Il Messaggero, 3 ottobre 2025
Minacce dalla mafia cinese e gli interpreti spariscono Il processo ai boss si blocca
Frasi tradotte senza data né ora, nomi degli interlocutori cancellati. Interi passaggi di telefonate saltati e messi da parte, ritenuti “irrilevanti” dall’interprete. Il mistero che avvolge il processo “China Truck”, prima maxi inchiesta che avrebbe dovuto squarciare il velo sulla presunta mafia cinese radicata a Prato, rischia di nascondere qualcosa di più profondo di una semplice “maledizione”. Perché l’inizio delle indagini risale a 14 anni fa, mentre il processo non riesce ancora oggi ad avere una prima udienza dibattimentale. Eppure gli arresti scattati nel gennaio 2018, una cinquantina le persone in manette, avevano fatto pensare alla svolta. Quella fase aveva portato a individuare il boss dell’indicato filo rosso della malavita cinese in Europa, Naizhong Zhang, che a partire dalle movimentazioni di merce d’abbigliamento di Prato riciclava denaro sporco in ogni rivolo della criminalità, dalla prostituzione alla droga. Le stesse indagini avevano svelato il volto e il nome del suo braccio destro, Zhang Dayong, anche noto come Asheng, sospettato di gestire le bische clandestine a Roma, ma anche giri di usura e prostituzione e della compagna, Xiaoquing Gong: entrambi ammazzati a sangue freddo al Pigneto nell’aprile scorso. A bloccare il processo, ancora una volta, non è la mancanza di indizi, né di imputati ben 55 ma la sparizione misteriosa dei traduttori. L’ultima puntata è andata in scena lunedì 29 settembre. In aula a Firenze si attendeva la perizia sulle migliaia di intercettazioni telefoniche in cinese, la prova regina a sostegno dell’accusa di associazione mafiosa. Un lavoro decisivo, affidato a una perita madrelingua. Ma il pubblico ministero Lorenzo Gestri ha chiesto e ottenuto che quella traduzione fosse dichiarata inutilizzabile. Troppi errori, omissioni arbitrarie. Sarebbe bastato questo a gettare nuove ombre sul processo. Di più: la traduttrice, dopo aver depositato il suo lavoro, è tornata in Cina, annunciando che non rientrerà in Italia prima del febbraio 2026. Risultato: la perizia non sarà pagata e il collegio dei giudici ha dovuto rinviare l’udienza al 17 novembre, nella speranza di trovare un nuovo perito. Non sarà facile: prima di lei un altro interprete si era sfilato, e senza quella traduzione il processo non può cominciare.
È qui che nasce l’assurdo. Come se su “China Truck” gravasse una sorta di maledizione, gli interpreti evaporano. Alcuni declinano l’incarico, altri spariscono, altri consegnano lavori inutilizzabili e svaniscono. Coincidenze? O il segnale di un clima di intimidazione? Si tratta di processo che dovrebbe fare chiarezza sulla criminalità organizzata cinese in Toscana, ancor più importante quando l’ombra di quella mafia orientale torna a bussare alle porte dell’Italia con l’inchiesta sulla “guerra delle grucce”, prosecuzione di quella guerra della logistica che fece analizzare il fenomeno per la prima volta. Invece il procedimento si arena puntualmente sull’assenza di una figura tecnica: il traduttore.
I MISTERI
Il paradosso raggiunge punte grottesche: a 7 anni dagli arresti, non è stato ascoltato neppure un testimone. Nel frattempo, Zhang Naizhong, indicato come il “capo dei capi” della presunta organizzazione, è stato assolto dall’unico reato che gli era stato contestato formalmente, l’usura. Intanto, per gli investigatori, le reti criminali cinesi hanno rialzato la testa. La giustizia, invece, sembra inseguire fantasmi. Il nodo, oltre al mistero degli interpreti, è anche tecnico: la lingua cinese è molteplice, si compone di dialetti complessi, quelli del Fujian e del Wenzhou (terra di provenienza di molti degli indagati, ndr) sono molto particolari. Una giungla linguistica che richiede competenze raffinate, ma che non può giustificare fughe, reticenze e omissioni. In passato le istituzioni avevano puntato il dito anche contro la mancata collaborazione del consolato cinese, accusato di non aver mai fornito un reale sostegno. Resta la fotografia di un processo che, nato come prima bandiera per analizzare e sconfiggere la mafia cinese in Italia, si è trasformato in un emblema di impotenza giudiziaria.