Il Messaggero, 2 ottobre 2025
La rivoluzione forzata: il lusso sta cercando 300 milioni di clienti
Non era mai successo che debuttassero tutti insieme alla Milano Fashion Week 15 nuovi creativi. È il segno evidente dei tempi. Il segnale forte che arriva da un settore nel pieno di quella che gli esperti delle passerelle chiamano “la rivoluzione forzata": «I marchi devono inventarsi modalità nuove per essere rilevanti», è la sintesi di Luca Solca, profondo conoscitore del settore del gruppo Bernstein. Stretti come sono tra crisi dei consumi di lusso e il dilemma della successione che in alcuni casi impone un riassetto di gruppo. L’ultimo rapporto elaborato da Bain&Company con Altagamma parla del primo grande rallentamento in 15 anni (escluso il periodo Covid) per un mercato globale che vale quasi 1.500 miliardi. Quanto basta per spiegare il grande valzer nelle poltrone da ceo, a partire da Kering, con tanto di rimescolamento interno tra Saint Laurent, Balenciaga, Gucci, e Brioni. In Lvmh, è cambiato tutto tra la divisione America della holding, e poi Vuitton, Loro Piana, Fendi e Kenzo, con svolte anche nella divisione brand&strategy e media. E ancora partenze e debutti in Valentino, Christian Lacroix e Jil Sander.
Certo, l’alto di gamma resiste meglio, anche se il 30% dei clienti nel mondo ha rinunciato a un acquisto a causa del costo troppo elevato (come rileva EY): l’aumento dei prezzi in una Birkin di Hermès come per una Ferrari non cambia la crescita delle vendite. Ma la sfida dei consumi cinesi, di una classe media che potrebbe ora finalmente rianimarsi, insieme alla tenuta all’onda lunga dei dazi (a colpi di diversificazione) che condiziona la crescita mondiale, resta la sfida delle sfide per un settore ancora in fase di digestione dopo la sbornia post-Covid “you only live once”. Finita l’abboffata del “si vive una volta sola” post pandemia, spiega Solca, il 2026 sembra promettere una ripresa dei consumi anche da parte della classe media cinese, un po’ stordita dagli affanni dell’immobiliare tra Pechino e Shanghai. Ma anche l’aumento dell’indice di Borsa cinese avrà il suo ruolo.
Da luglio ha guadagnato oltre il 14%, più ricchezza in mano alle famiglie cinesi che potrebbero con più fiducia allentare la spinta ai risparmi. E ancora, anche il nuovo Piano quinquennale di Pechino atteso a ottobre fa immaginare ulteriori novità per stimolare i consumi interni.
NON SOLO LOGO
Il lusso del futuro, visto da Bain, deve puntare alla capacità di innovarsi, di prevedere la domanda, di equilibrare lo stock, di offrire esperienze memorabili, e relazioni vere con i consumatori. Poiché, come recita il report: «È tempo di riscoprire chi siamo, dove vogliamo andare e perché dovrebbero seguirci». Il nodo è anche la trasformazione generazionale. I giovani chiedono autenticità, inclusività, creatività. Non basta più un logo: vogliono raccontarsi attraverso il lusso. «Dare una risposta forte e credibile sarà il passo decisivo per non limitarsi a sopravvivere, ma guidare il cambiamento», concludono da Bain. Al contrario, molti brand faticano a rispondere a certe esigenze.
TECNOLOGIA E INNOVAZIONE
La trasformazione digitale assume in questo contesto un ruolo decisivo: i brand stanno investendo in tecnologie per la realtà aumentata e la realtà virtuale per consentire di provare abiti virtualmente. Stanno sviluppando prodotti ed esperienze esclusive accessibili solo online e integrando la tecnologia blockchain per l’autenticazione e la tracciabilità. La digitalizzazione non riguarda solo l’ampliamento del mercato, ma anche lo sfruttamento della tecnologia, a partire dall’IA, per offrire esperienze di acquisto personalizzate e uniche. Anche il riciclo dei tessuti in nuovi tessuti offrirà una leva decisiva a sentire gli esperti di Algebris: «Marchi consolidati hanno già iniziato ad approvvigionarsi da nuovi riciclatori, mentre decine di stabilimenti sono pronti ad aumentare la capacità globale».
OLTRE AI CINESI “BEST SPENDER"
L’obiettivo sono i 300 milioni di nuovi consumatori potenziali di cui andare a caccia, dice Bain. Metà dei quali nella Gen Z e Alpha, tra aumento dei redditi, il trasferimento intergenerazionale della ricchezza e un incremento del 20% degli individui ad alto patrimonio. Ma non si potrà più contare solo sui “grandi spender”, troppo pochi: sarà essenziale costruire relazioni emotive profonde e durature per agganciare la classe media. Nuovi clienti che nei prossimi dieci anni emergeranno in regioni come India, Messico, Sud-est asiatico e Africa, precisano gli esperti di Kraneshares. Solo in Cina, saranno circa 150 milioni i nuovi acquirenti cosiddetti “aspirational” (aspirazionali) in arrivo nei prossimi dieci anni. «La crescita poggerà su tre pilastri: diversificazione geografica (Stati Uniti, Corea, Medio Oriente), espansione verso segmenti di fascia alta meno sensibili ai cicli economici e sviluppo creativo mirato», insiste Antoine Fraysse Soulier di eToro. Il nodo del prezzo è poi cruciale anche tra i cosiddetti ricchi (HNWI). Si dice che Chanel sia più debole nel settore delle borse, perché 10.000 euro sono troppi per un consumatore della classe media e troppo pochi e troppo comuni per un HNWI. Dior, al contrario, con le sue borse in coccodrillo, può raggiungere più facilmente prezzi elevati.
RIASSETTI E SUCCESSIONI
Una sfida da giocare sull’acceleratore per un settore in molti casi al passaggio del testimone. «Molti gruppi, soprattutto in Francia e Italia, sono ancora a conduzione familiare. E il passaggio generazionale non è solo una questione di successione, ma di trasferimento di visione, valori e leadership», fa notare Chiara Robba di Generali Asset Management. Il Gruppo Lvmh, per esempio, ha avviato un processo graduale di successione con l’ingresso dei figli di Bernard Arnault in ruoli chiave.
In Italia il destino di Armani aperto dopo la scomparsa del fondatore, è solo uno dei capitoli sul tavolo. La famiglia Ferragamo è stata appena costretta a una precisazione dopo che il mercato insisteva sugli scenari di cessione. La famiglia non è interessata «ad alcun operazione straordinaria». È alla sua quarta generazione con circa 50 nipoti legati a vario titolo all’azienda e con una patto solido. Il gruppo ha sempre scelto l’indipendenza. Nessun cedimento alle possibili avances di Lvmh, Kering e Richemont alla costante ricerca di nuove acquisizioni. Anche se per la verità, Kering ha già acquistato tanto (al massimo potrebbe cedere qualcosa, come Brioni o Alexander McQueen) e Lvmh ha le sue sfide da gestire, dice Solca.
«Quando il mercato è debole, aspetta», dice l’esperto per dare il senso del “wait and see”. È il momento di guardare. Ma tenere alta l’attenzione è d’obbligo. Molte delle griffe storiche del Paese sono già finite in mani straniere: Gucci e Bottega Veneta a Kering, Fendi e Bulgari a Lvmh, Valentino a Mayhoola. E sotto i riflettori c’è senz’altro il futuro di Armani, con la rotta già scritta da “Re Giorgio”, anche se con numeri comunque modesti rispetto ai colossi francesi. Quella con Lvmh sarebbe una combinazione con un limitato impatto visto che pesa per meno del 3% dei ricavi di Lvmh. La casa italiana, d’altra parte, rappresenterebbe circa il 5% dei ricavi in caso di combinazione con L’Oreal (interessata solo al beauty) e meno del 2% di ebit in un’unione con Essilux. Quanto a Kering, fresca di partnership sulle collezioni occhiali di Valentino, l’impatto sull’ebit di gruppo, secondo le stime, sarebbe intorno all’1%. Prada, da parte sua, ha avviato un avvicendamento progressivo, pur mantenendo la forte presenza della famiglia. E si prepara a chiudere l’acquisizione di Versace. Brunello Cucinelli, numeri in ordine e la sua resilienza, ha già chiarito il caos in Russia ma resta sotto il faro. La scommessa è aperta. E l’Europa ha maggiore potenziale, vista dagli investitori, dice Deloitte.