D - la Repubblica, 5 ottobre 2025
Benjamin Wallace: “Sulle tracce di Mr Bitcoin, Satoshi Nakamoto, ecco perché va cercato comunque”
Era il 31 ottobre del 2008, mentre la finanza globale veniva travolta da una crisi senza precedenti, un forum di esperti di crittografia pubblicava un documento che descriveva una moneta digitale scambiata tra pari, senza bisogno di autorità o intermediari. Quella valuta aveva già un nome: bitcoin. L’autore (o gli autori) usavano uno pseudonimo: Satoshi Nakamoto. Oggi, 16 anni dopo, un bitcoin vale 100mila dollari, le criptomonete si sono conquistate a forza uno spazio sui mercati e dopo anni di rovinose cadute e vertiginose risalite un presidente americano promette la loro definitiva consacrazione, inserendole tra le valute di riserva degli Stati Uniti. Eppure di quel Satoshi Nakamoto, genio e ultramiliardario, continuiamo a non conoscere una chiara identità. Nel suo Il misterioso Signor Nakamoto (Apogeo) il giornalista freelance Benjamin Wallace racconta gli anni passati sulle sue tracce, un’indagine senza rivelazione finale ma che porta nei meandri di “un caso senza precedenti nella storia della tecnologia” e della cultura che lo ha prodotto.
FILIPPO SANTELLI: Cominciamo dalle basi di ogni indagine: che indizi ha lasciato Satoshi Nakamoto?
BENJAMIN WALLACE: “Non molte, in totale circa 60mila parole. C’è il documento in cui ha presentato il bitcoin, gli interventi sul forum in cui la comunità discuteva e una serie di mail private mandate ad alcuni sviluppatori. Le ultime comunicazioni datano aprile 2011, poi a parte un brevissimo messaggio nel 2014 più nulla. È sparito”.
FS: Tutto passato ai raggi X, anche attraverso l’analisi stilistica. Abbiamo raggiunto qualche certezza?
BW: “Di certo Satoshi possedeva una serie di competenze: programmazione, in particolare il codice C++, crittografia, teoria dei giochi e teoria monetaria, oltre a una conoscenza dei progetti simili ipotizzati in precedenza. Quanto alla sua persona, l’analisi linguistica ha rivelato che quegli scritti sono tutti opera di un’unica mano, probabilmente un uomo. Mi pare irrefutabile che si tratti di un madrelingua inglese, non commette errori. Alcune parole hanno una grafia britannica o del Commonwealth, non americana, ma c’è chi ipotizza possa trattarsi di un depistaggio voluto”.
FS: Negli anni vari nomi sono stati associati a Nakamoto e molti facevano parte della comunità degli attivisti cypherpunk. Chi erano?
BW: “Un gruppo di libertari, molti dei quali informatici, che sostenevano che Internet non potesse funzionare senza un utilizzo diffuso della crittografia a garanzia della privacy, e che a partire dagli anni 80 hanno combattuto per liberarla dal monopolio dei governi. Hanno vinto: oggi la crittografia protegge ogni nostra comunicazione”.
FS: Eppure nessuno di quei “soliti sospetti” – gli americani Nick Szabo e Hal Finney, l’inglese Adam Back – secondo lei è Satoshi. Perché?
BW: “Sono tutti informatici libertari conosciuti, che in precedenza avevano proposto idee simili al bitcoin o lavorato a pezzi della tecnologia che lo sostiene. Ma per nessuno di loro l’analisi degli scritti ha mostrato corrispondenze chiare con Satoshi. Szabo e Finney potrebbero sapere più di quanto hanno detto, ma se dovessi scommettere direi che il creatore dei bitcoin è un’altra persona, di cui finora non abbiamo sentito parlare”.
FS: Uno che fin dal primo giorno ha avuto capacità e volontà di rendersi irrintracciabile? Come avrebbe fatto?
BW: “In realtà gli strumenti di anonimizzazione che ha usato sono diffusi tra gli esperti, quello che stupisce è l’assenza di errori che lo potessero smascherare, perché rivela un’enorme disciplina. Molti personaggi che per varie ragioni hanno cercato di essere anonimi si sono traditi quando la pressione è salita. Vale per esempio per Ross Ulbricht, fondatore di Silk Road, o per le persone dietro a QAnon. Nella storia moderna non esiste una tecnologia così diffusa di cui non conosciamo l’inventore. Questo rende il caso Satoshi unico. Specie se consideriamo gli incentivi che avrebbe a intestarsi i bitcoin”.
FS: Non solo la gloria… dovrebbe possedere circa un milione di criptovalute.
BW: “Che alle valutazioni attuali varrebbero oltre 100 miliardi di dollari, rendendolo una delle 20 persone più ricche del mondo. Sappiamo che nessuna di quelle monete è stata toccata, altrimenti vedremmo le transazioni sulla blockchain”.
FS: Questo cosa le suggerisce?
BW: “Una delle seguenti ipotesi. La prima è che sia una specie di monaco, con un impegno quasi religioso a far sì che la sua moneta decentralizzata resti priva di un leader. Però mi convince poco, perché dovrebbero essere altrettanto monacali tutte le persone con cui ha interagito. La seconda ipotesi è che abbia perso le chiavi di accesso al suo portafoglio, magari quando il bitcoin valeva ancora poco, cosa che può capitare anche a un esperto. La terza è che sia morto. L’ultima, che mi convince sempre di più, è che faccia parte di una comunità di intelligence”.
FS: Ma come? Per i libertari l’intelligence è il vero nemico.
BW: “In realtà tra esperti di crittografia e intelligence ci sono sempre state delle porte scorrevoli. Satoshi poteva essere un dipendente dell’Nsa che ha sviluppato il bitcoin come un progetto laterale. Questo spiegherebbe perché è stato così bravo a mantenersi anonimo, perché non ha potuto toccare i soldi e perché l’analisi del suo stile non ha dato riscontri”.
FS: I massimalisti dei bitcoin propendono per la figura religiosa. E dicono: non ha voluto rivelarsi, la sua scelta va rispettata. È giusto cercarlo?
BW: “I libertari possono proiettare su Satoshi quello che vogliono e molti lo vedono come un dio benevolo che ha rinunciato a fortuna e fama per il bene del suo progetto. Questo ha sicuramente motivato la comunità che ha sviluppato il bitcoin, oltre a creare un mistero che attira le continue attenzioni del pubblico. Penso però che sia una visione molto egoistica e che Satoshi vada cercato comunque: se davvero fosse un libertario cambierebbe poco, ma se si scoprisse che ha cattive intenzioni le cose sarebbero davvero molto diverse”.
FS: Tipo?
BW: “Immaginate se il bitcoin fosse un piano del Partito comunista cinese per destabilizzare il dollaro”.
FS: Nel frattempo le criptovalute sono state cooptate dalla finanza tradizionale, che ci investe in modo massiccio, e invitate a corte da Trump. Cosa ne penserebbe Satoshi?
BW: “Nei suoi messaggi Satoshi ha preso di rado posizioni politiche, a parte un paio di volte in cui ha detto che il bitcoin avrebbe potuto aprire nuovi territori per la libertà. Chiunque fosse coinvolto nel progetto però voleva che acquisisse valore. E questo può avvenire solo attraverso l’adozione di massa”.
FS: Più passa il tempo più trovare il fondatore diventa difficile?
BW: “Io credo che un giorno conosceremo la sua vera identità. Potrebbe avvenire in vari modi: una confessione sul letto di morte, la declassificazione di documenti di intelligence, l’arrivo di un’Ai in grado di indagare in modo più avanzato o lo sviluppo di una nuova crittografia quantistica che lo costringa a spostare i suoi bitcoin”.
FS: Cosa le rimane di questa “caccia”?
BW: “In questo mistero l’idea di arrivare al nome è talmente attraente che tutti siamo portati a vedere i fatti che confermano i nostri pregiudizi e a non guardare gli altri. Io ho cercato in ogni modo di evitarlo. Mi ero dato l’obiettivo di sperimentare nuove strade e avere nuove risposte sbagliate da escludere. Credo di esserci riuscito”.