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 2025  ottobre 02 Giovedì calendario

Ritter Sport, dalla donna che inventò il cioccolato quadrato a un fatturato da 600 milioni

Waldenbuch, 1932. Su un campo da calcio  alcuni ragazzi corrono dietro al pallone, con le giacche lasciate a bordo campo. A osservarli c’è Clara Göttle, che vent’anni prima, insieme al marito Alfred Eugen Ritter, ha fondato una piccola fabbrica di cioccolato: un’impresa matrimoniale, fatta di passione e pragmatismo. A fine partita, i giovani infilano le mani nelle tasche: le tavolette di cioccolato che vi avevano riposto si sono inevitabilmente spezzate. Clara ha un’intuizione: una tavoletta con lo stesso peso di quelle tradizionali, ma quadrata, più compatta e resistente, capace di entrare in qualsiasi tasca senza rompersi. Il marito Alfred, maestro cioccolatiere, traduce quell’idea in realtà. Nasce così «Ritter Sport»: un quadrato di cioccolato destinato a diventare un’icona.
L’esclusiva del «quadrato»
Dopo la parentesi della guerra, che chiude la fabbrica, tocca al figlio, Alfred Otto Ritter, prendere l’idea iniziale e trasformarla in un marchio, in un’ossessione e in una battaglia legale. Per difendere la sua esclusività, la famiglia Ritter arriverà fino al Bundesgerichtshof, la Corte Suprema federale, ottenendo il divieto per gli altri marchi tedeschi di copiare quella forma. Non è solo cioccolato: è identità, design applicato all’alimentare, la consapevolezza che il packaging può contare quanto la ricetta.
Gli anni Settanta
Negli anni Settanta, poi, arrivano il celebre Knick-Pack, la confezione che si apre con un gesto secco al centro, e lo slogan che ha fatto scuola: Quadratisch. Praktisch. Gut. (quadrato, pratico, buono). A rendere ancora più riconoscibile la tavoletta, i colori: ogni gusto con la sua tinta. Negli anni del boom economico tedesco, Ritter Sport non diventa colosso da multinazionale: resta media impresa di provincia, radicata nel suo territorio, ma capace di osare. Sono gli anni della svolta più audace: investimenti in sostenibilità e produzioni bio, molto prima che la parola entrasse nel vocabolario del marketing globale. 
La quarta generazione
Oggi, quasi un secolo dopo, è entrata in scena la quarta generazione, rappresentata dai cugini Moritz Ritter e Tim Hoppe. Un passaggio tutt’altro che raro in Germania, ricordano i pronipoti di Clara: nel Paese non mancano aziende familiari capaci di arrivare saldamente fino alla sesta o perfino alla decima generazione. La fabbrica e il quartier generale si trovano ancora a Waldenbuch, immersi nel verde dei boschi e a una ventina di chilometri da Stoccarda, città che ospita il secondo Oktoberfest più popolare della Germania. Con circa 1.900 dipendenti e due stabilimenti produttivi – a Waldenbuch e a Breitenbrunn, in Austria – Ritter Sport ha raggiunto nel 2024 un fatturato di 605 milioni di euro (+7,8%) ed è il terzo brand di tavolette di cioccolato a livello europeo, dopo Mondelez-Milka e Lindt.
La lavorazione
Ora il marchio cavalca le nuove tendenze, dalle cioccolate «mini» alle edizioni limitate, e le linee automatizzate producono circa 2,5 milioni di tavolette al giorno, tra vibrazioni che eliminano le bolle d’aria e tunnel di raffreddamento lunghi centinaia di metri. La lavorazione parte da otto varietà di cacao, provenienti dall’Africa occidentale e dall’America Latina. Tra queste spicca la Costa d’Avorio, principale fornitore, insieme a una piantagione di proprietà in Nicaragua, che da anni rappresenta per Ritter Sport un laboratorio di sperimentazione e sostenibilità e che da sola fornisce il 20% del fabbisogno aziendale. Una volta giunte a Waldenbuch, le fave vengono macinate, concate e temperate fino a ottenere una consistenza liscia e brillante. Il cioccolato fuso viene poi colato negli stampi e raffreddato, pronto a restituire quel suono secco e inconfondibile che accompagna ogni quadratino spezzato. Eppure, nonostante la tecnologia e i controlli digitali, l’ultima parola spetta ancora al palato umano: sono gli assaggiatori a decretare se la massa di cacao è davvero pronta a diventare cioccolato.
L’Italia
La Germania è il principale mercato delle tavolette quadrate, ma Ritter Sport esporta in oltre 90 Paesi. «Avendo consolidato il mercato interno», spiegano Moritz Ritter e Tim Hoppe, «si punta sugli Usa, che per la cioccolata sono il primo mercato al mondo. I dazi, certo, complicano le cose, ma la sfida è aperta». L’obiettivo è entrare nella top 5 del cioccolato statunitense entro 6-7 anni. Intanto, dopo, la Russia (l’export non si è fermato con la guerra e le sanzioni), quello italiano, dove spopola il fondente, è il secondo mercato straniero e vale 45 milioni di euro di ricavi. La famiglia lo ripete spesso: l’Italia è un mercato affettivo oltre che strategico, dove le nocciole, ingrediente iconico di Ritter Sport, hanno una risonanza culturale ed emotiva che altrove non esiste. Qui, la marca si è radicata presto, diventando negli ultimi anni un laboratorio di innovazione e un terreno su cui misurare la forza del brand fuori dai confini tedeschi.
La tracciabilità della filiera
Ma dietro una forma quadrata c’è molto di più. Oggi Ritter Sport rivendica con orgoglio un risultato: dal 2022 tutto il cacao utilizzato è tracciabile al 100% fin dalle cooperative di origine. Nicaragua, Perù, Ghana, Nigeria: la «cintura del cacao» attorno all’equatore è diventato la mappa delle partnership di lungo periodo. La logica è semplice e radicale: «Catene di fornitura più corte, più trasparenti, meno intermediari. Solo così è possibile incidere davvero sulle condizioni economiche e sociali dei coltivatori, garantire prezzi equi, combattere il lavoro minorile, monitorare le pratiche agricole», spiega Thomas Straub, ad di Ritter Sport in Italia. Così, l’azienda ha scelto di affiancare alle certificazioni esterne – Rainforest Alliance e Fairtrade – programmi di sostenibilità propri, capaci di integrare controllo e formazione, sui quali investe almeno il 10% del fatturato, impegnandosi a ridurre del 42% le sue emissioni al 2030, alimentando già l’intera sua produzione con solo energie rinnovabili.
Logistica ed energia
A meno di 7 chilometri dalla fabbrica, a Dettenhausen, sorge il nuovo magazzino sostenibile. Dal tetto ricoperto di pannelli solari parte un sistema che alimenta non solo lo stabilimento, ma anche la flotta di camion elettrici. Ritter Sport è stata la prima azienda in Germania a testare camion a batteria per il trasporto industriale: 5 anni fa nessun tir superava i 200 chilometri di autonomia, oggi i modelli arrivano a 500, abbastanza per coprire gran parte della distribuzione locale. Mentre i pallet costano fino a tre volte più di prima della guerra in Ucraina e le catene logistiche globali faticano a stabilizzarsi, la scommessa è chiara: ridurre al minimo emissioni e rumore, puntare sull’energia verde, mantenere indipendenza. Già nel 2019 la produzione era carbon neutral; dal 2020 lo è l’intera azienda. 
Le sfide
La sfida, tuttavia, resta enorme. Il prezzo del cacao negli ultimi anni si è moltiplicato fino a cinque volte a causa di raccolti disastrosi in Africa occidentale. Il cambiamento climatico non è più un’ipotesi, ma una realtà quotidiana: stagioni secche sempre più lunghe, piogge torrenziali concentrate, uragani in Nicaragua dove non ce n’erano mai stati. Ritter Sport risponde investendo in irrigazione, diversificazione delle origini, resilienza delle filiere. Lo stesso vale per le nocciole, altro pilastro del marchio, che arrivano dalla Turchia e sono minacciate da insetti invasivi come la cimice asiatica. Per questo l’azienda sta sviluppando progetti in Francia e in Cile, replicando il modello delle relazioni di lungo periodo già sperimentato con successo per il cacao e puntando a trasformare le crisi in un’occasione di crescita per garantire un futuro al cioccolato.