Corriere della Sera, 5 ottobre 2025
Perché ci ricordiamo esattamente dov’eravamo l’11 settembre 2001
È misterioso il meccanismo attraverso cui il cervello decide se un evento, un momento di vita, ma anche un’informazione, debbano essere ricordati oppure dimenticati. Si potrebbe affermare che il cervello lo decide per così dire, senza consultarci, anche se di fatto il cervello è la mente e la mente siamo noi. Un po’ paradossale, ma aiuta a farsi un’idea di quanto sia poco conosciuto il sistema di selezione di eventi e informazioni da consegnare alla memoria. Ora uno studio pubblicato su Science Advances getta un po’ di luce su questo meccanismo, giungendo alla conclusione che eventi di scarsa rilevanza possono conquistarsi un immeritato posto nella nostra memoria se restano «attaccati» ad altri eventi che entrano nel sistema dei ricordi in quanto caratterizzati da intenso coinvolgimento emozionale.
Un esempio aiuta a comprendere il meccanismo: chi ha vissuto l’11 settembre 2001 ricorderà senz’altro dove e con chi si trovava quando ha sentito per la prima volta la notizia dell’attacco alle Torri Gemelle, un’informazione che il cervello non avrebbe registrato se non fosse stata associata a quell’evento altamente emozionale. Il luogo e la situazione in cui ci si trovava quel giorno sarebbero affondati in un generico oblìo insieme a quelli di altre giornate qualsiasi. «La memoria non è uno strumento di registrazione passivo» dice Robert Reinhart, professore associato di Psychological and brain sciences al College of arts & sciences della Boston University e coautore dello studio.
«Da tempo le neuroscienze cognitive cercano di sviluppare strategie che consentano di rafforzare i ricordi utili e indebolire quelli dannosi per la mente. Il nostro studio indica la possibilità che la rilevanza emozionale dei ricordi potrebbe essere sfruttata in modo preciso per raggiungere questi obiettivi». Studi precedenti avevano dimostrato ciò che è esperienza comune, ossia che gli eventi di vita a maggior impatto emotivo tendono a essere più facilmente conservati nella memoria, ma finora non era stato dimostrata sperimentalmente la connessione tra questi ricordi e altri che possono a essi collegarsi. Lo studio realizzato da Reinhart e collaboratori ha coinvolto quasi 650 partecipanti, revisionando 10 studi precedenti e facendo ricorso anche all’analisi dell’intelligenza artificiale, riuscendo a dimostrare l’effettivo potenziamento dei ricordi associati.
Nella ricerca sono state mostrate ai partecipanti decine di immagini di diverso impatto emotivo per poi sottoporli, il giorno successivo, a un test a sorpresa sulla memoria.
Lo studio, fra l’altro, ha permesso anche di capire che più lungo era un evento saliente, maggiore la probabilità che tutto ciò che sarebbe successo dopo sarebbe stato ricordato.
Gli eventi che precedono quello saliente, invece, tendono a essere registrati solo se hanno un’affinità di contenuto. «È la prima volta che viene dimostrato che il cervello recupera i ricordi deboli in modo graduale, guidato dalla loro somiglianza con gli eventi emotivi», dice Chenyang Lin, primo autore dell’articolo e dottorando presso il laboratorio diretto da Reinhart. La ricerca ha anche consentito di scoprire che quando c’è una sequenza di eventi ad alto contenuto emotivo l’effetto di potenziamento della memoria è meno evidente, quindi il cervello sembra dare la priorità ai ricordi fragili che altrimenti andrebbero persi.