Corriere della Sera, 5 ottobre 2025
Un segnale d’allarme dai pronto soccorso sovraccarichi
Quando arriva l’inverno, arriva l’influenza. E quando arriva l’influenza molti cittadini si ammalano. E quando molti cittadini si ammalano, quelli più anziani e clinicamente «fragili» possono finire in Pronto Soccorso (PS).
E quando troppi cittadini ammalati finiscono in PS e necessitano di essere ricoverati, se i posti letto a disposizione nei reparti internistici sono pochi, il PS si riempie di pazienti in attesa. Questa situazione di sovraffollamento è definita boarding. Quando un PS ha un boarding elevato, la letteratura scientifica ci dice che la mortalità dei pazienti aumenta. Chiariamo subito: il boarding non è un problema (solo) del PS ma di tutto l’Ospedale e dipende dall’intero percorso del paziente, dal suo arrivo in ospedale a quando viene dimesso. Quindi per risolverlo non basta solo potenziare i PS in termini di strutture e personale sanitario, ma occorre aumentare la disponibilità di letti nei reparti di Medicina Interna, che sono quelli che accolgono la maggior parte dei pazienti che necessitano di ricovero.
Dal 2000 a ora il numero di letti ospedalieri si è ridotto del 30-35%. Tuttavia sarebbe errato pensare che basti aumentare il numero dei letti per risolvere il boarding. Infatti un recente studio multicentrico delle due società scientifiche internistiche (Simi e Fadoi) sui ricoverati nelle Medicine Interne di 14 ospedali lombardi ha evidenziato come il 15% di loro sia in condizioni cliniche critiche e il 21% presenti un’elevata «fragilità sociale» (soli, indigenti, non più autosufficienti) che condiziona un ricovero prolungato per problematiche non-cliniche (difficoltà a trovare un setting di bassa intensità extraospedaliera, impossibilità a tornare a casa per assenza di familiari/caregivers, ecc.). Questi pazienti (brutalmente definiti bed blockers) rimangono ricoverati senza un motivo clinico mediamente per 7 giorni, e riducono la disponibilità di posti letto per quelli in attesa di ricovero in PS. Quindi, per risolvere il problema del boarding bisogna mettere gli internisti nelle condizioni di poter dimettere in sicurezza i pazienti che non possono rientrare al domicilio, incrementando la disponibilità delle strutture territoriali a più bassa intensità clinica e delle RSA. E qui sta il nodo critico irrisolto. Gli Ospedali di Comunità, che dovrebbero rispondere proprio a queste esigenze, rimangono per ora solo sulla carta, e le strutture territoriali esistenti troppo spesso tendono ad accettare i pazienti usando criteri di selezione che escludono di fatto proprio i più complessi e quelli con maggiore fragilità sociale.
La nascita di una «consulta» con le autorità sanitarie regionali e nazionali che coinvolga urgentisti, internisti, medici di medicina generale, geriatri e responsabili delle strutture territoriali pubbliche e private diventa fondamentale per poter proporre progetti operativi concreti.