Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  ottobre 03 Venerdì calendario

A Belgrado non si ferma la protesta anti-Vucic. E scatta l’allarme golpe

«Giusto il tempo per servire le colazioni, poi finisco il turno e vado alla protesta». Dusan lavora come cameriere in un hotel di Belgrado e la sua giornata tipo, come quella degli studenti delle università serbe che oltre a protestare in strada occupano le facoltà, prevede da mesi momenti fissi di partecipazione alle manifestazioni contro il presidente in carica, Aleksandar Vucic.
Le dimostrazioni, pur alternando scontri a bassa intensità tra forze dell’ordine e manifestanti a giornate segnate da arresti e feriti, da novembre del 2024 non si sono mai fermate e hanno acquisito ormai un carattere strutturale, paralizzando diverse aree delle città. Chiunque si svegli a Belgrado, come a Novi Sad dove le proteste sono esplose, a Kragujevac, a Nis e in altri centri che man mano si sono uniti al coro antigovernativo, sa che dovrà fare i conti con ritardi e necessità di cambiare il suo itinerario, anche solo per raggiungere il posto di lavoro. Arrivare dall’aeroporto di Belgrado o cercare di raggiungerlo si traduce nel dover “circumnavigare” la città per evitare le “blokade”: le interruzioni del traffico dovute a cortei che inizialmente erano limitati al giro della politica studentesca, poi si sono allargati ad intellettuali, agricoltori e trasversalmente a tutti i settori della società. La polizia vigila, pronta ad intervenire.
«I soldi delle casse statali vengono spesi per pagare la diaria ai poliziotti, per soffocare la nostra protesta – spiega Dusan – non per pagare stipendi e pensioni». In una Serbia che sprofonda sempre di più nella povertà, l’accusa dei movimenti anti-Vucic è precisa: i soldi che mancano per i cittadini sono finiti nelle mani di un governo corrotto che ora intende mettere mano agli appalti per l’Expo 2027. «Vucic deve andare via, è dal 2012 che non ci molla. La corruzione di questo governo ci ha rovinati», dice Mihajlo, amico di Dusan. La richiesta dei “blokaderski”, come vengono chiamati i manifestanti, è quella di elezioni anticipate per resettare ciò che viene imputato al governo Vucic. A partire dal casus belli alla base delle proteste: il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad, che ha causato 16 morti, attribuito a corruzione e negligenza nei lavori pubblici. Con l’avvicinarsi dell’anniversario della tragedia che ricorre il prossimo primo novembre, gli animi si surriscaldano. Vucic teme, o dice di temere per alzare il livello della repressione, un colpo di stato. Questa narrazione è stata ripresa dal Servizio di intelligence estero della Russia, Paese amico del presidente serbo, secondo il quale il prossimo primo novembre alcuni «centri di potere esterni al Paese» potrebbero tentare di instaurare un governo fantoccio in Serbia.
Di certo il presidente serbo non intende consentire un voto anticipato e del resto una figura di opposizione che possa traghettare il Paese verso il futuro non è stata individuata. Gli studenti in rivolta avrebbero preparato una lista di candidati ed un programma, al momento fumoso, da svelare quando verranno convocate le elezioni. Vucic di recente ha dichiarato di voler portare il Paese al voto alla fine del 2026. Nel frattempo, ci sono in ballo gli appalti e i lavori per l’expo del 2027 che, secondo il presidente, è un’occasione per portare benessere in Serbia e richiede stabilità per essere organizzata al meglio. La paura dei movimenti di protesta è che, in mancanza di trasparenza su costi e appalti, oltre a non conoscersi l’effettivo beneficio per la Serbia, si possano ripetere incidenti come quello di Novi Sad. Intanto sono cresciute le contromanifestazioni che chiedono il ritorno alla normalità ed espongono striscioni a favore del governo. «La Serbia è in crisi economica e questi cortei che ostacolano lo svolgimento delle attività quotidiane non possono che peggiorare la situazione», spiega Nebojsa. Vucic, intanto, ha fatto allestire davanti al Parlamento dei gazebo dotati di sedie e banchi.
«Servono agli universitari che vogliono studiare davvero senza essere sabotati da chi occupa gli atenei», ha dichiarato.