lastampa.it, 1 ottobre 2025
Confcommercio: i contratti-pirata “rubano” 1,3 miliardi di stipendi e 500 milioni di tasse
Nel commercio e nei servizi i contratti-pirata, il cosiddetto dumping contrattuale, «costano» ben 1,3 miliardi di euro ai lavoratori in termini di minori stipendi percepiti ed al tempo stesso privano lo Stato di oltre mezzo miliardo di euro di entrate, tra tasse e contributi. Secondo Confcommercio – che ha realizzato uno studio sulle distorsioni prodotte dai contratti meno tutelanti ed ora si prepara a dar battaglia assieme Cgil, Cisl e Uil e Confindustria – nei soli settori terziario e turismo i cosiddetti «contratti pirata» firmati da sigle minori, sono oltre 200 e riguardano circa 160mila dipendenti ed oltre 21mila aziende (3,5% del totale). In Italia presso il Cnel sono depositati oltre 1.000 contratti collettivi nazionali di lavoro, ma solo una parte è sottoscritta da organizzazioni realmente rappresentative. Nei soli settori terziario e turismo se ne contano più di 250, ma la maggioranza dei lavoratori è coperta da pochi contratti collettivi nazionali, tra cui il Ccnl Terziario, Distribuzione e Servizi firmato da Confcommercio, il più applicato in Italia con circa 2,5 milioni di addetti. Sul fronte opposto, segnala la ricerca di Confcommercio, quelli più rilevanti per numero di addetti includono i contratti Anpit (catalogati dal Cnel con le sigle H024 e H05K) con, rispettivamente, 56.743 e 35.870 dipendenti, il contratto Cnai (H019) con 15.174 dipendenti.
Il fenomeno del dumping contrattuale, in costante crescita soprattutto tra le micro-imprese e le cooperative, e particolarmente diffuso nel terziario (alcuni settori dei servizi, in particolare) e nel turismo, settori strategici per l’economia e per l’occupazione in Italia, crea «anche squilibri territoriali perché si concentra nelle aree economicamente più fragili, soprattutto nel Mezzogiorno» rileva Confcommercio.
Minori tutele per chi lavora
I contratti-pirata, segnala l’associazione guidata da Carlo Sangalli, «riducono significativamente diritti e tutele dei lavoratori, creano dumping salariale e normativo, incentivano concorrenza sleale (le imprese corrette sono penalizzate perché devono competere con chi risparmia sul costo del lavoro). In altre parole, riducono la qualità dell’occupazione basandola, sostanzialmente, sul taglio delle condizioni di lavoro». A titolo di esempio, i lavoratori a cui vengono applicati questi contratti si trovano con salari ridotti (fino a quasi 8.000 euro di retribuzione annua lorda in meno rispetto al Cccl Confcommercio); integrazioni per malattia o infortunio ridotte (al 20-25% contro il 100% del contratto Confcommercio); meno ferie, permessi e scatti di anzianità; indennità ridotte o assenti; orari lunghi senza compensazioni; flessibilità accentuata senza garanzie; carenza o totale assenza di molte forme e strumenti di welfare, come la sanità integrativa e la previdenza complementare.
Gli effetti macroeconomici del dumping
«A livello generale, il fenomeno del dumping contrattuale mina la produttività, indebolisce il tessuto imprenditoriale e frena la crescita del Paese» sostiene in sintesi Confcommercio. In base ai dati elaborati dal direttore dell’Ufficio studi Mariano Bella, rispetto ai 24.613 euro di retribuzione annua lorda assicurata dal Ccnl Confcommercio la media dei contratti meno tutelanti sottrae infatti ai lavoratori all’incirca 7.921 euro lordi all’anno. Ma in alcuni casi, i più sfortunati, possono arrivare a perderne anche 12.200. Pesanti anche gli effetti macroecomici che Confcommercio, partendo dalla stima in circa 1 miliardo e 300 milioni di euro di minore monte retributivo (pari allo 0,1% del Pil ed allo 0,2% del totale monte retribuzioni), stima in circa 553 milioni i minori incassi per lo Stato. In dettaglio, infatti, per effetto del differenziale medio tra il contratto Confcommercio ed i contratti pirata vengono a mancare 339 milioni di euro di contributi (245 versati dalle aziende e 94 milioni dai dipendenti) e circa 214 milioni di euro di Irpef.
Colpito il Sud, ma non solo
Su quali territori è più alta l’incidenza dei contratti meno tutelanti? Secondo l’analisi di Confcommercio in ben 37 province si supera una incidenza del 4%, soglia non fissata a caso visto che la media nazionale è pari al 3,5% degli occupati: 31 di queste province sono collocate al Sud e 6 al centro, compresa Roma dove la quota di contratti pirata tocca il 7%. Il livello più alto si registra a Vibo Valentia (26,5%), con Napoli all’8,1% e Palermo al 12,8%. In altre 35 province (6 del Sud) l’incidenza di contratti meno tutelanti interessa una quota compresa tra l’1 ed il 4% (con Milano al 2,2%). Solamente 35 altre province invece si collocano sotto la soglia dell’1%: 32 sono al Nord e 3 al Centro, nessuna invece appartiene al Sud.
Le richieste di Confcommercio
«Come Confcommercio, teniamo al benessere e alla qualità del lavoro e della vita dei lavoratori delle nostre imprese, perché questi sono il nostro vero patrimonio di competenze e professionalità e una risorsa fondamentale per innovazione e produttività nel terziario di mercato. Per questo siamo costantemente impegnati a garantire regole eque, tutele solide e prospettive di crescita per chi ogni giorno contribuisce allo sviluppo dei nostri settori: da sempre, infatti, sottoscriviamo contratti innovativi e moderni che anticipano le esigenze dei lavoratori coniugandole con quelle delle imprese. Oggi, però, guardiamo con forte preoccupazione al cosiddetto dumping contrattuale, un fenomeno che sta assumendo proporzioni sempre maggiori, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, che mina le regole della concorrenza, svaluta il lavoro e crea disparità tra imprese e tra lavoratori» commenta il presidente di Confcommercio. Per questo, a suo parere, oggi «c’è bisogno di rafforzare la collaborazione con i sindacati, ma soprattutto di una maggiore attenzione da parte del governo a cui chiediamo un impegno concreto per impedire l’applicazione di contratti sottocosto. Come Confcommercio, facciamo alcune proposte tra cui, in particolare: comunicazioni obbligatorie a tutte le sedi istituzionali del contratto applicato, certificazione della rappresentatività, potenziamento degli strumenti di vigilanza e monitoraggio, rafforzamento della bilateralità come strumento di certificazione della qualità contrattuale. Solo così – conclude Sangalli – si può garantire tutela del lavoro e competitività del sistema».