La Stampa, 5 ottobre 2025
Se si ammala chi ci cura
Una Finanziaria da lacrime e sangue. Perché servirebbero almeno 50 miliardi se all’improvviso andasse in frantumi quel pilastro di vetro, che nessuno vede, ma che con 7 milioni di caregiver familiari e 1,5 milioni di badanti sorregge il nostro welfare: secondo recenti calcoli del ministero dell’Economia, un loro passo indietro costerebbe 17 miliardi per l’assistenza ad anziani e fragili in Rsa.
Ed è quello che sta avvenendo secondo un studio dell’Iss, che rileva come quasi la metà dei caregiver si ammali di una malattia cronica per lo stress psico-fisico di doversi ogni giorno far carico di una popolazione dove oramai gli Over 80 sono 4,5 milioni (il doppio di 30 anni fa) e persino gli ultracentenari sfiorano quota 22 mila. Così il 17% di chi li assiste perde il lavoro e quasi la metà ha sempre più difficoltà a incastrare gli orari lavorativi con quelli dell’assistenza. Un problema che angoscia il 46% di chi assiste i propri cari.
Non sorprende allora che uno su cinque riferisca di aver visto la propria relazione di coppia incrinarsi sotto il peso dell’assistenza continua, con separazioni e divorzi in aumento tra chi si occupa da anni di un familiare fragile.
L’ultima survey dell’Istituto Superiore di Sanità lo fotografa con crudezza: il 41% dei caregiver sviluppa una malattia cronica che prima non aveva. Ansia, depressione, disturbi muscolo-scheletrici e cardiaci sono le nuove compagne di vita. Due su tre dichiarano di convivere con più di una patologia. Il peso ricade soprattutto sulle donne giovani, spesso schiacciate tra lavoro, figli e anziani non autosufficienti. In molti casi, a saltare è la possibilità stessa di curarsi: visite e ricoveri vengono rimandati per dare priorità al familiare malato. «Le disuguaglianze di genere finiscono per generare nuove disuguaglianze di salute», spiega Elena Ortona, direttrice del Centro di riferimento per la medicina di genere dell’Iss. Una indagine di Cittadinanzattiva conferma le sue parole. Se parliamo di salute fisica l’80% di chi accudisce un familiare ne risente negativamente. Percentuale che sale all’85% quando si parla di benessere psicologico. E per il 69% dei caregiver l’attività di sostegno finisce per impattare in modo «significativamente negativo» sulla vita familiare. In particolare nelle relazioni con coniuge e figli. Non a caso tra i servizi auspicati ma non fruiti, quello maggiormente indicato dai caregiver è il supporto psicologico ed emotivo per contrastare o prevenire depressione e burnout, la condizione di stress che accompagna le esistenze di molti di loro. Anche se maggiori oneri ricadono sulle donne tra i 45 e i 55 anni, che spesso svolgono anche un lavoro fuori casa ma che nella maggior parte dei casi hanno dovuto dire addio alla propria attività per dedicarsi a tempo pieno alla cura di chi in famiglia non è più autonomo. Con una media di 7 ore al giorno di assistenza diretta e 11 di «sorveglianza», documenta un’indagine dell’Istat.
Se la dimensione sociale del problema è evidente, quella demografica lo è ancora di più. L’Italia è infatti il secondo Paese più vecchio al mondo dopo il Giappone e se oggi un figlio adulto si fa carico dei genitori anziani, domani per molti non sarà più così, visto che il 30,9% dei nuclei familiari è composto da coppie senza figli e il 37,4% sono single.
A differenza di Germania o Francia, dove esistono indennità e servizi strutturati per chi si prende cura dei familiari fragili, in Italia il sostegno pubblico resta una giungla di bonus temporanei e assegni di accompagnamento che raramente coprono i costi reali. Insomma, lo Stato latita. Ne è la riprova il fatto che da noi l’assistenza domiciliare integrata viene erogata a più del 6% degli over 65, ma in media per non più di 18 ore l’anno. Quando gli standard internazionali dicono che le ore necessarie sarebbero 20. Così il peso ricade sui familiari, che ne scontano il prezzo in termini di salute ma anche economici. Soprattutto le donne, che secondo i dati Inps rielaborati dal Cnel nel 58,4% dei casi sono costrette a ricorrere ai congedi straordinari, mentre secondo l’Istat il 45% abbandona del tutto il lavoro. Non a caso tra chi ha in carico un non autosufficiente il 53,5% dichiara un Isee inferiore a 9 mila euro.
Eppure è questo esercito invisibile che si ammala e impoverisce a tenere ancora in piedi un Paese longevo ma fragile. Senza rinforzi però anche l’esercito più volenteroso è destinato a crollare.