Corriere della Sera, 2 ottobre 2025
Se ci affezioniamo alla macchina
Non tutti, ma molti sanno chi è Sam Harris Altman. Informatico e imprenditore, ha fondato nel 2015 a soli 30 anni Open AI insieme a due mostri sacri come Elon Musk e Peter Thiel, e ne è diventato amministratore delegato. Open AI ha contribuito in maniera notevole allo sviluppo della cosiddetta intelligenza artificiale generativa con i suoi GPT; ChatGPT è forse il prodotto più noto nell’ambito della IA generativa e da poco questo prodotto ha raggiunto la versione 5. Questo rilascio ha provocato un tweet di Altman dedicato ad alcune conseguenze anomale legate all’uso sistematico di ChatGPT, che impongono una seria riflessione. Proprio il fatto che l’IA generativa e ChatGPT in particolare operano in maniera semplice, veloce e in linguaggio naturale ha reso il loro uso particolarmente pervasivo. L’uso normale, se vogliamo chiamarlo così, di ChatGPT riguarda il supporto nel mondo del lavoro. Per noi, che facciamo i professori, è comune vedere gli studenti che ricorrono proprio a ChatGPT per rispondere alle domande, per scrivere paper, e più in generale per risolvere problemi ignorando, spesso i limiti dello strumento e la non accuratezza delle risposte. Già questo uso normale porterà, con ogni probabilità, sconvolgimenti non banali nel nostro modo di vivere, con difficoltà legate alla disoccupazione indotta dalle macchine specie tra i colletti bianchi. Ma le perplessità che ha espresso Altman nel tweet riguardano aspetti meno evidenti e più sottili connessi all’impatto di ChatGPT. La nuova versione, che ha sostituito l’attuale ChatGPT 4, ha mostrato la capacità di generare nell’utente forme di attaccamento alla macchina che erano del tutto sconosciute: molti utenti della versione 4 stanno reagendo male per la sostituzione del programma e ignorando le nuove e maggiori prestazioni della versione 5, mostrano segni di sofferenza come se avessero perso un amico o un confidente.
Altman sostiene che questo tipo di attaccamento a un prodotto non era mai stato notato in passato per altri software. Cosa su cui finora non si è prestata molta attenzione. Il problema non riguarda semplicemente l’uso improprio e potenzialmente distruttivo di una macchina, che può mettersi in relazione con personalità disturbate. Si tratta, invece, di uso standard – dice sempre Altman – da parte di persone psicologicamente equilibrate che, tuttavia, si relazionavano a ChatGPT 4 come una sorta di psicologo e in ogni caso alla stregua di consigliere nella loro vita di ogni giorno. In questo, non c’è niente di male, e può essere che sia all’origine di una strategia per agire in maniera più ponderata. Il problema è che, in questo modo, un utensile si rivela qualcosa di diverso e genera un’affezione e un attaccamento che di solito noi nutriamo per altri essere umani. Oppure per i nostri animali domestici. Chiunque abbia visto morire un cane o un gatto di casa, con cui magari parlava dei suoi dilemmi intimi, lo sa bene. Ma provare gli stessi sentimenti con una macchina? Cosa ci deve far pensare il fatto che questa macchina potrebbe essere programmata in futuro per massimizzare economicamente proprio questo effetto?
Per Altman, probabilmente la questione più evidente consiste nel perfezionare i futuri programmi in modo che il loro uso sia più «sano» possibile. Per noi, il suo tweet impone una riflessione sulla nostra psicologia e sul fatto che la nostra mente ha bisogno di un supporto come quello che può essere offerto da un programma tipo ChatGPT 4. Già, verso la metà del secolo scorso, lo psicoanalista inglese John Bowlby sviluppò una teoria dell’attaccamento, considerato come un fattore abituale di accompagnamento alla crescita. L’attaccamento di cui parla Bowlby riguarda però le emozioni e in primo luogo il rapporto del bambino coi genitori, in particolare la mamma. Bowlby ha peraltro definito l’attaccamento in questione come «parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba». Questo sistema motivazionale primario in effetti non si limita al periodo infantile, ma permea l’intera esistenza umana, influenzando la formazione dell’identità, la capacità di regolazione emotiva e la costruzione di relazioni interpersonali significative.
La ricerca neurobiologica contemporanea ha confermato le intuizioni di Bowlby. Questa prospettiva trova riscontro nell’evoluzione umana stessa. Il lungo periodo di dipendenza dei piccoli umani – caratteristica unica tra i mammiferi – ha favorito lo sviluppo di legami sociali forti e stabili. Il significato antropologico più profondo dell’attaccamento risiede nel suo ruolo di ponte tra biologia e cultura. L’attaccamento rappresenta il prerequisito fondamentale per la nascita dei fenomeni culturali, in quanto sviluppa la motivazione a cooperare che è essenziale per la vita sociale umana. Di fatto i processi di attaccamento permeano la cultura vincolandone le caratteristiche, definendone i confini e modellandone le forme con cui i fenomeni culturali si palesano nei diversi contesti locali. Ma il giorno in cui tutto questo, la nostra fiducia e le nostre emozioni più intime, saranno frutto dell’uso di una macchina qualche preoccupazione in materia appare naturale. Almeno così crediamo noi, confortati anche dai dati rilevati da Sam Altman e OpenAI.