Corriere della Sera, 1 ottobre 2025
Haiti: nella città più violenta del mondo anche l’ospedale dei piccoli è sotto assedio
Questa sera nel Duomo di Milano ci sarà musica per Haiti. E a Port-au-Prince, la capitale più violenta del mondo, il «duomo» del Saint Damien terrà le porte aperte per chi ha bisogno, come ogni giorno. Non è una chiesa ma un ospedale pediatrico, il Saint Damien, l’unico gratuito nel Paese. Una «casa» (duomo viene dal latino domus) costruita dalla Fondazione Francesca Rava, dove vengono curati 80 mila bambini l’anno. Un’oasi di salute pubblica allargatasi con il tempo e con le energie di tanti italiani fino a diventare un lembo prezioso di tessuto sociale che impiega centinaia di haitiani, con le officine, la panetteria, le scuole, l’ospedale gemello Saint Luc, il centro disabili…
Non era mai stata così assediata, la cittadella del Saint Damien. Nessun luogo più, in città, è immune dalla violenza dilagante, neppure il quartiere Tabarre. «Qui rapiscono la gente ai cancelli dell’ospedale, sparano, derubano i medici, i familiari, i chioschetti delle banane»: in tanti anni, non avevamo mai sentito la voce di Rick Frechette, medico e sacerdote, così asciutta. È lui l’anima di Nph Haiti, i Nuestros Pequenos Hermanos di cui la Fondazione Rava è la squadra italiana. Questo americano con la faccia d’attore è il motore della cittadella, vive sull’isola da 38 anni. Ne ha viste tante e sa che «qui non è mai esistita normalità»: prima la dittatura e gli squadroni della morte, poi la finta democrazia, il terremoto, le illusioni di ricostruzione. E ora, in un crescendo di anni, l’incubo delle gang che controllano il 90% della capitale e terrorizzano la popolazione, violentano, rapiscono, uccidono. Bande criminali inserite in quella che Rick chiama «una mafia internazionale di armi e droga». Una crisi precipitata dopo l’uccisione del presidente Jovenel Moïse, estate 2021. Le gang hanno preso il sopravvento sulle deboli forze di polizia. Nel 2024 è arrivato un contingente di soldati dal Kenya, con la scolorita benedizione dell’Onu, ma la situazione non è cambiata, anzi: «Ogni anno va peggio, ogni mese è peggio» racconta al telefono padre Rick. L’ospedale rimane aperto come il resto, ma ci vogliono «mille strategie» per rintuzzare il fuoco di una violenza sempre più spavalda, che sembra interessare all’esterno solo quando i capi gang hanno nomi a effetto come Barbecue. Sulla graticola intanto rosola l’intera Port-au-Prince, anche nei suoi angoli più remoti di paradiso: Nph ha evacuato il centro di Kenscoff, sulla montagna che sembra galleggiare sulle miserie della città. Ad agosto ci sono stati rapimenti perfino là, nel «duomo» dei bambini disabili adottati da tanti «padrini» e «madrine» in Italia. Sequestri finora impensabili (con otto operatori anche un piccolo di 3 anni) che si sono risolti con la liberazione degli ostaggi, cicatrici personali e allarmi collettivi: centinaia di bambini hanno trovato rifugio a Tabarre, «ma stiamo valutando il trasferimento fuori dalla capitale», dice Frechette, nell’area un po’ più sicura di Cap Haitien.
«Molti avrebbero lasciato il Paese di corsa», racconta padre Rick. Lei invece è rimasta: Haiti è la sua casa, quei bambini che anche il Corriere ha imparato a conoscere a Kenscoff la sua famiglia. Non scriviamo il nome, perché non vuole mettere a rischio i suoi «piccoli angeli». Durante la prigionia questa donna ha sofferto la fame, e chissà cos’altro. Come hanno fatto lei e gli altri ostaggi a trovare la forza di sopportare? Pregando per chi stava peggio di loro, «a Gaza per esempio».
Stupefacente altruismo. «La cosa bella che vorrei dire di Haiti alla luce dei nostri 25 anni di impegno», dice Maria Vittoria Rava, presidente della Fondazione che questa sera organizza una serata di musica nel Duomo di Milano («non un anniversario ma un patto rinnovato»), è che «quel povero Paese dimenticato è diventato volano di aiuti che la Fondazione ha sparso in Italia e in altri luoghi del mondo. Così il panettiere Marco Randon, con noi in Haiti dopo il terremoto del 2010, è poi venuto a fare il pane per gli sfollati del sisma in Centro Italia, e pochi mesi fa ci ha accompagnati a Gaza portando due panetterie mobili. Tante persone ci sono rimaste vicine, così come le centinaia e centinaia di medici che hanno donato energie al Saint Damien. Sono gli stessi che durante la pandemia ci hanno aiutato a creare reparti di terapia intensiva in 30 ospedali d’Italia, o ad assistere mamme e bambini migranti nel Mediterraneo». Giusto ricordarlo, «perché da quando è morta mia sorella questo senso di solidarietà e di amore è rimasto nel cuore di tantissime persone».
Nel nome di Francesca Rava, che amava la vita e il volontariato, e nel nome dell’Italia qualcosa di prezioso è nato a Haiti, e da Haiti è rimbalzato altrove. Ma ora Haiti brucia come non mai, «e merita di essere risollevata perché i diritti umani sono diritti ovunque» dice Maria Vittoria. A Port-au-Prince, padre Rick è convinto che «nessuna soluzione haitiana potrà funzionare. «Se la mafia di armi e droga è internazionale, la soluzione non può che essere internazionale». Missione Haiti: scenario quasi impensabile, nel mondo di oggi. La musica nel Duomo di Milano, i vagiti nel duomo assediato di Saint Damien: chi vorrà ascoltare?