Corriere della Sera, 5 ottobre 2025
Nuovo colpo dagli Usa: da gennaio dazi al 107% sulla pasta italiana
Si apre un nuovo fronte nella guerra dei dazi e riguarda una delle eccellenze dell’agroalimentare Made in Italy: la pasta. L’amministrazione Trump è pronta ad imporre tariffe record. Al dazio del 15%, già in vigore sulle importazioni dall’Ue, da gennaio del prossimo anno potrebbe sommarsi un ulteriore 91,74%, che porterebbe a un dazio complessivo quasi del 107%.
La stangata è l’esito di una indagine del Dipartimento del Commercio americano, il cui metodo suscita grandi perplessità tra i produttori italiani.
Ogni anno il Dipartimento del Commercio (Doc) americano effettua una revisione sulle importazioni di pasta dall’Italia su richiesta dei cosiddetti petitioners. In questo caso, come si legge sul documento, sono 8th Avenue Food & Provisions e Winland Foods, che di recente si è unita all’italiana La Doria dando vita al gruppo Windoria, controllato da LDW Investment Top Holding di Investindustrial. Per fare le verifica il dipartimento ha scelto soltanto due aziende (mandatory respondents) da sottoporre a revisione completa dei dati di vendita e di costo. In questo caso, La Molisana e Garofalo. Nel documento pubblicato dal Dipartimento del Commercio si legge: «Abbiamo determinato in via preliminare che per il periodo compreso tra il 1° luglio 2023 e il 30 giugno 2024 sussistono i seguenti margini di dumping medi ponderati stimati: La Molisana Spa 91,74%, Pastificio Lucio Garofalo Spa 91,74%, società non esaminate individualmente 91,74%». In sostanza l’amministrazione Usa accusa le due società in questione di dumping ed estende l’accusa e il dazio anche gli altri esportatori menzionati, su cui non ha effettuato alcuna verifica. Oltre a La Molisana e Garofalo, ci sono: Agritalia, Aldino, Antiche Tradizioni Di Gragnano, Barilla, Gruppo Milo, Pastificio Artigiano Cav. Giuseppe Cocco, Pastificio Chiavenna, Pastificio Liguori, Pastificio Della Forma, Pastificio Sgambaro, Pastificio Tamma e Rummo. L’impatto del dazio sarà minore per chi produce già negli Usa la pasta destinata al mercato americano, come Barilla. Mentre per chi esporta dall’Italia tutto ciò che vende negli Usa le conseguenze rischiano di essere pesantissime.
Rischio blocco
Scordamaglia: le nostre esportazioni negli Usa rischiano il blocco Agevolate le imitazioni
Questo tipo di indagini è frequente, la novità questa volta è l’entità del dazio. Negli scorsi anni revisioni analoghe, fatte sulle stesse aziende, si sono concluse con tariffe zero o dello 0,5%. L’improvvisa tariffa record del 91,7% sembra solo l’ennesima escalation nella guerra commerciale. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, ieri negli Usa per incontrare l’ambasciatore Marco Peronaci, fa sapere che il governo segue «con attenzione i dossier legati alla presunta azione anti dumping che farebbe scattare un meccanismo iper protezionista verso i nostri produttori di pasta del quale non vediamo nè la necessità nè alcuna giustificazione». Il contatto con gli uffici governativi statunitensi è costante, assicura Lollobrigida, «per questo ed altri dossier come quelli su vino, pecorino romano, olio extravergine».
Per Luigi Scordamaglia, ad di Filiera Italia, siamo di fronte a «una distorsione evidente, perché trasforma un dazio punitivo in una sanzione collettiva sulla scorta di una presunzione assurda». Con un dazio di questa entità, aggiunge: «Le nostre esportazioni di pasta negli Usa verrebbero di fatto bloccate dal 1°gennaio 2026 perché rese non competitive ad unico vantaggio delle imprese anche italiane, oltre che di altri paesi, che hanno iniziato a delocalizzare la produzione negli Stati Uniti». Coldiretti avverte che sarebbe un «colpo mortale» per il Made in Italy e «aprirebbe un’autostrada ai prodotti Italian sounding, favorendo le imitazioni». Nel 2024 l’export di pasta italiana negli Stati Uniti ha raggiunto un valore di 671 milioni di euro, un mercato che rischierebbe di venire azzerato da dazi del 107%. «È uno scenario che va scongiurato – sottolinea il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini –.Le accuse di dumping americane sono inaccettabili e strumentali al piano di Trump di spostare le produzioni negli Stati Uniti».