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 2025  ottobre 03 Venerdì calendario

Joe Bastianich: “La mia infanzia di rabbia, povero e figlio di immigrati”

Non il monologo del famoso di turno che si racconta a ruota libera, ma uno spettacolo con scene, costumi e un copione che, certo, attinge alla sua storia, ma prevede dialoghi e snodi narrativi. Joe Bastianich si mette alla prova in teatro con Money – Il bilancio di una vita, scritto con Tobia Rossi e Massimo Navone (che firma anche la regia) e prodotto da Show Bees, al debutto il 24 ottobre al Rossetti di Trieste e poi in tournée fino a dicembre con tappe a Milano, Torino, Bologna. Con lui, in scena, quattro musicisti/attori che interpretano cuochi e camerieri, perché tutto comincia nel retro di un ristorante, dopo la chiusura, ma è solo il prologo di uno show che promette parecchie sorprese. Stare sotto i riflettori non è una novità per Bastianich: è arrivato al successo da scaltro imprenditore della ristorazione, ma la fama la deve al piglio con cui si è affermato in televisione, dalle diverse edizioni di Masterchef all’ultima avventura di Foodish. Non è nuovo nemmeno alle esibizioni live, da chitarrista e cantante con decisa passione per il rock e il folk, ma questa scommessa in palcoscenico ha qualche ambizione in più.
Cominciamo dal titolo. Money, soldi. Perché?
«I soldi sono un tema che riguarda tutti, chi li ha e chi non li ha. Io li ho fatti, ma ne ho anche persi. Sono un problema concreto e sono un simbolo, muovono desideri e paure, condizionano le scelte. Un argomento universale e anche piuttosto scomodo, che va a toccare questioni esistenziali profonde. Volevo provare ad affrontarle ma nel modo giusto. Mi sembra che questo spettacolo lo sia. Attraverso un escamotage drammaturgico e scenografico, che non anticipo, e le dinamiche messe in atto con i miei compagni di scena, prendiamo alcuni episodi della mia vita non per parlare di me, ma di esperienze che chiunque tra il pubblico potrebbe aver avuto».
La sua, di esperienza, comincia come figlio di immigrati istriani a New York, cresciuto nella trattoria di famiglia.
«Trattoria molto umile, eravamo poveri. I miei si ammazzavano di lavoro ma non era mai abbastanza per non farci sentire da meno. La condizione economica da cui sono partito ha determinato molto di quello che sono diventato. Quella rabbia, quella frustrazione che provavo da bambino mi hanno segnato. Sono cose che possono distruggerti o darti lo slancio. In modo leggero, nello spettacolo cerco di parlare di disuguaglianze, di un mondo sempre più diviso tra poveri e ricchi, di responsabilità sociali. E infatti racconto anche dei miei studi di filosofia al Boston College quando ho provato a capire Marx».
Però c’è sempre di mezzo un ristorante.
«Vero, ma per una ragione: teatro e ristorante per molti versi si assomigliano. In entrambi i posti si vende un’esperienza, accogliendo persone che pagano per essere nutrite, in uno con del cibo, nell’altro con delle emozioni. E sono tutte e due imprese ad alto rischio, è sempre molto difficile trasformare in business cose che fermentano nella passione».
Parliamo del Bastianich musicista. Nello spettacolo canta e suona brani composti da lei.
«Si, ho scritto pure un rap, anche se la mia formazione è quella di un ragazzo cresciuto nel Queens negli anni Settanta a pane, Grateful Dead e Led Zeppelin
. La verità è che la musica era l’unica cosa che mi faceva sentire americano, anche se a scuola restavo quello vestito male, con la parmigiana di melanzane per merenda mentre tutti mangiavano panini con burro d’arachidi. La gioia più grande è stata quando con grossi sacrifici mia nonna, la stessa che poi mi ha dato i soldi necessari ad aprire il mio primo ristorante, mi ha regalato una chitarra. Non ho più smesso».
Fa tv, concerti, dischi, libri. Ora il teatro. Tutto il resto non le bastava?
«La penso come una grande opportunità. Il teatro è combustione di emozioni, ridi, ti commuovi, pensi. Certo, è una responsabilità enorme. Stiamo chiedendo alle persone due ore del loro tempo, dobbiamo esserne all’altezza».
Supponiamo molti dei suoi desideri esauditi. Qualcuno ancora da esaudire?
«Vorrei girare un documentario sull’emigrazione istriana. E magari anche un film di fiction. Ho 57 anni, la fortuna e le risorse per potermi dedicare alla mia parte creativa.
Voglio essere il regista degli anni che mi rimangono».