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 2025  ottobre 02 Giovedì calendario

Nuove visioni per nuovi clienti. Il presidente della Camera nazionale della Moda: «Dopo un primo semestre in flessione, il comparto punta a ritrovare lo slancio ma serve l’impegno di tutti. Gli altri Paesi, Cina e India in primis, spingono anche sulla qualità»

Sette giorni di sfilate, presentazioni ed eventi. In tutto, ben 170 appuntamenti nel calendario ufficiale della Camera nazionale della Moda italiana. E, per completare il quadro, due fiere del settore: Lineapelle, importante vetrina per le aziende che si occupano di conceria, e Filo, che guarda, invece, alla filiera tessile. Milano, sempre più di vocazione internazionale, diventa ancora una volta il crocevia di chi disegna, ammira, compra, vende, predice e, soprattutto, fattura moda. Una settimana piena che non si concluderà alla fine di settembre, ma che avrà sicuramente ripercussioni nel futuro. E non solo perché si tratta della presentazione delle collezioni per la prossima primavera/estate, ma perché proprio il capoluogo lombardo è stato il teatro per cambiamenti al vertice (e non solo) di tre direzioni creative.
LA SUCCESSIONE
La città ha dato il definitivo saluto a uno dei suoi figli (adottivi) più celebri, Giorgio Armani, scomparso lo scorso 4 settembre a 91 anni. Ormai lontani i funerali in forma strettamente privata, lo stilista, ma anche fondatore e imprenditore, di un gruppo che ha contribuito in maniera indelebile a costruire e rafforzare l’identità di Milano, tra le sue ultime volontà ha disposto un chiaro piano di successione, favorendo la vendita del gruppo da 2,3 miliardi di ricavi nel 2024 a un gigante del settore fashion & luxury o una futura quotazione in borsa, indicando Lvmh, EssilorLuxottica, L’Oréal o un altro player del settore di pari livello. Così, entro 18 mesi la Fondazione Giorgio Armani dovrà vendere una quota del 15% a uno degli acquirenti preferiti o a un’alternativa concordata di comune accordo. Un ulteriore 30% potrebbe essere venduto tra il terzo e il quinto anno, dando potenzialmente all’acquirente una quota di maggioranza del 54,9%. Nell’attesa, il suo addio ha chiuso la fashion week con la sfilata e con una mostra per i 50 anni della casa di moda presso la Pinacoteca di Brera, che lo stesso signor Armani aveva ideato e curato meticolosamente.
Nel frattempo, sotto i riflettori ci sono stati due debutti: Demna da Gucci, nella speranza che risollevi le sorti della griffe e, conseguentemente, anche del gruppo Kering che la detiene, e Dario Vitale da Versace, che ha davanti a sé una sfida simile. Ovvero tornare a far crescere le vendite della Medusa: nell’ultimo esercizio, infatti, i ricavi del brand sono calati da 1,03 miliardi a 821 milioni di dollari, proseguendo un trend in discesa.
LA LEVA
Ma se i direttori creativi accendono spesso le fantasie e anche le tifoserie, sono in altri piani che si srotolano i conti e si decide proprio chi prenderà il posto di chi. E questi cambiamenti sono il sentore di un settore che vuole uscire dalla crisi e che non ha ben chiaro come farlo, se non con un reset che, portando nuove visioni, si speri porti anche nuovi clienti, ormai satolli di proposte e di una qualità spesso sbandierata, sicuramente pagata dal consumatore, ma non sempre realmente certificata, come hanno dimostrato recenti fatti di cronaca. Così, oltre agli stilisti, si alternano anche i ceo: per rafforzare l’augurata ripresa di Gucci, Francesca Bellettini, ex ad di Saint Laurent ed ex deputy ceo di Kering, è passata al timone della doppia G. Un’operazione voluta da Luca de Meo, recentemente divenuto ad di Kering con lo scopo di risanare le finanze del conglomerato del lusso.
In questa situazione non facile, tra una serie di congiunture mondiali che non inneggiano esattamente all’ottimismo commerciale, Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda ha affermato: «Dopo un primo semestre in flessione del 4,5% e un outlook 2025 che dovrebbe chiudersi a -3,6%, il comparto punta a ritrovare slancio e a raggiungere ricavi stimati per 92,4 miliardi di euro. Ma la moda in questi momenti ha bisogno dell’energia di tutti, perché gli altri Paesi stanno spingendo tanto». E si riferisce soprattutto a Cina e India, «che non soltanto stanno invadendo con il super fast fashion, ma che stanno pure investendo sui prodotti di qualità che fino a ieri ci vedevano protagonisti assoluti». Preoccupazioni confermate da Matteo Zoppas, presidente dell’agenzia Ice: «Il nostro settore rappresenta il 5.5 del Pil, ma i 100 miliardi di fatturato sono diventati 92, con un 4 per cento perso nel 2025, oltre 5,4% del 2024. Questo significa che diminuisce l’export e aumenta l’import dall’aria asiatica». «Milano si conferma un punto di riferimento globale per la moda e l’attrattività, capace di catalizzare talenti, visitatori e investimenti da ogni parte del mondo», ha commentato Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano. L’indotto annuo complessivo del comparto moda per la città raggiungerà i 423,6 milioni di euro, in aumento del 7% sul 2024, sostenuto da un numero complessivo di visitatori in crescita del 6,9%. Sempre i dati di Confcommercio prevedono oltre 793.500 arrivi a Milano in questo mese.
Ma guardando ben oltre i confini lombardi, i buyer internazionali confermano sostanzialmente i propri budget: «I brand italiani sono quelli che mostrano la via. Qui c’è vetrina per nomi noti e premianti, ma anche attenzione al nuovo», afferma Jodi Kahn, brand partnerships & buying, women’s designer rtw di Saks fifth avenue e Neiman Marcus. «Sono molto curiosa e spero di vedere un mix di innovazione e omaggio alla tradizione», conferma Tiffany Hsu, chief buying & group fashion venture officer di Mytheresa. L’interesse, insomma, c’è, ma bisogna fare i conti (in tutti i sensi) col mantenerlo vivo.