Corriere della Sera, 3 ottobre 2025
Io, un democristiano in tv
La scelta più difficile?
«Lasciare L’Eredità: il programma quotidiano è quello che ti dà grande popolarità, che ti fa entrare tutti i giorni nelle case delle famiglie. Sette anni fa ho fatto una scelta di vita: ho abbandonato l’impegno giornaliero per dedicare la maggior parte del tempo alla mia di famiglia». Carlo Conti quest’anno festeggia i 40 anni di Rai (Discoring era del 1985).
Il momento più alto e quello più basso della sua carriera?
«In realtà la mia è stata una crescita, lenta ma costante, gradino per gradino, una scalata continua che mi ha dato sempre più professionalità e mestiere. La conduzione è un lavoro che si impara con le ore di volo, senza correre, ogni programma è arrivato nel momento giusto, dalla tv dei ragazzi fino a Sanremo».
La svolta?
«Si torna al preserale, In bocca al lupo! nel 1998: è stato il programma che mi ha dato la grande popolarità, lì ho capito cosa voleva dire essere conosciuto da tutti, essere fermato per strada: diventare uno di famiglia è la gratificazione più grande, il vero regalo che ti dà la tv».
Un programma sbagliato?
«Tutti i programmi mi hanno insegnato qualcosa, quelli sbagliati ancor più di quelli giusti».
È per questo che a volte la definiscono «democristiano»? Per la capacità di sviare? Le dà fastidio?
«Non è un’offesa. Sono cristiano perché sono cattolico e sono democratico perché lascio spazio e rispetto tutti. Forse semplicemente intendono dire che sono diplomatico».
Come fa a non perdere mai la calma?
«È un mix di cose: prima di tutto il carattere, poi la carriera – fatta di sacrifici, impegno e passione – ma arrivata con i tempi giusti senza correre né sgomitare e poi l’affetto del pubblico che ti dà sicurezza».
È tornato in onda con «Tale e Quale Show» (in giuria Marcuzzi, Panariello e Malgioglio, in onda ogni venerdì): perché funziona ancora?
«Per la capacità di regalare momenti di leggerezza e svago a un pubblico largo. Lo show del titolo vuole proprio sottolineare la sua natura di varietà e non di talent. È varietà la giuria, è varietà lo spettacolo, è varietà il cast».
«Tale e Quale» da anni è una certezza in un palinsesto (Rai e Mediaset) dove è difficile imporre nuovi format. Come mai?
«I gusti sono sempre più frazionati, ogni sera ciascuno si costruisce il suo palinsesto, ogni curiosità trova il suo canale. Noi siamo alla 15esima edizione, eppure rispetto a tutte le altre prime serate, sia Rai sia Mediaset, siamo il programma più giovane. Questa “mancanza di ricambio” testimonia quanto è difficile imporre nuovi programmi, trovare format che possano occupare la prima serata delle reti ammiraglie, che possano avere una forbice larga per prendere un pubblico trasversale, dal più giovane al meno giovane».
Agli ascolti non pensa mai?
«No, mai. Zero. Non ci ho pensato a Sanremo, figuriamoci se ci penso ora. Non è per snobismo, ma non si possono guardare solo i numeri».
Mancano pochi mesi al Festival, quante canzoni le sono già arrivate?
«Tante. Quest’estate ogni tanto mi mettevo le cuffie e ascoltavo i primi brani. Ma è ancora presto, il grosso arriverà da qui a novembre. Sono sempre convinto che 26 sia il numero giusto di canzoni, ma all’ultimo Festival ho sforato: questa volta devo imparare a essere più severo e “cattivo” per togliere 4 canzoni: la scelta non mi fa dormire!».
Sul palco ospiti fissi o a rotazione? Intanto l’amministratore delegato della Rai ha apertamente invitato Celentano.
«Ora la concentrazione è sulla parte musicale, poi verranno le idee su quella televisiva. Celentano? A chi non piacerebbe averlo sul palco...».
Un sesto Festival?
«Cinque è un bel numero, un ottimo obiettivo, possono bastare».
Magari uno da direttore artistico?
«Nel preparare un Festival l’impegno più grosso è proprio la direzione artistica, la conduzione è la punta dell’iceberg, è niente rispetto a quello che c’è sotto. A quel punto – se sei un conduttore – tanto vale abbinare i due aspetti».
De Martino è il nuovo Baudo?
«Stefano ha tempi, presenza, disciplina e regole che gli vengono dal ballo: ha tutte le caratteristiche per fare bene come sta già dimostrando. Credo che di personaggi come Baudo, Corrado, Mike e Tortora non possano esserci eredi: loro sono i senatori che hanno insegnato a tutti noi».