione?
«Quando nonna morì scrissi una lettera a mia madre: “Io non ce l’ho con te, l’unico favore che ti chiedo è di non parlare di me, è la mia vita privata”. Non è successo».
E quando si ammalò?
«Quando ebbe il primo ictus le parlai al telefono, dissi: “Mamma abbiamo una vita per stare insieme, vogliamo farlo adesso?”. “Non sono pronta”, mi rispose. Ho rispettato la sua decisione: “Ok – replicai – ora però siamo in pace"».
Alla fine vi siete riappacificate?
«Dopo il secondo ictus, zia Agnès, sorella di mamma, mi chiese se volessi incontrarla in clinica. Non sapevo se sarebbe stata contenta, non poteva più parlare. Volevo però trascorrere del tempo insieme, leggerle qualcosa, comprarle una piantina... Sono tornata a farle visita ogni giorno, e sono stata l’unica a farlo».
C’è stato un momento di particolare commozione?
«Quando riuscii a portarle papà, non si incontravano da tempo. In quella camera di ospedale è stata la prima volta che li ho visti insieme. Lui, avvicinandosi al letto, le disse: “Catherine, ti ho sempre amata”, anche se aveva la terza moglie che lo aspettava sotto l’ospedale, in auto. A quel punto sono uscita, li ho lasciati soli. È il ricordo più bello».

Che tipo era suo padre?
«Uno dei più geniali produttori cinematografici. Ha realizzato parecchie campagne di successo e ha lanciato Megan Gale in una fortunata serie di spot. Era simpaticissimo, faceva spesso le ore piccole, al mattino entrava in casa, mi accompagnava a scuola e poi andava a dormire. Mi ha trasmesso il dono della creatività e della profondità esistenziale».
E lo zio Roberto Capucci?
«Ha 95 anni e la salute di un bambino. La sua forza vitale è la passione. Con i suoi abiti ha sfidato la gravità armando le stoffe. Con lui ho un rapporto meraviglioso, sa vedere l’invisibile e renderlo reale. Appena mamma è morta mi ha adottata “perché – ha detto – noi siamo la tua famiglia"».