Corriere della Sera, 5 ottobre 2025
Chi è Sanae Takaichi, che potrebbe diventare la prima premier donna del Giappone
Sanae Takaichi potrebbe diventare la prima donna a guidare il governo del Giappone, un Paese il cui pervicace maschilismo si riverbera anche nella modesta rappresentanza femminile in Parlamento, che non supera di molto il 15%. Lo si scoprirà fra un paio di settimane quando i deputati saranno chiamati a scegliere il nuovo premier. Per ora Takaichi (al secondo tentativo: ci aveva già provato nel 2021 arrivando terza) ha vinto le elezioni interne con cui i liberal-democratici dovevano scegliere il leader che avrebbe sostituito Shigeru Ishiba, che all’inizio di settembre si era dimesso sia da presidente del partito sia da premier.
L’ascesa di Takaichi alla guida dell’esecutivo è estremamente probabile ma non è certa come lo sarebbe stata un tempo. Perché, se è vero che i conservatori del Partito liberal-democratico (Pld) hanno espresso il capo del governo in 64 degli ultimi 70 anni, nelle elezioni politiche del 2024 hanno conosciuto un declino che li ha condannati a essere in minoranza in entrambi i rami del Parlamento nonostante l’alleanza con il partito Komeito. Tanto che la nuova leader del Pld non ha nascosto la sua intenzione di tentare un allargamento della coalizione di governo.
La 64enne Takaichi, che è stata eletta per la prima volta in Parlamento nel 2003, per poi arruolarsi tra i liberal-democratici solo 3 anni dopo, è una grande ammiratrice di Margaret Thatcher, la «lady di ferro», e, per rimanere in campo siderurgico, è stata una batterista metal ai tempi dell’università. È ostile a ogni infrazione della tradizione («no» ai matrimoni omosessuali, «no» alla possibilità che marito e moglie mantengano i rispettivi cognomi e «no» all’ipotesi che il Paese abbia un’imperatrice). E, come il suo mentore, l’ex premier Shinzo Abe assassinato durante un comizio nel 2022, è sempre stata una superfalca per quello che riguarda la politica estera: infatti, non solo promuove un atteggiamento per nulla conciliante con la Cina nonché una più stretta alleanza con Taiwan, ma è anche una habituée del santuario di Yasukuni in cui i giapponesi più inclini al revisionismo sulla Seconda guerra mondiale commemorano i loro caduti, compresi quelli che sono stati condannati per crimini di guerra.
Takaichi non è l’unica donna a guidare un movimento politico giapponese con rappresentanza parlamentare: l’altra è Tomoko Tamura, presidente del Partito comunista che, a dispetto del suo ridotto numero di deputati, è stato capace, anche in tempi recenti, di qualche exploit elettorale, soprattutto nell’area di Tokyo. Ma è l’unica che può aspirare alla guida del governo.
Appena eletta, la neoleader del Pld ha srotolato una sorta di mantra: «Lavorerò, lavorerò, lavorerò, lavorerò e continuerò a lavorare ancora», ha detto. E, in effetti, dovrà darsi molto da fare per incerottare le crepe che negli ultimi anni hanno fessurato il Partito liberal-democratico e anche il suo elettorato, un tempo solidissimo. Per ora Takaichi ha sconfitto – sia nel voto degli iscritti sia, più di misura, in quello dei deputati – il 44enne Shinjiro Koizumi, che rappresentava l’ala del partito più moderata e puntava a diventare il premier giapponese più giovane degli ultimi cent’anni, con tre lustri di anticipo rispetto a suo padre Junichiro che, quando raggiunse quella stessa carica, di anni ne aveva già 59. Ma questo, per lei, è solo il primo passo.
Ora la vincitrice deve ricompattare il partito. E deve farlo in fretta. Per avere successo dovrà cercare un difficile equilibrio: se non ammorbidirà i toni, come ha provato a fare negli ultimi mesi per ottenere la leadership del Pld, rischierà di spaventare gli elettori moderati. Ma se li ammorbidirà troppo non riuscirà ad arrestare quell’emorragia di voti che sta dissanguando il Pdl a vantaggio dei movimenti populisti di estrema destra che intonano dei trumpizzanti «Japan first» o «Make Japan great again». Da parte sua Takaichi, in un recente dibattito, ha scelto invece di pronunciare (in inglese) una versione alternativa, ma non troppo, di questi slogan: «Japan is back», ha detto. Il Giappone è tornato.