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 2025  ottobre 01 Mercoledì calendario

“L’età dell’oro” e i tre motivi per cui arriverà a 4mila dollari l’oncia

Dopo solo nove mesi dall’insediamento di Trump, è quanto mai vera la sua affermazione che “the golden age of America begins right now”.
Il presidente non si riferiva all’oro, ma è un fatto che il metallo prezioso da inizio anno quando quotava sotto i 3mila dollari l’oncia ad oggi abbia spiccato il volo.
A certificarlo sono le quotazioni salite di quasi il 50%, mentre a fornire le previsioni sono le principali banche d’affari Usa (Jp Morgan, Bank of America e Goldman Sachs) nei cui report – chi prima e chi dopo – prevedono che entro il 2026 il prezzo sfonderà il tetto dei 4mila dollari.
In questi giorni sono stati toccati i nuovi massimi sopra i 3.800 dollari l’oncia, per via delle incertezze che accompagnano la politica economica Usa. L’ultimo sussulto è arrivato con il mancato accordo tra il presidente e i leader del Congresso sul rifinanziamento del debito che, qualora dovesse accadere, bloccherebbe (shutdown) tutte le attività amministrative.
Ma sono tre i motivi che stanno spingendo l’oro.
1) Il taglio dei tassi. Dopo il rally di inizio anno, a mettere nuova benzina nelle quotazioni è stato il ritorno della Fed al taglio dei tassi. Nella riunione di settembre, il board ha deciso di sforbiciare il costo del denaro di 0,25 punti base, dimostrando di temere più il rallentamento del mercato del lavoro che l’inflazione nonostante questa fosse salita al 2,9% nel rilevamento di agosto, ben al di sopra dell’obiettivo della Fed del 2%.
“Il dot plot”. Ora lo scenario che emerge dal “dot plot”, la rappresentazione grafica che mostra le previsioni individuali dei membri del Federal open market committee (Fomc) il comitato di politica monetaria della Federal Reserve, è di altri tagli da 50 punti base nel 2025 e altrettanti nel 2026.
La storia insegna. Per capire cosa potrebbe accadere all’oro, gli analisti hanno guardato al passato. Il metallo prezioso ha registrato un aumento ogni volta che la Fed ha tagliato i tassi, quando contestualmente l’indice dei prezzi al consumo Usa era superiore al 2%. E oggi siamo nella stessa situazione.
Bank of America ha calcolato che dal 2001 ad oggi l’oro ha registrato un rialzo medio annuo del 13% in un contesto in cui la banca centrale Usa ha ridotto il costo del denaro e in cui l’inflazione è rimasta elevata.
Jp Morgan, invece, ha allargato i calcoli agli ultimi 35 anni. In questo lasso di tempo, l’indice BCOM Precious Metals ER, che include l’oro e i metalli preziosi, ha registrato rendimenti positivi nei nove mesi successivi a tutti tranne uno (1998) degli ultimi sette tagli iniziali della Fed, con incrementi medi del 7%.
La stagflazione. Uno scenario, secondo tutti gli analisti, da stagflazione, in cui si verificano contemporaneamente alta inflazione, crescita economica lenta o stagnante e, spesso, un aumento della disoccupazione, che ha attirato l’attenzione degli operatori del mercato dei metalli preziosi, perché in genere è rialzista per l’oro.
2) Il calo del fascino dei Treasury. Il secondo motivo che spinge il metallo prezioso è la perdita di fiducia verso asset tradizionalmente considerati porti sicuri come i Treasury Usa e il dollaro.
L’esplosione del debito americano e l’incertezza legata alla valuta per la guerra commerciale scatenata da Trump ha di fatto spinto i grandi investitori, come le banche centrali, verso riserve più stabili.
Gli acquisti delle banche centrali. Bank of America ha calcolato che le banche centrali possiedono oggi in controvalore più oro che titoli di Stato statunitensi e continueranno ad aumentare la loro esposizione anche per motivi geopolitici, seppur con ritmi inferiori rispetto agli ultimi due anni, proprio a causa dei prezzi.
Quanto comprano. Nel secondo trimestre del 2025, nei forzieri degli istituti nazionali sono finite 166,5 tonnellate di oro, il livello più basso dal secondo trimestre del 2022, proprio perché la crescita del prezzo rende meno conveniente l’acquisito e al tempo stesso, crescendo, fa aumentare organicamente il valore dell’oro già in portafoglio.
L’oro di Fort Knox. Ai prezzi attuali le riserve auree del Tesoro statunitense, per esempio, hanno superato il valore di 1.000 miliardi di dollari, oltre 90 volte quello riportato nel bilancio del governo che, a 42 dollari l’oncia contro gli oltre 3.800 a cui tratta sul mercato, è di soli 11 miliardi.

E quanto compreranno. Secondo Jp Morgan, il 2025 e il 2026 si chiuderanno con acquisti da parte delle banche compresi tra le 700 e le 800 tonnellate, un livello comunque elevato rispetto alle circa 400 tonnellate di acquisti medi prima del 2022.
Si tratta di un flusso più debole degli ultimi due anni, ma sufficiente per sostenere il trend rialzista.
Un calcolo diverso, ma l’effetto non cambia. Goldman Sachs fa un’altra stima. La Cina, ad oggi il maggiore acquirente di oro al mondo, detiene circa l’8% delle sue riserve in oro, rispetto al 70% circa di Stati Uniti, Germania, Francia e Italia.

La media globale è di circa il 20%, un target che gli analisti della banca Usa considerano plausibili per le banche centrali dei Paesi emergenti.
Se si muove la Cina. Ora se la Cina – ragionano a Goldman Sachs – puntasse a un’allocazione del 20% e mantenesse un ritmo medio di circa 40 tonnellate al mese (in linea con i recenti andamenti), ci vorrebbero circa tre anni per raggiungere una quota di oro del 20%. Quanto basta per sostenere le quotazioni.
3) Il mercato. A questo flusso verso l’oro, si aggiunge poi la terza componente che è la domanda da parte degli investitori, che secondo gli analisti dovrebbe compensare e aumentare quella delle banche centrali.
La spinta degli Etf. Secondo i dati raccolti da Bloomberg, gli Etf sull’oro hanno raggiunto a fine settembre un controvalore di 112,5 miliardi di dollari, il massimo di sempre. Acquisti sono rimasti forti per tutto settembre, facendo registrare, il più grande afflusso dalla metà di aprile a oggi.
Un mercato piccolo. Del resto, c’è spazio per crescere nel portafoglio degli investitori perché il mercato dell’oro è “piccolo”. Vale 9.400 miliardi di dollari, pari al 4% di tutti gli investimenti globali tra azioni, reddito fisso e attività alternative.

Una semplice rotazione di portafoglio. Secondo un calcolo di Jp Morgan, ogni ulteriore aumento di 10 miliardi di dollari della domanda trimestrale di oro da parte di investitori e banche centrali può valere circa un aumento del prezzo del +3% su base trimestrale.
Anche oltre i 4 mila l’oncia. Il che significa – stimano a Jp Morgan – che anche rotazioni relativamente modeste dal mercato dei titoli del Tesoro Usa da 29.000 miliardi di dollari verso l’oro potrebbero avere una forza sufficiente per far superare non i 4mila ma i 5mila dollari l’oncia.